Rivista Anarchica Online
Bombe e marmellata
di Maria Matteo
Viviamo in tempi grami, inutile dirlo. Difficile cogliere nel panorama odierno
segnali significativi d'una ripresa
d'iniziativa, d'una qualche vivacità e creatività nell'encefalogramma piatto del corpo sociale.
Negli ultimi anni
la fiducia in uno sviluppo lineare, costantemente perfettibile ha subito duri colpi. La critica ecologica, la crescita
del divario fra nord e sud del mondo, la consapevolezza che le risorse disponibili non sono illimitate hanno
contribuito potentemente al declino dei miti di progresso e opulenza. Parimenti si è indebolita la
speranza in
un inarrestabile processo di cambiamento politico e sociale capace di eliminare lo sfruttamento e l'ingiustizia.
Il venir meno d'un ottimismo acritico così come d'una filosofia della storia in cui tutto è
già dato, per cui lo
spazio della diversità e dell'invenzione non è che un residuo, un errore destinato a venir
cancellato, non può che
essere salutato positivamente. E' tuttavia innegabile che all'affievolirsi dell'illusione di poter controllare e
dirigere lo sviluppo economico, sociale e politico non è seguito l'affermarsi di un umanesimo nuovo,
più
concreto, attento all'irriducibilità delle differenze, consapevole della necessità di un
atteggiamento sperimentale,
provvisorio, impegnato in una costante verifica progettuale sia in ambito sociale che politico.
L'acciaio duro dell'unità nazionale Al contrario lo scenario politico,
sociale e fors'anche esistenziale appare contrassegnato dall'apparente
pragmatismo di un vivere alla giornata ossessivamente scandito da un bisogno di novità che finisce
precipuamente con l'esprimersi a livello estetico. In questo senso il modello più appropriato della
modernità è
il supermercato in cui la mania della novità ad ogni costo arriva ad assumere dimensioni parossistiche.
Al gusto
per l'accostamento originale, al giovanilismo esasperato che permeano ormai il tessuto sociale italiano pareva
immune la sfera politica specie quella istituzionale, alle cui procedure e rituali era affidato il compito di
garantire che ogni mutamento avvenisse nel segno della continuità. Tutti i partiti aderivano formalmente
a
regole, che erano state forgiate nell'acciaio duro dell'unità nazionale, ricostituita e rifondata nella
resistenza, il
cui ruolo di mito fondante della repubblica sembrava difficile da scalfire. Gli schieramenti erano ben chiari e
delineati, marcati da contrapposizioni nette, senza quasi possibilità di sovrapposizioni o trasversalismi.
In Italia
per decenni la lotta politica ha avuto un carattere decisamente più ideologico che negli altri paesi
dell'area
occidentale, perché contraddistinta dalla presenza altrove inusitata di un partito comunista molto forte.
Poi i
regimi comunisti sono crollati quasi ovunque e il partito comunista italiano si è scisso in due partiti
incapaci
di darsi un'identità precisa e credibile. La consistente e repentina affermazione elettorale della Lega
Nord nelle
regioni settentrionali del paese ha messo in discussione l'idea stessa di unità nazionale. Questi fattori,
cui si
aggiunge la difficile congiuntura economica hanno contribuito a rendere meno saldo il blocco politico ed
economico che aveva ininterrottamente governato il paese per quasi cinquant'anni, ergendosi a paladino della
democrazia contro i rischi del comunismo. In questo contesto non deve quindi sorprendere più di tanto
che il
fragoroso frantumarsi di tale blocco cui abbiamo assistito nell'ultimo anno e mezzo non sia dovuto né
a tumulti
di piazza né a uno scossone elettorale ma all'azione della magistratura. Così l'incapacità
della politica ideologica
di acquisire una dimensione progettuale dopo che la fine del comunismo aveva reso inattuali i vecchi
schieramenti ha finito col passare in secondo piano, perché coperta dal prepotente emergere della
questione
morale. Le galere e le aule di tribunale si sono aperte per molti personaggi eccellenti e, sebbene l'intera faccenda
assumesse vieppiù i contorni di un gigantesco regolamento di conti tra le varie ali del palazzo, non sono
stati
in pochi a ritenere di trovarsi di fronte a una sorta di rivoluzione. Vien da chiedersi se occorressero i crismi
dell'ufficialità per dare verità e consistenza a quello che tutti sapevano.
Oliare i cardini Non era certo un mistero per nessuno che per aprire una porta
qualsiasi, foss'anche quella per un posto d'usciere
comunale, occorresse oliarne accuratamente i cardini. La corruzione, il clientelismo sono diffusi al punto di
pervadere completamente il tessuto sociale: non credo vi sia alcuno che non sia mai ricorso ad un amico per
sveltire una pratica o non abbia passato una mazzetta sottobanco per il lavoro o per un letto all'ospedale. Quel
che è certo è che nel gran polverone sollevato da tangentopoli i sopravvissuti alla bufera hanno
potuto
agevolmente dar luogo a un'operazione di riciclaggio in grande stile d'una classe politica che, priva di
identità
e credibilità, si è affrettata ad indossare i panni severi del moralizzatore per cancellare con un
colpo di spugna
il vecchio e corrotto regime ed inaugurare un'epoca nuova. L'operazione non è delle più facili
e continue
congiure di palazzo non contribuiscono certo a spianare la via ad alfieri del rinnovamento costretti a guardarsi
costantemente le spalle per proteggersi dai proditori attacchi dei compagni di strada del giorno prima. La buona
riuscita dello show referendario, il cui esito plebiscitario ha contribuito non poco a dare fiato ad un ceto politico
ormai asfittico, è servita a dare una mano di bianco alle pareti del palazzo, ma non era certo sufficiente
a celarne
le crepe e a coprirne le macchie. Cambiare il sistema elettorale è stata una manovra abile, grazie alla
quale non
è stato difficile sviare l'attenzione dalle questioni di sostanza a quelle di forma. Molti hanno creduto
che il
segreto del buon governo dipendesse dalle procedure con cui veniva scelto e che la gestione mafiosa della cosa
pubblica fosse un male inevitabile dovuto ad una legge elettorale che consentiva una rappresentanza
estremamente frammentata. Nonostante ciò il maquillage non poteva bastare: occorreva un radicale
intervento
di chirurgia estetica. Ed ecco che all'improvviso per l'ultima consultazione amministrativa assistiamo alla
scomparsa quasi totale delle vecchie sigle di partito, sostituite in un batter d'occhio da nuovi nomi, nuovi
simboli, nuove aggregazioni. Tutto nuovo, lucente, impeccabile, tutto all'insegna dell'onestà e della
pulizia, tutto
sotto l'egida di una parola nuova, magica: il trasversalismo. Quel che un tempo si sarebbe chiamato
trasformismo e non avrebbe certo mancato di suscitare dubbi e critiche è divenuto il vessillo degli
onesti, la
garanzia del rinnovamento, della rinascita. Post-comunisti, ex-democristiani, repubblicani senza l'edera e
neo-liberali si uniscono ed intrecciano in liste d'uomini probi. Come in un giuoco di prestigio si mischiano le
carte
e combinano gli elementi per catturare l'attenzione di un'opinione pubblica sempre più apatica, attenta
allo
spettacolo della politica più per l'originalità della messa in scena che per l'interesse suscitato
da proposte che
nella loro vacuità appaiono del tutto interscambiabili. E' significativo a tal proposito il gran successo
dei vari
programmi televisivi in cui abili conduttori mettono in campo il circo della politica con uno stile che pareva
prerogativa esclusiva dei commentatori delle partite di calcio. Assistiamo ad un continuo cambio delle parti,
ad un intrecciarsi di alleanze destinate a sciogliersi tanto rapidamente quanto si erano costituite. Tutto si
mescola e niente ha più rilevanza al di là del sensazionalismo del momento. In definitiva ha
poca importanza
quel che si propone e si fa, purché lo si proponga e faccia in nome del rinnovamento. Persino le bombe,
le stragi,
il sangue ed il dolore entrano a far parte dello spettacolo. A Torino solo poche centinaia di persone si sono
adunate per le manifestazioni promosse dai sindacati dopo le bombe di Firenze, di Roma, di Milano: come un
vecchio film andato in onda troppe volte attraeva l'attenzione di pochi e distratti affezionati, che sembrano
assistervi più che altro per dovere. Migliaia e migliaia di persone si sono altresì scoperte
un'improvvisa passione
per l'arte in occasione della riapertura al pubblico del museo degli Uffizi, adeguatamente strombazzata dai
mass-media. Viene il dubbio che persino gli autori degli attentati abbiano intuito che la solita strage di innocenti
fosse
troppo banale e noiosa e perciò abbiano scelto come obiettivi musei e chiese.
Vittoria del nuovo? Il neo-sindaco di Torino Castellani, che gli avversari
accusavano di essere sostenuto da una compagine dai
connotati confusi simile ad una marmellata, alla festa per la sua elezione agitava di fronte alla folla plaudente
un barattolo di confettura, proclamando orgoglioso la vittoria del nuovo sul vecchio. Segnava in tal modo il
coronamento di una campagna elettorale giocata più sulle immagini che sui contenuti. Il sapore della
sua
marmellata deve avere addolcito molti palati per convincerli a digerire i venti miliardi che il comune di Torino
con provincia e regione hanno speso per pubblicizzare in grande stile l'ultima auto della Fiat. In ogni caso lo
spettacolo fornito a base di fuochi d'artificio, star televisive e fiera paesana pare sia piaciuto di più.
Viviamo
in tempi grami, inutile dirlo.
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