Rivista Anarchica Online
MIMI Festival 1993
di Renato Dal Maistro
Per chi arriva per la prima volta sulle sponde dell'Etang des Aulnes, l'impressione
di essere arrivato nel posto
«giusto» diventa immediatamente palpabile e rende più carica d'aspettative l'attesa per i concerti serali,
motivo
del mio approdo a St. Martin de Crau, Provenza, Francia. La succosa griglia di partenza dell'ottava edizione
del MIMI Festival mi ha spinto ad intraprendere questo
viaggio, da troppi anni rimandato per i motivi più vari, ad approfittare dell'occasione per visitare una
regione
che generosamente offre opportunità disparate ed interessanti per impegnare la giornata. Veniamo
dunque al festival. Ai Secret Service Project, tedeschi capitanati da Viola Kramer - tastiere e voce -,
viene dato il compito di aprire la prima serata, suggestivamente indicata nel programma come «Nuit de la
memoire». Ed effettivamente la memoria viene sezionata a dovere dal gruppo, che propone una musica caricata
di un bagaglio culturale piuttosto ampio, che cita sia la musica colta contemporanea, sia certi aspetti della world
music meno becera. Un concerto variamente interessante. Dopo un breve intervallo tecnico per predisporre
opportunamente il palco, ecco la «stella» della serata: Eric
Marchand, voce bretone da far accapponare la pelle, accompagnato dalle tabla di Hameed Khan, pakistano, e
dall'oud di Thierry Robin. L'inusuale impasto fra la purezza dei suoni orientali generato dagli strumenti
e la potenza espressiva della voce
e del dialetto bretone, incantano. Alla lunga, però, al mio orecchio occidentale, è sembrato che
la limitata
gamma ritmica e armonica dei due strumenti abbia notevolmente ridimensionato l'impatto emotivo. I tre hanno
rischiato di sconfinare nella noia. In ogni caso questa è una proposta da riascoltare con attenzione.
Ed arriva anche la «Nuit des tetes dures», e sicuramente sono candidato a diventarne il re viste le due ore
e
cinquanta di dialoghi su Antonin Artaud (in francese!!??) che mi sono sciroppato nel pomeriggio nel chiuso di
un cinema di Arles: libera scelta in ogni caso! Aprono gli Octavo di Guigou Chenevier e Guy Sapin, e da subito
fugano i dubbi suscitati dal loro lavoro in studio circa i limiti imposti dalla formazione: un duo chitarra e
batteria. Dal vivo i due riescono ad essere più coinvolgenti che su disco, ed in alcuni momenti il suono
riesce
a stupire per varietà di soluzioni. Durante il tempo necessario alla ripreparazione del palco per il gruppo
successivo, faccio un giro per le bancarelle stracolme di materiale discografico delle varie filiazioni
Recommended ma i prezzi, complice il cambio, sono per me veramente proibitivi. Monsieur Richard
annuncia The Ex e Tom Cora, e subito il brulicante popolo del MIMI si sposta sotto il palco
e riempie le gradinate coadiuvato da uno stuolo di individui estemporanei richiamati probabilmente dal nome
e dalla fama del gruppo olandese. Prime note, primi ondeggiamenti, ed è subito un vulcano in
eruzione: la band sul palco ed il pubblico di fronte.
Inutili i tentativi di estraniarsi dal contesto, e perché mai? Troppa la potenza, troppo il ritmo, l'eleganza,
la forza
di coinvolgimento di questa che mi sembra la proposta più intelligente degli ultimi anni: coniugare il
punk e
la sua innegabile forza corrosiva con lo spirito libero della ricerca. Il risultato di questa alchimia, vissuto
dal vivo, mi ha portato a vagare fra distese fatte di puro rumore a cavallo
dei meandri di ritmo creati dal batterista. Ho inseguito una voce acerba che cantava una canzone popolare
ungherese (versione punk, of course), mi sono
fatto investire dagli urli gutturali del cantante, dalla dolce nenia di una sorprendente ballata. Mi sono fatto
infine travolgere dal tutto quando il tutto è diventato travolgente, fino all'ipotesi finale in cui il
gruppo è stato richiamato sul palco per ben tre volte e per ben tre volte, generosamente non ha detto
di no.
Sabato pomeriggio passato sotto l'acqua, a girovagare fra una poterie e l'altra alla ricerca di qualche pezzo
«veramente artistico» e ad interrogarmi sulla sorte dei concerti serali. Al ritorno in albergo le notizie: il
temporale ha semidistrutto il palco, forse si suona nei locali dove si svolge la Scene Ouverte (sessione
pomeridiana dove si sperimentano insolite combinazioni fra musicisti dalle disparate esperienze). Alla fine, si
suona nello spazio coperto dove solitamente funziona il bar notturno, ma la «Nuit pop moderne», a causa dei
ritardi provocati dal temporale, sarà orfana degli Zero Pop che saranno costretti a suonare la sera
successiva. Spazio quindi ad Hans Reichel ed alla sua Ali Dax Band. Reichel, conosciuto soprattutto come
chitarrista, si
presenta in quartetto, dove tutti i musicisti suonano uno strano strumento di sua invenzione chiamato
«daxophone». Si tratta di uno strumento elettroacustico, che viene suonato con l'archetto ed ha una parte
intercambiabile che ne determina l'intonazione. Il concerto di questo singolare gruppo non ha mancato di
interessare il pubblico presente anche se la ripetitività
degli schemi compositivi e l'eccessiva omogeneità del suono ha, man mano che il concerto procedeva,
convinto
i più a farsi un caffè. Francamente il concerto mi è sembrato un tantino didattico, forse
un po' di fantasia in più
non avrebbe guastato. «Siamo all'ultima serata, non so se il prossimo anno il MIMI si farà...»: con
questo rituale
annuncio Ferdinand Richard, patrono del festival oltre che valente musicista, apre la «Nuit des provisions pour
la route». Nubi nerissime all'orizzonte si avvicinano velocemente, spinte dal vento che entra, signore e
padrone, nei
microfoni aperti sul palco per uscire, amplificato, dalle casse. Ma gli STPO (Societé des Timides a la
Parade
des Oiseaux) non ci risparmiano il loro set, o almeno le parti più noiose. Partiti con degli
interessanti giochi di voci, si sono man mano arenati in soluzioni musicali troppo dejà vù, e
l'intervento teatrale che ha caratterizzato la parte centrale dello spettacolo non è valso a risollevare una
proposta
che, forse complice il cattivo tempo, è diventata quasi insopportabile. Tutt'altra musica per il duo
Philippe Loli - chitarra acustica - e Christiane Bonnay - fisarmonica - che, sia pur
penalizzati dal vento (che oltre che disturbare il suono rendeva difficile utilizzare gli spartiti) si sono cimentati
nella riproposizione di musiche di autori contemporanei, rese con rara eleganza e sentimento. A questo
punto era in programma l'esibizione della cantante siberiana Sainkho Namtchylak, che invece per
motivi di carattere personale non ha potuto essere presente al MIMI Festival. Al suo posto si sono esibiti Han
Buhrse e Michael Mandel, rispettivamente voce e clarone/sax. Buhrse, nonostante la serata cominciasse
a diventare decisamente fredda e le prime coperte di lana fossero
apparse sulle spalle dei più accorti spettatori, non ha esitato a scatenarsi in una performance schizoide
e
spassosa, che ha momentaneamente riscaldato quantomeno i cuori degli astanti. I quali, ripetutamente, hanno
fatto ritornare sul palco il funambolico vocalist. Per gli stoici che ancora resistevano abbarbicati sulle
gradinate era la volta ora di ascoltare gli Zero Pop, cioè
Bruno Meillier e Mark Howell che purtroppo di fortuna meteorologica quest'anno al MIMI Festival ne hanno
avuta poca. A nulla sono serviti il sincero entusiasmo ed i pittoreschi incitamenti che dalla prima fila
papà e mamma Howell
mandavano alla volta del caro figliolo: man mano che il set procedeva, il freddo si faceva più pungente
e la
gente scemava mestamente verso il bar, alla disperata ricerca di qualcosa di caldo. Peccato, perché
il concerto era il più buono, e avrebbe meritato maggior fortuna. Anche in questa quarta serata,
come le precedenti, dopo i concerti hanno avuto luogo le proiezioni della
rassegna di cinema sperimentale proposte dall'associazione Art Toung di Avignon. Su di questo, però,
non sono
in grado di riferire dato che, vista l'ora molto tarda, non ho assistito alle proiezioni.
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