Rivista Anarchica Online
L'avventura russa
di Antonio Cardella
Mi aveva venduto per pochi dollari un colbacco nuovo di zecca, dal pelo soffice
e lungo, come piaceva a me.
Nella piazza, mentre la sera scendeva ormai rapidamente, rimanevano pochi crocicchi per gli ultimi affari.
Il ragazzone, rosso di capelli e dalla pelle bianchissima chiazzata di lentiggini, concluso l'affare, non sapeva
dove mettere quelle sue mani grandi e stranamente diafane, né riusciva a trovare qualcosa da dire.
Un approccio morbido Considerata l'ora, gli chiesi se voleva venire con me
a prender un boccone: accettò subito, con l'entusiasmo di
un asmatico in crisi cui si offre un po' d'ossigeno. Lì vicino c'era un ristorantino dove si mangiava
discretamente.
Si chiamava «Praga». Entrammo e a stento trovammo un tavolo libero a metà. Era infatti già
occupato da un
marinaio e da un omaccione, massiccio come un armadio seicentesco e già visibilmente brillo. Ci
sistemammo
facendoci più piccoli possibile e ordinammo. Per la verità ordinò il mio ospite e lo fece
con tanta concitazione
e palesemente facendo fretta al compagno cameriere, che di lì a poco, costui ritornò con due
piatti fumanti,
colmi sino all'orlo di uno spezzatino affogato in una salsa scura e semiliquida. L'odore non era propriamente
invitante ma avevo altro per la testa e mi disposi a mangiare. Non sapevo da dove cominciare. Cercavo un
approccio morbido per evitare che Georgj - così si chiamava il mio
commensale - si chiudesse subito in quel suo mutismo imbarazzato dal quale era difficile rimuoverlo.
Gli chiesi
se si sentisse ancora comunista, nel caso lo fosse mai stato. Rimase un poco sovrappensiero, poi molto
lentamente, rispose: «E' una domanda ricorrente e irritante. Sino all'avvento di Gorbaciov o si era comunista
o non si era: semplicemente. Essere comunisti significava avere lavoro, essere assistiti e, in una certa misura,
nutrire l'orgoglio di appartenere alla Grande Madre Russia, seconda potenza del mondo. Per i pochi che non
gradivano e non erano coinvolti nei piccoli o grandi traffici di regime, significava anche sperare che - eliminate
pian piano le incrostazioni di carattere autoritario di uomini e di idee, si sarebbe riusciti a costruire qui da noi
un modello di vita umano, più umano di quello occidentale, secondo noi corroso dalla competizione
esasperata
e dall'avidità. Questa speranza - come tu stesso puoi vedere andando in questa valle di lacrime che
è la Russia
dei nostri giorni - è morta bambina. Del comunismo reale, travolto dagli eventi e dalla sua stessa
inconsistenza,
non rimane praticamente nulla, neppure la memoria di quell'istanza di base del comunismo internazionalista -
di cui la Russia dei Soviet rappresentava se non il simbolo, almeno il punto di riferimento - per un mondo che
esprimesse forme di aggregazioni il più possibile egualitarie, in prospettiva, senza privilegi né
discriminazioni. La gente adesso è disorientata. Il vecchio è alle spalle, definitivamente
seppellito. Il nuovo è misterioso e
inquietante: nessuno sa cosa sia. Poi, la gente, ha fame, fame di cibo intendo, e non è disposta ad
investire in
progetti politici né, meno che mai, in aspettative messianiche». Aveva parlato lentamente, senza
inflessioni né accentuazioni che tradissero particolari emozioni. E quello che
diceva era sarcasmo. La Russia europea, lontana dai conflitti etnici o dalle spinte centrifughe appariva come
un'immensa città vuota dei suoi abitanti. I moscoviti a Mosca, i sanpietroburghesi a San Pietroburgo
escono
raramente di casa e tentano di ricostruirsi dentro la normalità che, fuori dalle mura domestiche, non
esiste più.
I gravissimi problemi di natura strategica che gravano sull'era eltsiniana sembra non li sfiorino neppure, nel
senso che si percepiscono talmente remoti rispetto all'esigenza primaria della sopravvivenza, che il loro impatto
con il quotidiano è praticamente nullo. Eppure quei problemi, sono a scadenza assai prossima e
la loro natura è tale da contraddire ogni aspettativa di
normalità.
L'opposizione al bando Intanto il problema dell'assetto istituzionale.
Sfaldatasi l'Unione delle Repubbliche Sovietiche, ciò che resta della struttura statale sono un
presidente
contestato, un parlamento preso a cannonate e sciolto, 66 organismi locali e 20 repubbliche indipendenti... Vinta
la resa dei conti con Rutzkoi e Khasbulatov, Eltsin è andato giù pesante anche con le regioni,
invitando gli
organi elettivi di queste ad auto-sciogliersi e trasferendo il loro potere ai capi delle amministrazioni, sorta di
prefetti, che rappresentano il governo centrale. L'ingiunzione di Eltsin ha provocato, com'era naturale,
considerata la diversità di impatto con le iniziative presidenziali, reazioni contrastanti. Alcuni soviet
si sono
decisamente opposti, ma sono stati sciolti d'autorità con l'intervento della polizia armata (Pem, Soci);
altri
continuano a difendere le loro prerogative, rischiando le cannonate (Carelia, Komi); altri ancora si sono
adeguati. Il panorama comunque è quello di un sistema che si sgretola caoticamente ed è
difficile prevedere un
futuro prossimo con inversione di tendenza. Ci sono poi le spinte centrifughe, che si manifestano anche con
cruente guerre civili, come in Georgia, tra le fazioni separatiste e le forze di Shevernadze, ormai prossime al
tracollo; ci sono i comportamenti delle repubbliche indipendenti, con costituzioni autonome, che sarà
difficile
ridurre ad omologazione. A fronte di tutto ciò elezioni promesse, ancora non si sa per quando, dalle
quali
dovrebbero sorgere le nuove amministrazioni locali, la Duna (Camera bassa) e la Camera alta. Per la
verità si sa qualcosa solo dei due primi organismi. Si sa che le dune locali saranno costituite da un
numero
variabile di rappresentanti - da 15 a 50, a seconda della dimensione della regione - eletti col sistema
proporzionale. Per la Camera bassa, gli eletti dovrebbero essere 450, metà eletti su base nazionale col
sistema
proporzionale e l'altra metà, su piano locale, con collegi uninominali. Tutto ciò dovrebbe
avvenire il 12
dicembre prossimo, con elezioni chiamate anche a ratificare una nuova costituzione che gli esperti del
presidente stanno preparando e di cui non si conosce assolutamente nulla. Comunque il dato più
inquietante di queste elezioni è costituito dalla messa al bando di tutti i partiti
d'opposizione ed il ridimensionamento dei partiti «legali» ammessi alla campagna elettorale. Se persisteranno
queste condizioni, se le elezioni ci saranno, saranno elezioni farsa e la ricetta di Eltsin potrà essere
attuata solo
con l'uso della forza. Assisteremo, così ad un'ulteriore normalizzazione violenta, non diversa da quella
staliniana. Tutto ciò con la benedizione dell'occidente, che - a parte la comprensibile preoccupazione
per
l'arsenale nucleare, ormai non si sa quanto effettivamente controllato dal potere centrale - pretende un quadro
di stabilità per i suoi interventi, sino ad adesso solo eventuali. Con quest'ultima notazione passiamo
ad un altro dei problemi «capitali», quello economico.
Dipendente dall'Occidente Sinteticamente, lo stato dell'economia russa
è il seguente: un apparato industriale finalizzato alle esigenze della
guerra fredda difficilmente convertibile e comunque precluso alla competizione internazionale; una moneta
incontrattabile; assoluta mancanza di capitale di rischio (o, se preferite, da investimento). All'interno di questo
quadro, lo sfaldamento delle reti di distribuzione dei prodotti, utilizzate, quelle che ci sono, al mercato nero e
l'impossibilità di assicurare l'approvvigionamento delle grandi città per la chiusura
politico-ritorsiva da parte
di regioni produttrici, in conflitto con Mosca. A tutto ciò si aggiungono la mancanza di indirizzi e la
risibilità
del dibattito teorico sul modello economico da seguire. Eltsin appare il paladino del «mercato» di stampo
capitalistico, seguito da una serie di esperti, che, però, quando
si tratta di spiegare le modalità di transito che consentano alla Russia di attestarsi su un'economia di
mercato,
rimangono nel vago e rimandano a dibattiti che non si faranno mai. Il dato principale, comunque, resta quello
della dipendenza assoluta della Russia dall'occidente industrializzato. Il quale, dal canto suo, da tempo ha
privilegiato nelle sue aree il versante finanziario degli investimenti, dimostrando tiepidezza verso il settore
propriamente produttivo, che ha tempi di realizzazione molto lenti e, per di più, attraversa una crisi
strutturale,
che ha già messo in ginocchio colossi considerati intramontabili. Certo, se si fosse in un'epoca
diversa dalla nostra, si potrebbe indulgere a logiche colonialistiche, trasferendo
capitali marginali per investimenti industriali nell'area da colonizzare, sfruttando condizioni vantaggiose sia per
quel che riguarda le spese d'impianto che il costo della manodopera. Ma una cosa è che si tratti di
colonizzare
uno statarello africano o amerindio, altra cosa è che si tratti di un paese immenso come la Russia,
incontrollabile
dal punto di vista militare, per sua natura instabile per le spinte centrifughe che vi si manifestano e per le molte
etnie che vi insistono, spesso in contrasto tra loro: tutte comunità in ogni caso in vario modo - dal
mugugno alla
rivolta - avversi al potere centrale. Ma il fatto vero è che si mostrano profondamente mutate le
logiche di intervento del capitalismo contemporaneo
e, nel nuovo panorama, le guerre sostenute per ristabilire o instaurare regimi coloniali si è scoperto non
pagano
più, neppure in termini d'immagine.
Cittadella fortificata La mia opinione, per quel che vale, è che, con
diverso grado di consapevolezza tra i suoi componenti,
l'occidente ricco si prepari piuttosto a resistere alle pressioni che si eserciteranno sempre più consistenti
alle sue
frontiere da parte dei molti diseredati della terra e abbia, quindi, poca voglia di imbarcarsi in avventure
rischiose. In questo senso partono segnali significativi. Ho già scritto di Maastricht come di un trattato
che
chiama a raccolta i più ricchi, per riunirli in una cittadella fortificata; altro segnale che va nella stessa
direzione
è che, nel caso specifico che trattiamo, di soldi a Mosca ne sono stati promessi molti e dati molto pochi.
Con
ciò non voglio dire che sia esplicito il disimpegno dell'occidente dalla Russia di Eltsin, che, tra l'altro
- come
già ricordato - possiede un arsenale nucleare enorme ed efficiente. Voglio solo dire che non esistono
le
condizioni perché l'America e il mondo industrializzato si lascino coinvolgere in quella che mi piace
definire
l'avventura russa.
|