Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Una lacrima sul viso
Sliver («frammento») dovrebbe raccomandarsi ad un pubblico di cattolici e moralisti incalliti. Come film
giallo
è un disastro zeppo di incongruenze, ma, in compenso, come film moraleggiante, non è poi
tanto male e
dovrebbe soddisfare appieno quel tipo di cattolico contrito e titubante che continua ad interrogarsi sul
perché
Dio permetta - qua e là nella Storia, qua e là nella cronaca quotidiana - ogni genere di
nefandezze. Il nucleo dell'argomentazione, narrativamente, è costituito da un ragazzotto con uno
sguardo ch'è tutto un
programma (di nefandezze) e con intero condominio in dote - condominio ove lui, esperto di video, computer
e software, ha sistemato una rete televisiva praticamente totale. Senza che nessuno si avveda di nulla, il
condomino è spiato dal cesso all'ascensore, dal telefono al pisolino, mentre fa l'amore, o dà i
numeri, o si lava
i denti o muore. L'immagine, riversata in computer, può ingrandirsi a piacere e venire registrata per
costituire
la più grande Enciclopedia Casalinga Multimediale mai realizzata. Lui (il giovane Baldwin) è
lì seduto, nella
sala dei mille video, e sembra godersela un mondo. Ma, che fare quando ciò che vedi non ti garba, non
se lo
chiede come Adamo nell'Eden. Per porre le domande giuste ci vuole una Eva (la signorina Stone) che, per non
essere da meno dei suoi personaggi precedenti (Basic Instint), non sapendosi contemplata, si masturberà
nella
vasca da bagno in modo tanto convincente che lui (poverina, quanto bisogno di affetto che ha) se ne innamora.
Mal ne incoglie al suo stato di ebete naturale, perché lei, fra qualche morto certo e pochi dubbi su chi
sia
l'assassino, ricambierà prontamente e, fregandosene dello sguardo mica tanto per la quale,
metterà a nudo (ehm)
la dimensione etica del problema. Violi la privatezza, sai tutto di tutti, ti tocca digerire l'ignominia che si
cela dietro il sorriso delle convenienze,
in una parola «sei Dio», ma che cavolo te ne fai? Quando ben hai esaurito la dose di morbosità che ti
tocca, cosa
ti rimane? L'angoscia di sapere (che quella si droga, che quello picchia la moglie, che il patrigno insidia la
bambina, che quello l'ammazza, che quello ha un cancro...) e la consapevolezza di che peso ciò ti
rappresenta.
Con che diritto ti accingeresti mai a fare alcunché? Guardare, a certi livelli, è un veleno neppure
tanto sottile:
l'eccesso letale. Vedi tante vite fino a che ti sfugge la tua. Dio, dunque, ha perfettamente ragione a lasciar
perdere ... È, in altre parole e per altri versi, anche la vecchia metafora del «controllo», ridotta,
però, dalla planetaria
dimensione orwelliana alla dimensione domestica - con l'ulteriore differenza che il Grande Fratello, qui,
è più
che altro un Grande Sporcaccione. Ai cattolici, questo film di Philip Noyce (di cui i thrillisti avranno amato
Ore 10: calma piatta) dovrebbe
piacere, non solo perché fra tanto rigore morale qualcuno alla fin fine una piccola deroga se la concede
ed un
interventino (inoino) lo fa (centrando addirittura la conversione del reo) - e così il ruolo della
Provvidenza
rimane assodato ma anche per un altro motivo. All'apice di una delle varie scene di sesso, all'orgasmo, a lei, che
mantiene il reggiseno, sgorga una bellissima lacrima dall'occhio sinistro, bellissima lacrima che - vanto d'attrice
- bada bene, peraltro, a non asciugarsi. Si dà il caso piuttosto dubbio, infatti, che lei viva la cosa con
gusto non
disgiunto da un inevitabile senso di colpa. Sarà il fatto che lui è più giovane di lei,
sarà il fatto che lei vien fuori
da un'esperienza amorosa fallimentare, sarà il fatto che ad ogni peccato che si rispetti deve seguire la
giusta
espiazione. Quanto basta, a mio avviso, per mandare a casa delusa e preoccupata per le sorti
dell'umanità una
persona normale, ma quanto basta, anche, per mandare in brodo di giuggiole il cattolico guardingo. Guardingo,
non guardone.
|