Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 205
dicembre 1993 - gennaio 1994


Rivista Anarchica Online

Dorothy Parker e Modigliani
di Marc de Pasquali

Modigliani. I disegni della collezione del dottor Paul Alexandre pregni d'amicizia, d'affetto di bellezza, sono quattrocentotrenta per la prima volta esposti a Palazzo Grassi (della Fiat) sino al prossimo 4 gennaio. Sarà tutt'un ricredersi su Modigliani, pittore romanticato, orecchiato con irrequietezza (troppo anarchico e passionale, troppo sovversivo e isolato) misconoscendo quanto fosse colto, studioso, intuitivo, generoso (elargiva ritratti a tutti), elegante, antifariseo, sottovalutando la sua forte, assoluta stilizzazione ch'evinse pleurite e tifo, la propria e altrui malinconica disperazione (vedi Lorenzo Viani) proclamando Dante e Baudelaire (anche a Osvaldo Licini), approfondendo la cabala... Invece il trallalà Modì maudit & C. (e fauves, boème, hashish, assenzio), ha obnubilato la più bell'arte del nostro tramontante secolo di nazisti. Così i suoi litigi con l'amico Utrillo mentre sbucciano fagioli o patate per ripagare i pasti della trattoria di un'ex modella, la sua insofferenza per la leadership di Picasso, il suo andare alla sezione egizia del Louvre con l'aquila poeta Achmatova eccetera eccetera, in una diffusiva furia di sé simile a quella d'un'altra adorabile ebrea errante: Dorothy Parker che qui vorrei collegare soprattutto perché ha subìto un'iconografia piatta e rimestata come Modigliani, perché ha usato la penna come un pennello, per l'Utrillo (e il Picasso) che pure lei possedeva, e per celebrarla (e non provare rimpianti) nel centenario della sua nascita (nove anni dopo quella di Modigliani), il 22 agosto 1893 festeggiato dalla Tartaruga edizioni con un'opera omnia (poesie, racconti e recensioni perfetti come teoremi geometrici d'assaporare studiare e riverire) in un unico volume Tanto vale vivere.
Dorothy Parker nasce Rotschild a New Jersey (nel West end), della morte della madre dirà «Come ha potuto morire senza avvertirmi?»
Socialista, integrazionista e femminista, ventiquattrenne (autonoma, lontana da casa), senza frutti sposa un Parker che parte in guerra, senza conflitti si separerà (e divorzierà dieci anni dopo). Segue appassionatamente per sei anni i processi, le marce e le richieste di grazia per Sacco e Vanzetti chiusi nelle celle della morte. Plurisuicida dagli anni Venti ai Settanta, angosciata, piccina piccina, contro tutti, nota per la sua mondanità allure, gin proibito e sigarette in un'epoca tardo vittoriana scopiazzata (leggi Edith Wharton e James), mariti amanti aborti, cani e boa di struzzo con zaffate alla tuberosa, spiritosa e seducente, molto bella (segretamente ancor più cogli occhiali), capelli folti cappelli larghi entrambi scuri, caviglie sottili, sola nei teatri di New York, verticale. Nel '33 sposa (e lo risposerà nel '50) l'attore sceneggiatore più giovane e gay (che partirà per la guerra) Alan Campbell. Va ad Hollywood (terza industria americana dopo armi e automobili) nel fasto più suggellato (cinquemila dollari la settimana). È nata una stella! Conosce l'implacabile Maugham, acquista una fattoria in Pennsylvania, fa la spola con New York per appoggiare gli scioperi dei camerieri. Si dichiara pubblicamente comunista e anarchica. Coi radicali partecipa alle collette dell'attore Frederic March per acquistare ambulanze contro il nazismo e contro il fascismo europeo. Va in Spagna dalla parte Lealista (come Hemingway) producendo articoli per riviste politiche e un racconto. Hollywood la rinnega. Viene denunciata, le ritirano il passaporto impedendole di fare la corrispondente di guerra oltreoceano. Scritti e poesie sui reduci, sulle donne che aspettano i soldati ed è un coro di disapprovazioni e repulsioni - mai osare toccare la madre patria. Sostiene il progressista Stevenson alle presidenziali, appoggia il pacifista Martin Luther King che nomina suo erede universale. Viene condannata per abuso di beneficenza.
Tradotti in italiano da un magistrale Montale - che il cielo ce li tramandi per secoli! - in una vecchia edizione Bompianl, i suoi racconti (Il mio mondo è qui) sono grandi astri dove s'intuisce cosa significasse essere smarty (neologismo anni Trenta consumatosi nel ristorante dell'hotel Algonquin della 59a strada), cioè belli, ricchi, cinici, beoni, immersi nel compromesso. Non sono d'accordo che nella scrittura la Parker fosse altrettanto insolente o, peggio, parola tremenda, snob. Tra le righe lei è sempre una signora composta, paziente, comprensiva, intelligente, velata di humour, mai esibizionista, feroce o frivola, né vanitosa o perfida. I suoi racconti sono dotte pennellate di rosso pomodoro che schizza dappertutto e tutto avvolge, anche in ascensore. T'entrano luminosi negli occhi, odorosi nel naso, armoniosi nelle orecchie, viscerali nel ventre, sono memoria, perpetue lave esclamative che mai si potranno - come Pompei - rimuovere; sono indiscutibilmente belli, incantevoli, vorticosi, da leggere e rileggere, leggendine insuperabili seppure l'esigente Parker s'arrovellasse a riscriverli centinaia di volte nel perseguire come modello segreto il diario (eccelso) di Katherine Mansfield che «non fu mai felice di quello che aveva scritto». Insomma non si può vivere senza averli letti, non si possono ignorare i loro tessuti morbidi e caldi, apparentemente semplici, buttati lì (come i ritratti di Modigliani), invece sofferti, elaborati e rielaborati, ricercatissimi, con punteggiature sinfoniche; equilibrati e depurati, perfezioni assolute, policrome; gestanti, sorpresi da un dio elettivo che ama solo i termini inappuntabili, intieri, materia di studi filologici. Lezioni d'antivolgarità, d'antirazzismo e d'antimaschilismo, d'anticapitalismo e d'anticonsumismo nello sforzo di penetrare il mistero umano, materia inerte ombrosa del predatore scrittore. E gli articoli su Vogue e Vanity Fair! altroché accodarla ai più riconosciuti (lontani mille miglia) Hemingway (per cui nutriva ibridi umori), Fitzgerald (con cui visse una paio di spari mattutini) e Faulkner. E le poesie, scattanti, profonde, brevi, pacate e lucide, tristi autoritratti d'una signora che cercava giustizia morale esistenziale sociale pacifica.
Nel 1958 l'Accademia d'Arte e Letteratura riconoscendo il suo straordinario talento le diede un (tardivo) premio di mille dollari mentre viveva col sussidio dei disoccupati (75 dollari la settimana) in un alberguzzo di Manhattan. Lillian Hellman malgrado la fatica che l'alcoolismo di Dotty (così la chiama nei suoi ricordi) le procurava e l'antipatia che Hashil Hammet provava per lei, è l'unica a farle visita sino al '67 quando Whitman sul New York Times annuncia asciutto la solitaria morte di Dorothy Parker al mondo.
La sua stanzuccia fu perquisita dalla polizia che trovò bottiglie vuote, assegni non incassati...