Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Il colore dell'assassino
Nessuna narrazione è innocente. Chi racconta attinge volente o nolente ad un patrimonio di valori,
trasmette
l'impostazione di problemi e le relative soluzioni così come hanno fatto comodo a qualcuno in un certo
momento, legittima scelte e contribuisce a seppellire gli scarti. La riflessione viene opportuna dopo la visione
di Sol levante (dovuto alla regia di Philip Kaufman e, più che ad altre, alle simpatiche
fattezze di Sean Connery
e Wesley Snipes), giallo di genere e sul giallo incentrato come pericolo per la «civilta» americana. Si dà
il caso,
infatti, che fra film e romanzo da cui è tratto (uno della serie dell'abile e fortunato Michael Crichton),
si debba
constatare, ahimè, una piccola differenza... Ma andiamo con ordine. Fervono trattative per la
cessione di una società americana al colosso dell'informatica giapponese. C'é di mezzo
quattrini (tanti), gruppi industriali e uomini del capitale (qualcuno) e uomini politici (uno, principalmente), vuoi
che manchi la botta di sesso torbido e ammorbato? All'insegna dell'impero dei sensi, ecco allora che la trattativa
si trasforma in delitto e il delitto, hic et nunc, in trattativa. Che la polizia indaghi: prima di tutto sulla cultura
giapponese, poi sulla corruzione dilagante e infine su se stessa, ovviamente, perché, gialla o bianca che
sia la
carne, ugualmente debole rimane. Scontri di cultura da una parte e dall'altra: quale tradizione rischia di
più?
Il pescecanismo occidentale - contaminato dai quattrini e dalla tecnologia-sempre-un-passo-più-avanti
dei
«diversi» -, o il pescecanismo orientale - contaminato dai simboli dei vincenti nella Storia-fino-ad-oggi? Che
il film non regga sotto il peso delle incongruenze e dell'informatizzazione galoppante importa poco
(perché a
un film di genere è quasi implicito concedere un po' di franchigia in proposito), ma che per raggiungere
alla
propria meta ideologica debba «arrangiarsi» alla bell'e meglio è invece interessantissimo. Infatti - e qui
arrivo
alla piccola differenza - mentre l'assassino nel romanzo di Crichton è un giapponese, nel film, per un
processo
di pigmentazione ideologica, il medesimo assassino diventa bianco. Americano doc e magari biondiccio, in linea
con il modello di assassino che va per la maggiore. Il che vale a dire che il cinema si assume una
responsabilità
meno limitata in materia di diffusione di modelli comportamentali con repertorio etico annesso. L'assassino
giallo avrebbe potuto significare un voto per il conservatorismo (delegato al poliziotto Harvey Keitel, che
sostiene il paradigma americano come l'unico per chiunque, con quattrini o senza, voglia bazzicare il suolo
americano, ma che, poi, simmetricamente, risulta il più corrotto della compagnia) un dardo alla faretra
di chi
la diversità la vorrebbe gerarchicamente subordinata e conculcata. L'assassino bianco vorrebbe
significare,
invece, chissà quale apertura verso il relativismo culturale, democraticità che si spande da tutti
i pori, capacità
di autointerrogazione e di autocritica. Che l'America, insomma, è un grande Paese, tanto grande da saper
individuare il marcio che lo sa Dio perché c'è cresciuto dentro, metter mano al bisturi e asportare
serenamente.
Già il semplice fatterello di aver cambiato razza all'assassino, tuttavia, acuisce la nostra sorveqlianza
e fa si che
non ci si inganni. Cambiare una narrazione è indice sicuro di una falsa coscienza. Ci vuol altro che la
dimestichezza asiatica di Sean Connery per riparare tutti i torti su cui riposa la sicumera americana: quel che
nel film ci vien presentato sotto le spoglie rassicuranti di un sostanziale e rispettoso pareggio è invece
l'involontaria rappresentazione di un severo dominio. Metabolizzato nell'acculturazione, il sol levante, per
insistere nella metafora astronomica, è tramontato da un pezzo.
P.S.: C'era una volta, per l'appunto, L'impero dei sensi di Nagisa Oshima (1976), film famoso,
vessillifero nel
mondo dell'idea tutta giapponese che l'eros senza thanatos valesse pochino. Tanto che i protagonisti andavano
in brodo di giuggiole per un orgasmo in giuliva ipossia (insufficiente disponibilità di ossigeno fino a
meritarsi
l'anticamera della tomba). Diciassette anni dopo il vizietto è passato alle bionde americane cui la
cocaina
sembra non bastare più. Ci si lamenta sempre per la quantità di cose che sono andate di
là (coca-cola, droga,
rock and roll, sistema capitalistico, etc.) ma, evidentemente, qualcosa in compenso è venuto di
quà. Ironia
dell'osmosi fra imperi.
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