Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 205
dicembre 1993 - gennaio 1994


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Il colore dell'assassino

Nessuna narrazione è innocente. Chi racconta attinge volente o nolente ad un patrimonio di valori, trasmette l'impostazione di problemi e le relative soluzioni così come hanno fatto comodo a qualcuno in un certo momento, legittima scelte e contribuisce a seppellire gli scarti. La riflessione viene opportuna dopo la visione di Sol levante (dovuto alla regia di Philip Kaufman e, più che ad altre, alle simpatiche fattezze di Sean Connery e Wesley Snipes), giallo di genere e sul giallo incentrato come pericolo per la «civilta» americana. Si dà il caso, infatti, che fra film e romanzo da cui è tratto (uno della serie dell'abile e fortunato Michael Crichton), si debba constatare, ahimè, una piccola differenza... Ma andiamo con ordine.
Fervono trattative per la cessione di una società americana al colosso dell'informatica giapponese. C'é di mezzo quattrini (tanti), gruppi industriali e uomini del capitale (qualcuno) e uomini politici (uno, principalmente), vuoi che manchi la botta di sesso torbido e ammorbato? All'insegna dell'impero dei sensi, ecco allora che la trattativa si trasforma in delitto e il delitto, hic et nunc, in trattativa. Che la polizia indaghi: prima di tutto sulla cultura giapponese, poi sulla corruzione dilagante e infine su se stessa, ovviamente, perché, gialla o bianca che sia la carne, ugualmente debole rimane. Scontri di cultura da una parte e dall'altra: quale tradizione rischia di più? Il pescecanismo occidentale - contaminato dai quattrini e dalla tecnologia-sempre-un-passo-più-avanti dei «diversi» -, o il pescecanismo orientale - contaminato dai simboli dei vincenti nella Storia-fino-ad-oggi? Che il film non regga sotto il peso delle incongruenze e dell'informatizzazione galoppante importa poco (perché a un film di genere è quasi implicito concedere un po' di franchigia in proposito), ma che per raggiungere alla propria meta ideologica debba «arrangiarsi» alla bell'e meglio è invece interessantissimo. Infatti - e qui arrivo alla piccola differenza - mentre l'assassino nel romanzo di Crichton è un giapponese, nel film, per un processo di pigmentazione ideologica, il medesimo assassino diventa bianco. Americano doc e magari biondiccio, in linea con il modello di assassino che va per la maggiore. Il che vale a dire che il cinema si assume una responsabilità meno limitata in materia di diffusione di modelli comportamentali con repertorio etico annesso. L'assassino giallo avrebbe potuto significare un voto per il conservatorismo (delegato al poliziotto Harvey Keitel, che sostiene il paradigma americano come l'unico per chiunque, con quattrini o senza, voglia bazzicare il suolo americano, ma che, poi, simmetricamente, risulta il più corrotto della compagnia) un dardo alla faretra di chi la diversità la vorrebbe gerarchicamente subordinata e conculcata. L'assassino bianco vorrebbe significare, invece, chissà quale apertura verso il relativismo culturale, democraticità che si spande da tutti i pori, capacità di autointerrogazione e di autocritica. Che l'America, insomma, è un grande Paese, tanto grande da saper individuare il marcio che lo sa Dio perché c'è cresciuto dentro, metter mano al bisturi e asportare serenamente. Già il semplice fatterello di aver cambiato razza all'assassino, tuttavia, acuisce la nostra sorveqlianza e fa si che non ci si inganni. Cambiare una narrazione è indice sicuro di una falsa coscienza. Ci vuol altro che la dimestichezza asiatica di Sean Connery per riparare tutti i torti su cui riposa la sicumera americana: quel che nel film ci vien presentato sotto le spoglie rassicuranti di un sostanziale e rispettoso pareggio è invece l'involontaria rappresentazione di un severo dominio. Metabolizzato nell'acculturazione, il sol levante, per insistere nella metafora astronomica, è tramontato da un pezzo.

P.S.: C'era una volta, per l'appunto, L'impero dei sensi di Nagisa Oshima (1976), film famoso, vessillifero nel mondo dell'idea tutta giapponese che l'eros senza thanatos valesse pochino. Tanto che i protagonisti andavano in brodo di giuggiole per un orgasmo in giuliva ipossia (insufficiente disponibilità di ossigeno fino a meritarsi l'anticamera della tomba). Diciassette anni dopo il vizietto è passato alle bionde americane cui la cocaina sembra non bastare più. Ci si lamenta sempre per la quantità di cose che sono andate di là (coca-cola, droga, rock and roll, sistema capitalistico, etc.) ma, evidentemente, qualcosa in compenso è venuto di quà. Ironia dell'osmosi fra imperi.