Rivista Anarchica Online
«Cultura invalida»
di Vácustav Havlusák
Così viene definita la cultura dell'underground ceco. Prendendo lo spunto dal volume di Egon Bondy
«Fratelli
invalidi» che esce in queste settimane nelle librerie per i tipi di Elèuthera.
A soli quattro anni dai rivolgimenti dell'89 sembra che i quarant'anni di
socialismo reale che hanno pesato sulla
vita di centinaia di milioni di persone, lasciando un marchio pesantissimo sulla storia di interi paesi, si siano
«dissolti», liquidati in fretta e furia come un errore il cui esito non poteva che essere la ripresa di un presupposto
corso naturale della storia, o per alcuni addirittura la fine di quest'ultima, ridotta a niente più che una
lotta tra
la concezione liberale del mondo e quella collettivistica. In tal modo, però, la fine della guerra fredda
porta
paradossalmente al realizzarsi di quello che era un sogno dei due campi che la hanno combattuta: da una parte
i regimi comunisti, la cui condizione ideale sarebbe stata quella di dispiegare le proprie strutture di potere su
masse amorfe di uomini privi di una storia, di una coscienza e di una vita quotidiana, dall'altra quella dei governi
e dei media occidentali, sempre preoccupati di dare ai propri destinatari l'immagine minacciosa, ma allo stesso
tempo rassicurante, di un mondo d'oltrecortina nel quale non vi fosse niente che sfuggisse al binomio
repressione-passività esistente tra la burocrazia comunista e il resto della società, con l'unica
eccezione che
conferma la regola, di alcune personalità eroiche (i dissidenti). Il risultato è che oggi in tutti
questi paesi i nuovi
detentori del potere, indipendentemente dal fatto che siano dei vecchi esponenti della nomenklatura come Eltsin,
o persone dal passato di dissidenti come Havel, basano la loro politica di costruzione di un «uomo nuovo»
capitalista, allo stesso tempo tragica e grottesca, proprio su questa pretesa nullità, inutilità
storica degli individui
e delle società di cui si trovano alla guida (affermata non a caso ossessivamente in ogni mezzo di
informazione)
riuscendo a proporsi come gli unici in possesso delle capacità «tecniche» o morali in grado di
permettere
l'importazione dall'occidente delle soluzioni più appropriate. Chi ha avuto modo di conoscere da
vicino le società dell'Est europeo in questi anni, sa tuttavia che le cose non
sono in realtà mai state così semplici. L'individuo e la società trovano sempre delle
forme di esistenza che
sfuggono agli sforzi determinativi, di forma violenta o persuasiva, messi in atto dai poteri dominanti. Una delle
figure dell'Est europeo che meglio esemplificano tutto questo è Egon Bondy, poeta, filosofo e prosatore
praghese, scrittore che nel suo paese è quasi un mito, ma è rimasto fino ad oggi del tutto
sconosciuto all'estero
e che finalmente la casa editrice Elèuthera ci fa conoscere con quella che è la prima traduzione
mondiale di una
sua opera, in libreria in questi giorni: il romanzo «Fratelli Invalidi», scritto nel 1974 e circolato unicamente in
samizdat fino al 1991, quando ne è uscita la prima edizione stampata.
Realismo totale La figura di Bondy non ha paragoni nell'Est europeo e
attraversa l'intera evoluzione di quella che è stato
l'underground ceco, un movimento antagonista al sistema socialista fino al punto da rifiutare di prendere una
posizione politicamente organizzata contro di esso, dando la propria preferenza invece a forme di «diserzione
attiva». Le radici di questo movimento risalgono agli anni '50 e cioè al periodo più tremendo
dello stalinismo.
Proprio in quegli anni bui, Egon Bondy, insieme ad altri poeti e artisti cecoslovacchi, tra i quali anche Bohumili
Hrabal (di cui sono state tradotte numerose opere in italiano e che ha fatto di Bondy uno dei personaggi dei suoi
libri, come per esempio in «Il tenero barbaro») dà vita ad un gruppo dal quale scaturiscono i primi
elementi di
quella che sarà successivamente la cultura del movimento, rintracciabili soprattutto nella poesia del
«realismo
totale» (dal titolo di una raccolta poetica di Bondy), che ricorre a elementi della stessa retorica totalitaria, per
giungere ad una sua mistificazione attraverso l'inserimento, o l'accostamento a contesti del tutto estranei
(«Stavo
giusto leggendo il resoconto del processo ai rei di tradimento / quando sei arrivata /
Dopo un attimo ti sei
spogliata / e quando mi sono sdraiato accanto a te / sei stata come sempre piacevole
// Quando te ne sei andata
/ ho terminato di leggere il resoconto della loro esecuzione»), oppure mediante il freddo
rispecchiamento dello
squallore della realtà. Già nei primissimi anni del socialismo reale prende così forma
quello che si può definire
il primo abbozzo di una comunità «alternativa» nei paesi dell'Est. Bondy, la sua compagna di allora
Jana erná
(di cui il lettore italiano può leggere il volume «In culo oggi no», ed. E/O, con prefazione
di Bondy stesso), il
pittore Vladimir Boudnik e altri vicini al loro gruppo rifiutano anche sul piano esistenziale ogni compromesso
con il regime. Non lavorando, non hanno nemmeno diritto alle tessere annonarie per il cibo e per avere di che
vivere alcuni tra di loro si danno addirittura ad attività di contrabbando con l'Austria (esportazione di
cristalli
di Boemia in cambio di calze di nylon, allora introvabili in Cecoslovacchia). Vengono inoltre organizzate
tra difficoltà incredibili quelle che si possono definire le prime edizioni samizdat
dell'est europeo, le «Pulnoc» («Mezzanotte»), delle quali si occupa principalmente un altro poeta del gruppo,
Ivo Vodsed'alek, la cui «poesia imbarazzante» («Ieri non mi sono lavata i piedi / nemmeno oggi / e anche
domani non lo farò / Come sono libera») ha moltissimi punti in comune con il «realismo totale» di
Bondy.
L'underground è pertanto un'esperienza esistenziale comunitaria dalle radici profondamente diverse da
quelle
dei gruppi della dissidenza, formati dopo gli anni '60 da ex-comunisti o da intellettuali che in precedenza
pubblicavano su riviste o per case editrici ufficiali, anche se poi non mancheranno nel corso degli anni i contatti
tra i due ambienti. Un altro particolare interessante da ricordare è che in quel periodo venivano ad
evolversi
contemporaneamente in due contesti completamente diversi, come erano quelli della dittatura stalinista in
Cecoslovacchia e del «consumismo totale» negli Stati Uniti, due esperienze artistiche ed esistenziali con
numerosissime caratteristiche comuni, vale a dire quelle dell'underground ceco e della beat generation
americana. Un'ulteriore testimonianza di come, pure in presenza di una politica oppressiva di chiusura totale
quale era quella dello stalinismo, abbia pur sempre continuato ad esistere nella società una dimensione
allo
stesso tempo originale e non estranea a quanto avveniva altrove al mondo.
Plastic people Egon Bondy è stato al centro anche di un'altra
stagione cruciale per l'underground, quella dei primi anni '70,
che vede il formarsi, a Praga, di un'ampia comunità alternativa, raccolta attorno al gruppo rock dei
Plastic
People, della quale Bondy farà parte e dalla quale prenderà spunto per il suo libro «Fratelli
invalidi».
Paradossalmente, quindi, lui che aveva accolto con diffidenza il «disgelo» degli anni '60 e la Primavera di
Praga,
rifiutando tutte le proposte di una pubblicazione delle sue opere nei circuiti ufficiali, trova la sua stagione
più
felice proprio negli anni in cui sulla Cecoslovacchia pesa la cappa della normalizzazione seguita all'invasione
sovietica. I Plastic People, comunque, degli anni '60 e del fermento culturale che hanno portato con sé
sono figli.
Al gruppo infatti danno vita alcuni musicisti praghesi provenienti da diversi complessi e uniti dalla passione
per la musica dei Velvet Underground, di Frank Zappa, di Captain Beefheart e dei Fugs. Accanto all'esecuzione
di brani di questi ultimi, i Plastic People cominciano a sviluppare uno stile e una musica originali e a
intensificare la propria attività, che nei primi anni venne tollerata, seppure con numerosi ostacoli, dalle
autorità.
Bondy scrive testi per la loro musica e i Plastic People intitoleranno uno dei loro migliori album «Egon Bondy's
Happy Hearts Club Banned». Tuttavia l'intervento repressivo dello stato non si fa attendere molto e nel giro di
poco tempo al gruppo viene vietata ogni esibizione in pubblico. I Plastic People sono costretti a suonare nelle
condizioni più provvisorie, in cantine sistemate alla bell'e meglio e addirittura nell'appartamento di
Egon Bondy,
finché il problema non viene risolto per un po' di tempo, grazie alla madre di uno dei componenti che
dà
ospitalità al gruppo in uno locale dell'osteria della quale è dipendente, a Klukovice, nei
sobborghi di Praga. E'
proprio da questo periodo che Egon Bondy trarrà ispirazione per «Fratelli invalidi», nel quale
l'esperienza del
movimento underground che si raccoglieva intorno ai Plastic People e il contesto della Cecoslovacchia socialista
di allora vengono trasposti in un mondo ridotto ad un'isola circondata da paradossali e minacciose montagne
d'acqua che minacciano costantemente di sommergerla. Il territorio dell'isola è diviso in due stati
esattamente
identici che ogni tanto si muovono guerra distruggendo tutto e costringendo gli abitanti, passivamente complici
del regime, a sgobbare pesantemente ogni volta per ricostruire ogni cosa e tornare a vivere negli agi, e
nell'abulia, procurati dalla quinta rivoluzione tecnico-scientifica. I due stati sono governati dalla casta degli
ufficiali, che per mantenere l'ordine si avvale di un onnipresente corpo di polizia (i «minorati», come
affettuosamente li definisce Bondy). In questo contesto autoritario e opprimente,
però, esiste anche qualcosa
di diverso: la classe degli invalidi, cioè di coloro a cui il regime preferisce fornire una pensione di
invalidità
perché «inabili» all'inserimento nella società e nella produzione, piuttosto che cercare di
incarcerarli in massa
o di ricuperarli alla vita «normale». Tra gli invalidi c'è di tutto: rivoluzionari marxisti, santoni
indù, musicisti
rock, filosofi misantropi, operai, falsari e altro ancora, tutti uniti, pur nel rispetto della reciproca
diversità, dal
vincolo della solidarietà che permette loro di condurre una vita al di fuori del sistema, senza lavorare
e facendo
quadrato per contrastare il più possibile gli interventi repressivi dei «minorati». Il libro è
assolutamente unico
nel panorama della letteratura «dissidente» dell'Est arrivataci fino ad oggi, un vero manifesto degli «alternativi»
del socialismo reale, che risulta addirittura profetico nel finale, il quale anticipa di quindici anni la scomparsa
dei regimi comunisti.
Individui e società Una comunità come questa, che era
riuscita a ritagliarsi uno spazio tutto suo, per quanto angusto, non poteva
che diventare il centro delle repressioni del regime, che non tardò a scatenarle, arrestando numerosi
membri del
gruppo con motivazioni assurde. Fu da questo giro di arresti che ebbe origine una delle più importanti
iniziative
della dissidenza dell'Est, Charta 77, che vide numerose personalità della cultura e della politica, insieme
a molte
persone comuni, unire le proprie firme in una petizione nella quale si chiedeva la liberazione dei musicisti
arrestati. Bondy tuttavia non farà mai parte di Charta 77 per le forti riserve nutrite nei confronti di
numerosi suoi
membri, oggi si può dire, non a torto. Verso la fine degli anni '70 si apre quindi uno dei periodi
più bui per
l'underground ceco, che oltre ai suoi membri rinchiusi in carcere perde anche quelli che, esposti alle continue
minacce della polizia politica, optano per l'emigrazione. Tuttavia anche in questo clima depressivo non si
esauriscono gli impulsi vitali e negli anni '80 si forma una nuova generazione di giovanissimi scrittori
underground, che ancora una volta trarrà ispirazione dall'opera e dalla figura di Egon Bondy (tra tutti
vale la
pena di ricordare Petr Placak, poeta e autore del travolgente romanzo «Medorek», nel quale l'allucinato mondo
della Cecoslovacchia normalizzata viene visto con gli occhi di un iracondo ed esuberante adolescente, una
specie di stravolto «Giovane Holden» dell'Est). Dopo la scomparsa del regime comunista nel 1989 la
«cultura invalida» (così M. Vodráka definisce, traendo
ispirazione dal libro di Bondy, l'insieme delle esperienze dell'underground ceco, in un interessante articolo
comparso sulla rivista «Vokno») si trova ad attraversare un periodo in cui è costretta a mettere in
discussione
se stessa. E mentre tra gli esponenti dell'underground c'è addirittura chi non disdegna di accettare un
posto di
funzionario presso il nuovo ministero degli interni (come il fondatore della succitata rivista «Vokno»), Bondy,
che non ha mai accettato nemmeno una volta in quarant'anni di scendere a patti con il regime comunista,
prosegue coerentemente sulla sua strada opponendosi in maniera netta e aperta alla restaurazione del sistema
capitalista nel suo paese, a costo di alienarsi la simpatia di molti colleghi, soprattutto quando, nel 1992 decide
di partecipare alla campagna elettorale del Blocco di Sinistra, del quale fa parte anche il Partito Comunista,
nonostante in questi ultimi anni sia stato politicamente molto vicino a gruppi anarchici. Indipendentemente dalle
scelte dei suoi singoli esponenti, un rivolgimento delle dimensioni di quello prodottosi nel 1989 e negli anni
seguenti non poteva non mettere in crisi la comunità underground. Una crisi può tuttavia essere
molto più
salutare e fruttuosa di quanto non sia il successo ottenuto dall'altra ala dissidente, quella dei comunisti pentiti
e degli intellettuali impegnati, la quale, trovatasi priva del «nemico» si è ritrovata allo stesso tempo
priva di idee
e di punti di riferimento, optando di conseguenza per l'accettazione in blocco del modello proposto da occidente
(è interessante a proposito andarsi a rileggere oggi con senso critico e con il senno di poi le opere di
questi
dissidenti pubblicate dieci o quindici anni fa. Una delle più elaborate, non priva tra l'altro di elementi
libertari,
è «Il potere dei senza potere» di Vacláv Havel, ripubblicato di recente in Italia da Garzanti).
L'intera vicenda dell'underground ceco e le opere che esso ha lasciato in eredità, possono costituire
un'utile
traccia per ripercorrere una realtà che per quarant'anni è stata quella di milioni di persone, per
riscontrare come
anche in condizioni apparentemente impossibili abbiano preso vita e si siano evolute esperienze e opere che,
senza evadere dal contesto circostante, hanno saputo costituirne un'alternativa, spesso anche pratica. Ed
è solo
cercando di riprendere il filo della propria storia di individui e di società, sia negli aspetti negativi che
in quelli
positivi, rifiutandone l'archiviazione frettolosa, che, a opinione di chi scrive, i popoli dell'Est potranno uscire
dal disorientamento e dall'apatia attuali per intraprendere una strada autonoma e di conseguenza anche
più
aperta all'esterno.
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