Rivista Anarchica Online
La morte di Tarzan
di Gianni Sartori
Il 23 settembre Tarzan Sulic, bambino «zingaro» di 11 (undici!) anni muore nella
caserma di Ponte Brenta
(Padova) per un colpo della beretta 92s in dotazione al carabiniere Valentino Zantoni. Lo stesso ha ferito,
quasi mortalmente trapassandola al torace, la cuginetta Mijra. Su questa morte, da più parti definita
«omicidio di stato», si è cercato di stendere un velo poco pietoso, il velo
di una «copertura» istituzionale della verità in cui «magistrato, giornali, TV e colonnelli dell'arma
hanno giocato
il loro ruolo». Questo sostiene il Comitato di controinchiesta che a Padova si è mosso con impegno e
determinazione per mantenere aperta l'attenzione su questo gravissimo episodio. Al Comitato hanno aderito
decine di gruppi, associazioni, singoli ed è in preparazione un video che raccoglie
gli elementi della controinchiesta. Il Comitato ha messo in discussione la versione ufficiale, quella data
per buona dal P.M. dottor Cappellari
secondo cui un bambino di 11 anni sarebbe stato in grado di disarmare un ex parà nello spazio di 70
cm e poi,
lottando con il carabiniere alto 1.90, caricare la pistola e spararsi addosso. «Attualmente - informa il
Comitato - il carabiniere in questione è stato sospeso e trasferito, unicamente a sua
tutela, non è ufficialmente ancora indagato, mentre la famiglia dei due bambini nomadi ha dovuto
spostarsi di
molti chilometri, viste le pesanti attenzioni dei tutori dell'ordine». Ma gli aderenti al Comitato sono molto
critici anche con la stampa che avrebbe «letteralmente banchettato sulla
storia del "piccolo ladro"». Delusione soprattutto nei confronti degli articoli dell'Unità
che non si è fatta scrupolo di usare epiteti puramente
spettacolari (come «Tarzan di nome e di fatto») che convalidavano, dandola per scontata, la versione di giudici
e carabinieri. Dato che in proposito erano sorti equivoci, colgo l'occasione per dichiarare che il sottoscritto
non
ha nessuna parentela nè tanto meno affinità ideologica con il corrispondente padovano
dell'organo del PDS,
Michele Sartori. Quelli del Comitato si stanno battendo per ristabilire la verità,
perchè dietro a questa tragedia c'é una ben precisa
cultura dominante, quella del razzismo, pianificato con leggi e coperture. Come nel caso per tanti versi analogo
di Paolo Floriani, il comportamento di polizia e carabinieri nei confronti di «zingari» e immigrati rivela di
essere
solo uno degli effetti di questa «cultura» diffusa. Alcuni esponenti del Comitato ci hanno illustrato come, in
base
ai dati da loro raccolti, i «due bambini siano stati chiusi in cella e violentemente percossi». Inoltre «le
macchie di sangue, i fori sui corpi dei bambini, la perizia balistica, rivelano che il colpo va dall'alto
verso il basso». E ancora: «Quanto alle tracce di polvere sulle mani di Tarzan (secondo la perizia del
guanto
di paraffina) possono significare che ha tentato di proteggersi il viso al momento dello sparo». Un altro
elemento prodotto dalla controinchiesta è che la pistola (una 92s) è dotata di più sicure;
per essere
caricata con il colpo in canna ha bisogno di una pressione sul carrello di oltre sette chili e per premere il
grilletto, coperto da sicura, ce ne vogliono più di cinque. Inoltre, come poteva scorrere il carrello se
(stando alle
dichiarazioni dei carabinieri) il bambino impugnava l'arma almeno da una parte? E chi sarà mai la
persona che
si è presentata all'ospedale pretendendo la consegna del proiettile estratto dal corpo di Mijra? Tutto
questo, oltre
a smontare la versione ufficiale, alimenta dubbi inquietanti. Se il carabiniere voleva solo intimidire il bimbo,
perché oltre ad estrarre la pistola e puntarla addosso a Tarzan, ha anche messo il colpo in canna,
togliendo tutte
le sicure? Grazie all'opera del Comitato sembra che la Procura, dopo aver dichiarato che la versione
dell'unica testimone,
la bambina (secondo la quale il carabiniere avrebbe sparato a Tarzan) era «inattendibile», abbia intenzione di
far marcia indietro. Si parla di una possibile incriminazione del carabiniere per «omicidio
preterintenzionale». Fonti accreditate
spiegano questo cambiamento di rotta con nuove deposizioni rese dal militare. Avrebbe riconosciuto che al
momento dello sparo l'arma si trovava saldamente impugnata nelle sue mani. «Qualora tutto questo dovesse
essere confermato - dichiara il Comitato di controinchiesta - prende corpo una realtà atroce che va anche
al di
là delle ipotesi da noi formulate».
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