Rivista Anarchica Online
Terrorismo di Stato
di Gianni Sartori
Ultimamente si sente parlare sempre più spesso della tragedia sudanese;
anche la stampa italiana si è accorta
che in questo stato africano è in atto da tempo una vera e propria operazione di «pulizia etnica» su larga
scala.
L'impressione però è che se ne parli anche in modo strumentale; un po' come della
Somalia prima
dell'intervento. Stiamo per assistere ad una nuova Restore hope in «salsa» sudanese? Forse è ancora
presto per
dirlo ma comunque va tenuto presente che si svolgerebbe in condizioni più favorevoli (schieramenti
ben definiti:
uno islamico e l'altro, per forza di cose, destinato a schierarsi con l'Occidente); almeno dal punto di vista degli
Americani. Metto subito in chiaro una cosa: chi scrive non ha certo aspettato il viaggio del Papa per occuparsi
del problema: su questo e altri giornali ho denunciato senza mezzi termini lo sterminio programmato
cinicamente di più di mezzo milione di profughi deportati nel deserto e poi lasciati
lì a crepare. E questo
parecchi mesi prima che se ne accorgesse G.P. II°. Non nutro quindi simpatie di nessun genere per la politica
genocida del governo sudanese. Devo dire però, per correttezza, che alcuni articoli
(soprattutto inglesi e
americani) mi sono apparsi «pilotati», quasi propedeutici a nuove avventure militari di carattere «imperiale»,
anche se sotto l'egida formale dell'ONU. Naturalmente le efferatezze di Kharthum gridano vendetta al cospetto
di Dio e degli uomini: basti pensare a quelle denunciate recentemente dal SHRO (Sudan Human Rights
Organization) che avvengono nelle famigerate «ghost houses» (torture, amputazioni ... ). Tuttavia non possono
fornire l'alibi all'Occidente per l'ennesima operazione neocoloniale. Iraq e Somalia per ora bastano e avanzano...
La liberazione del popolo sudanese (così come il diritto all'autodeterminazione delle popolazioni
cristiane e
animiste del sud) spetta al popolo stesso, senza interventi interessati di sedicenti «liberatori», a stelle e strisce
o anche con il casco blu. Resta comunque degno di interesse analizzare (o meglio: tentare di farlo) quanto
avviene nei misteriosi campi di addestramento di cui da più parti si denuncia l'esistenza (definiti
«terrorist
training camps»). Anche, o soprattutto, perché funzionali alla repressione interna. Sui media è
stato
periodicamente evocato lo spettro del terrorismo internazionale che in Sudan troverebbe asilo e addestramento.
Si sostiene che qui verrebbero preparati, militarmente ed ideologicamente, terroristi di tutto il mondo, arabi in
particolare, da inviare poi nelle aree strategiche del pianeta per compiere misfatti in nome dell'integralismo
islamico antioccidentale. Al di là dell'uso strumentale che può esserne stato fatto le notizie sui
campi di
addestramento non sono prive di fondamento. I campi esistono, anche se soprattutto ad "uso interno", per
preparare miliziani da inviare nel sud a fianco dell'esercito regolare. Questo vale anche per la presenza (tanto
enfatizzata) di pasdaran iraniani e (purtroppo!) combattenti palestinesi che hanno preso parte ai combattimenti
contro le popolazioni (cristiane e animiste) della parte meridionale del Sudan. Questa ormai è anche
l'opinione
di alcuni qualificati osservatori: «Terrorismo in Sudan? Più in casa che fuori (more at home than
abroad)» ha
risposto recentemente un alto funzionario delle Nazioni Unite. Qualche perplessità in proposito deve
coltivarla
anche la Casa Bianca. La decisione presa dagli Stati Uniti nell'agosto del '93 di aggiungere anche il Sudan alla
lista degli stati che (secondo gli USA, naturalmente) sostengono il terrorismo internazionale (Cuba, Iran, Iraq,
Libia, Corea del Nord, Siria) sembrava definitiva; ma poi non sono mancate dichiarazioni, anche di fonti
ufficiali, che sostenevano come la decisione si fosse basata più su «indicazioni»
(indications) che
sull'«evidenza» (evidence). Dichiarazioni del genere confermano ulteriormente la confusione in tema di politica
estera che attualmente regna a Washington, anche se naturalmente lo scopo è stato ugualmente
raggiunto: ha
rinforzato l'isolamento di Khartum dagli altri stati arabi e da quelli occidentali. Inoltre ha costretto il governo
formato dal Fronte Nazionale Islamico a mobilitarsi per dare di sé un'immagine più decente
all'estero e per
rappresentarsi all'interno come autentica espressione della volontà popolare. Non bisogna
dimenticare che le posizioni via via assunte in proposito dagli USA riflettono in qualche modo (e
permettono di interpretare) le posizioni di alcuni stati arabi moderati, in particolare dell'Egitto. Questo vale
soprattutto per una certa dose di ambivalenza. Il Cairo infatti ha periodicamente dichiarato di avere prove
dettagliate dell'esistenza di campi di addestramento
terroristico. Ma, quasi altrettanto periodicamente, ha dichiarato di non avere tali prove. Come
è noto ha
recentemente dichiarato che farà pressioni su Washington perché venga cambiata la decisione
di inserire il
Sudan nell'elenco degli stati che sostengono il terrorismo. Un po' meno noto è invece che in precedenza
il Cairo
aveva fatto pressione insistentemente in senso contrario. I campi esistono, si diceva. Secondo fonti d'agenzia
solitamente ben informate «non c'è dubbio che in Sudan si addestrano persone che potrebbero essere
usate in
azioni del tipo di quelle comunemente definite terroristiche». Quello che le stesse fonti ammettono
è di non essere in grado di stabilire con assoluta certezza se il governo
sudanese ha programmato queste attività anche in vista di un loro possibile impiego a livello
internazionale.
Prevale comunque l'impressione che l'addestramento di miliziani sia visto soprattutto come una garanzia per
il mantenimento del regime che non ha certo intenzione di lasciare il potere senza combattere. I campi sono di
vario genere: di pubblico dominio è da tempo l'esistenza di quelli per l'addestramento delle Forze di
Difesa
Popolare (People's Defence Forces; PDF). In questi campi l'addestramento dura dai tre ai sei mesi ed è
obbligatorio per gli abitanti delle città, per gli studenti che hanno finito le superiori, per gli impiegati
governativi
di entrambi i sessi. Coloro che rifiutano di prestare questo "servizio" vengono licenziati e non trovano
più
lavoro. I partecipanti ricevono un rudimentale addestramento militare e soprattutto un indottrinamento politico
e religioso, incentrato sul concetto di Jihad (Guerra Santa). Dei più importanti campi del PDF è
nota anche la
localizzazione. Si trovano a El Giteina (Nilo Bianco) e a Jebel Aulia (vicino a Khartum). Un altro campo
più
piccolo sarebbe dislocato a El Gereif (Khartum). In ognuno sarebbero sempre presenti migliaia di "coscritti".
Un alone di mistero circonda invece i campi di El Mazraa (a nord di Khartum) e di Arous (vicino a Port Sudan)
dove, a quanto pare, non si addestrano i semplici e ordinari miliziani del PDF. Molti altri,
sconosciuti, sono stati
allestiti nelle vaste aree poco abitate del Sudan. Qui si troverebbero i «consiglieri , stranieri» di cui ultimamente
si è tanto sentito parlare. Negli ultimi tempi sono stati ripetutamente notati negli aeroporti ed in alcune
località
sudanesi misteriosi visitatori, piuttosto inusuali come «turisti». Alcuni erano sicuramente iraniani (di lingua
«farsi» e con camicie senza collo), altri, presumibilmente arabi, con la barba ed il turbante, in genere tra i venti
e i trenta anni. Il governo li ha definiti «fratelli nell'lslam» senza meglio identificarli. «Certamente - ha
osservato un
funzionario d'ambasciata - non sembrano professori di teologia o "aid workers", come a volte sono stati
descritti». Si calcola che gli iraniani presenti in Sudan siano almeno 2000 (duemila); per lo più si tratta
di
istruttori militari e svolgono la loro attività nei campi definiti «chiusi». Sarebbero presenti anche
veterani
dell'Afghanistan, militanti di Hamas, di Hezbollah, della «Jihad», del gruppo di Abu Nidal e anche dell'OLP.
Il governo sudanese è stato per anni in buoni rapporti con tutte queste organizzazioni. Sebbene abbia
dato la
sua approvazione ai recenti accordi di pace (Yasser Arafat, tra l'altro, è amico personale del capo del
FNI,
Hassan el Turabi) le relazioni rimangono estremamente cordiali anche con Hamas. Per quanto riguarda la
presenza dei pasdaran, va precisato che l'Iran non controlla il FNI; in parte lo ispira, di sicuro lo
finanzia e
rifornisce di armi ma comunque in maniera decrescente, molto meno di quanto alcuni recenti reportages
giornalistici hanno sostenuto. Le stesse fonti ufficiali iraniane hanno invece ammesso la presenza dei cosiddetti
«volontari». In proposito bisogna ricordare che i vari gruppi religiosi-militari non sono una pura
e semplice
emanazione del governo iraniano ma hanno una loro autonomia, soprattutto sul piano economico. Naturalmente
godono in genere dell'approvazione governativa, ma questo non significa che tutte le loro iniziative derivino
dal potere politico. Attualmente i pasdaran (Guardie della Rivoluzione) sono un modello per le milizie del FNI;
invece i «Baseej» (Volontari della Rivoluzione) sono un riferimento per il PDF. A suo tempo i «Baseej»
diventarono famosi (loro malgrado, presumibilmente) perché andavano in battaglia, durante la guerra
Iran-Iraq
portandosi appresso piccole chiavi di plastica «per poter entrare in Paradiso». Militarmente si dimostrarono un
vero disastro ma bisogna riconoscere che con il loro sacrificio permisero all'Iran (aggredito e non
aggressore,
nonostante la propaganda occidentale) di resistere. Morirono a milioni. Oggi in Sudan probabilmente si cerca
di fare altrettanto, se non di più. Sembra proprio che gli addestrati nei campi vengano sommersi dalla
propaganda. D'altra parte, anche se in misura minore, lo stesso accade a tutta la popolazione in genere. E'
accaduto, e non una sola volta, che uomini politici e perfino qualche noto accademico sudanese apparissero in
televisione spiegando che «quando il PDF va in battaglia nel sud gli alberi sussurrano ALLAH AKBAR» (frase
che notoriamente è l'inizio della chiamata alla preghiera e che gli integralisti islamici hanno adottato
come
slogan). La televisione sudanese ha inoltre ampiamente illustrato come, nelle stesse circostanze, «gli uccelli
conducano il PDF nei luoghi dove si nascondono i ribelli» (Garang & C. ma spesso anche popolazioni
inermi
ndr). Inoltre, sempre secondo la TV sudanese «le scimmie liberano i campi dalle mine e le nuvole
discendono sui
combattenti dell'SPLA (Sudan People's Liberation Army, il movimento di resistenza delle popolazioni
meridionali ndr) per impedire loro di vedere i mujahidin che si avvicinano». Inoltre, se un militante del PDF
viene ucciso «il corpo non si decompone ma emette il profumo del paradiso ...». Mi rendo conto che a questo
punto l'articolo sembra una rozza esercitazione di propaganda antislamica ma la colpa non
è di chi scrive. Esiste
comunque la registrazione dei programmi televisivi sudanesi a conferma. D'altra parte non dimentichiamoci di
quello che inculcava certa propaganda patriottica nostrana (magari coadiuvata dai cappellani militari) anche in
tempi non propriamente remoti. Del resto questi eccessi della propaganda hanno finito con l'infastidire perfino
numerosi esponenti dell'esercito, quelli cioè che avrebbero dovuto sentirsi coadiuvati dal PDF sul
campo di
battaglia. Anche sulla stampa locale qualche anziano ufficiale, di fede musulmana, ha fatto dichiarazioni
perlomeno polemiche a riguardo: «Quando è il momento di combattere non ci sono nuvole che
scendono dal
cielo e nemmeno uccelli che sussurrano parole di incoraggiamento. Il PDF ha organizzato un gran lavoro
propagandistico ma i suoi militanti si sono rivelati incapaci di combattere. Con i loro discorsi hanno finito con
il demoralizzare le nostre truppe regolari. Inoltre quelli del PDF molte volte si danno alla fuga al momento di
combattere». Ha inoltre aggiunto che sia lui che altri ufficiali quando c'era una battaglia importante preferiva
mandarli altrove per non rischiare di comprometterne l'esito. «Molti di loro si ferivano da soli, sparandosi ad
un arto, per essere rimandati a casa e comunque quando morivano non c'era nessun profumo di Paradiso».
Parole che quantomeno mettono in dubbio l'efficacia dell'addestramento nei famosi campi.
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