Rivista Anarchica Online
Una barbarie da combattere
di Gianni Sartori
Una campagna internazionale contro le mine antiuomo, promossa da numerose
Organizzazioni Non
Governative, dalla Croce Rossa Internazionale, dall'UNICEF ... , è stata avviata per ottenere la messa
al bando
di questo inumano strumento di morte. Un'arma che ha al suo «attivo» soprattutto vittime civili. Anche in tempo
di pace. Si va sempre più diffondendo l'idea che l'impiego di mine antiuomo sia un crimine
particolarmente efferato,
anche secondo i parametri militari. Le mine infatti non discriminano tra un «nemico» vero e proprio (il militare)
e un civile. Inoltre restano attive, operanti e devastanti, anche dopo che è stata decretata la fine della
guerra.
Ripeto: anche ragionando in termini strettamente militari (in una logica quindi già aberrante per conto
suo) l'uso
di queste mine dovrebbe quantomeno essere limitato ai percorsi di truppe e comunque dovrebbero essere
disattivate a conflitto concluso. Invece questo di solito non avviene e le mine diventano un'arma mortale
rivolta soprattutto contro i civili e a
tempo indeterminato. A livello mondiale si assiste ad un ulteriore incremento dell'uso di mine.
Attualmente fra i maggiori acquirenti vi sono i paesi della ex-Jugoslavia: si parla di almeno tre milioni di
mine
usate in circa due anni. Le mine sono facilmente reperibili sul mercato ed il loro costo è
relativamente modesto: cinque dollari, in
media. Ma i numerosi «resti magazzino» vanno via anche per mezzo dollaro. La maggior parte delle
mine in circolazione sono dotate di un particolare accorgimento per cui, prima di
scoppiare, saltano in aria per circa un metro in modo che le schegge diventino ben più efficaci ...
Secondo una recente stima delle Nazioni Unite nel mondo ci sarebbero più di cento milioni di mine
attive. Dal
canto suo il Pentagono (che in proposito deve essere ben informato) parla di ben duecento milioni. Tra i
paesi più infestati ricordiamo l'Afghanistan, l'Angola, l'Armenia, l'Azerbaijan, la Cambogia, la
Colombia,
El Salvador, l'Etiopia, il Guatemala, l'Honduras, l'Iran, l'Iraq, il Kurdistan, il Kuwait, il Laos, il Mozambico,
lo Sri Lanka, il Sudan, l'Uganda, il Vietnam, le alture del Golan ... È stato calcolato che soltanto
una percentuale molto esigua delle persone colpite da mina riescono a raggiungere
un punto di soccorso per avere un adeguato trattamento. Per ogni sopravvissuto all'esplosione
bisogna calcolare due morti. Inoltre il 75% dei sopravvissuti subisce
un'amputazione. Vediamo più in dettaglio la situazione di alcuni paesi tra i più colpiti.
Sparse per l'Afghanistan ci sarebbero
ancora più di dieci milioni di mine attive. Ricordo che almeno un quinto del milione di morti afgano
è stato
provocato da mine. Queste hanno anche provocato circa mezzo milione di feriti. In Cambogia vi sono
(sempre secondo dati delle Nazioni Unite) quasi cinque milioni di mine; gli amputati sono
circa 30.000 (1 ogni 236 abitanti). In Angola gli amputati sono 20.000 (1 ogni 470 abitanti); in Vietnam
60.000 (1 ogni 1.250 abitanti); 15.000 in
Uganda (1 ogni 1.100 abitanti). Più alta la percentuale in Somalia con un amputato ogni 650 abitanti.
E, ricordo,
gran parte delle mine (soprattutto quelle di plastica) sono italiane. Italiane sono anche gran parte delle mine
sparse per il Mozambico (circa due milioni) con quasi 10.000 amputati
(1 ogni 1.860 abitanti). Da rilevare che qui è in atto una campagna di bonifica, di sminamento anche
con mezzi
e uomini «tricolori». Nel contempo però c'è un gran via vai di mine, made in Italy, di
nuovo modello, in plastica. Da un certo punto di vista, più che di «bonifica», si dovrebbe parlare
di sostituzione. Qualche precisazione sulle mine di plastica, particolarmente letali perché non
rilevabili. Ormai si vanno
diffondendo su tutto il pianeta, proprio perché praticamente introvabili, anche in caso di bonifica.
Va detto che anche i loro frammenti non sono rilevabili ai raggi X, riducendo quindi ulteriormente il
numero
dei casi in cui il soccorso è possibile. Ma l'infamia dei produttori e mercanti di morte non si ferma
qui: alcuni tipi di mine sono progettati in modo
da resistere alle esplosioni, così da impedirne lo scoppio se provocato dall'intervento dei bonificatori.
Sono
costruite in modo da non poter essere disattivate dall'intervento di macchine o dagli appositi «aratri». Si
va poi sempre più diffondendo l'uso di mine camuffate da oggetti di uso quotidiano (per es. giocattoli).
Per chi sopravvive allo scoppio ci sono in genere gravi mutilazioni. Ma, anche al di là delle
conseguenze per
il singolo individuo, ci sono sempre elevati costi sociali. Come è stato dichiarato ad un convegno
di Organizzazioni Non-Governative (ONG), nel caso delle mine,
soprattutto dei modelli più moderni e «raffinati», si dovrebbe parlare di «una tecnologia dei paesi ricchi
che
viene utilizzata quasi esclusivamente in paesi poveri e che contribuisce al loro impoverimento».
Tra l'altro le zone più infestate da mine antiuomo risultano essere quelle rurali, zone da cui
in genere non
vengono mai rimosse. Questo fatto mette comunque ulteriormente in luce il carattere indiscriminato,
terroristico dell'uso delle mine,
non certo finalizzato a colpire principalmente obiettivi militari ed economici ma soprattutto a massacrare civili
inermi. Famiglie che spesso sopravvivono grazie ad una economia di sussistenza (basata sulle
capacità fisiche dei propri
membri) risentono in maniera gravissima della perdita di individui validi; ugualmente è messa in grave
difficoltà dalla presenza di invalidi. Ancora più drammatiche sono le conseguenze
per le famiglie nomadi, come si è potuto osservare nel nord della
Somalia. Secondo le statistiche delle Organizzazioni umanitarie soltanto una persona su tre, tra quelle
colpite dallo
scoppio di una mina, raggiunge viva un centro sanitario. Sempre in base a queste statistiche un ferito da
mina richiede in media da due a cinque interventi chirurgici. Poi c'è ancora bisogno di protesi e
di riabilitazione. È fin troppo ovvio che i paesi poveri raramente sono in
grado di garantire questi servizi. Oppure, se vengono garantiti, incidono negativamente sulle spese per altri,
come le vaccinazioni. E, soprattutto, non dimentichiamo che la piaga delle mine antiuomo resta aperta
anche a conflitto concluso. Sono milioni e milioni i rifugiati sparsi nei campi di raccolta del Terzo mondo
in attesa di poter rientrare nella
loro terra; ma spesso al momento del rientro si trovano nell'impossibilità di riorganizzare una normale
attività
economica, una vita sociale. La presenza delle mine rende precarie e pericolose attività
indispensabili come la semina, il pascolo, la raccolta
della legna ... Direttamente o indirettamente quindi la presenza di mine provoca ulteriore miseria, fame,
disintegrazione sociale e spesso nuove emigrazioni. Un eventuale lavoro di sminamento è sempre
pericoloso e comunque molto lento. In Afganistan, dove lo
sminamento è operato dall'ONU, si calcola che ci vorranno almeno quindici anni per sminare le zone
definite
«prioritarie». Per riuscire a sminare almeno il 20% (venti per cento) del territorio, ai ritmi attuali, ci vorrebbero
4.300 anni (quattromilatrecento!). Ci si limita quindi a togliere le mine lungo le strade principali, per
riattivare l'economia e permettere il rientro
dei rifugiati. A completare lo «sminamento», come sempre, saranno poi le mani e i piedi dei viandanti, dei
contadini, della
vecchia intenta a raccogliere legna o del bambino che gioca tra le macerie ... Se si volesse si potrebbe facilmente
rendere le mine meno pericolose per la popolazione civile (anche restando sempre in una logica militare). Si
potrebbe prestabilire un sistema automatico di disattivazione dopo un tempo prestabilito, si potrebbero includere
pezzi di metallo che ne consentano il ritrovamento, rendere obbligatorie le mappe delle zone infestate ... in
modo che, almeno a guerre finite, non possano più far danni. Indispensabile sarebbe l'impegno,
anche dell'opinione pubblica, per una campagna internazionale per la messa
al bando di queste armi, così come è stato fatto per le armi chimiche. Esistono dei
precedenti: una Convenzione del 1981 («lnhumane Weapons Conventions») aggiunta alla
Convenzione di Ginevra del 1949 che si occupa appunto delle famigerate mine antiuomo. Purtroppo vi
hanno aderito soltanto una trentina di stati. Mancano all'appello gli USA, la Gran Bretagna,
l'Italia... È una Convenzione ancora incompleta dato che non prevede sanzioni per chi la viola.
Recentemente c'è stato
qualche piccolo segnale di speranza: nell'ottobre 1992 il Congresso USA ha accettato una moratoria di un anno
(poi rinnovata) sulla vendita ed esportazione di mine. Sempre nel '92, in dicembre, al Parlamento Europeo
è
stata votata una mozione che chiede a tutti gli stati membri di adottare la Convenzione del 1981 e di bandire
per cinque anni l'esportazione di mine. Inoltre diverse Organizzazioni Non-Governative europee e americane
(Vietnam Veterans of America Foundation, Medico International, Handicap International, Human Rights
Watch, Mines Advisory Group, Physicians for Human Rights) hanno dato inizio ad una campagna
internazionale contro l'uso delle mine. A questa campagna ha aderito anche la Croce Rossa Internazionale
e, più recentemente, l'UNICEF. Nel maggio del '93 si è svolta a Londra una Conferenza
Internazionale di ONG che ha visto una nutrita
partecipazione. Ma il cammino da percorrere risulta ancora lungo, incerto e «minato». Per bandire
le armi chimiche ci sono voluti venticinque anni e le trasgressioni non si contano. La messa al bando delle
mine antiuomo dipenderà anche dal livello di consapevolezza dell'opinione pubblica.
Il rifiuto morale di questi metodi inumani deve tradursi in precise richieste e in iniziative pubbliche di denuncia.
Contribuire, anche con offerte in denaro, alla campagna appena avviata dall'UNICEF, in difesa dei diritti
dell'infanzia contro la feroce barbarie delle mine, potrebbe essere un primo passo.
PAESI PRODUTIORI DI MINE Argentina, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Cina,
Cecoslovacchia, Danimarca, Egitto, Francia, Germania,
Grecia, Ungheria, India, Inghilterra, Israele, Italia, ex-Jugoslavia, Giappone, Nord Corea, Sud Corea, Olanda,
Pakistan, Polonia, Portogallo, Romania, Russia, Singapore, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Taiwan,
Turchia, Vietnam.
PAESI DOVE LE MINE ANTIUOMO COLPISCONO I CIVILI Afganistan,
Angola, Armenia, Azerbaijan, Burma, Cambogia, Colombia, EI Salvador, Etiopia, ex-Jugoslavia,
Falkland-Malvine, Guatemala, Honduras, Iran, Iraq, Kurdistan, Kuwait, Laos, Mozambico, Nicaragua,
Perù,
Rwanda, Somalia, Sri Lanka, Sudan, Uganda, Vietnam, Zimbabwe.
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