Rivista Anarchica Online
3 giorni in fiera
di Elisabetta Minini
Forte Guercio. La struttura del luogo suggerisce eventi di guerra, per contro lo
stato di abbandono dei locali e del
parco indica tutta la distanza non solo temporale da ogni situazione bellica, e in più getta un'ombra di
marginalità
sull'immagine della fiera. Polveriera fino alla seconda guerra mondiale, due enormi ali semicircolari di stanze
susseguentisi una dentro l'altra, con un giardino inselvatichito al centro, popolato in questi giorni umidi da
centinaia di lumache. Arrivando l'effetto è di sicuro impatto scenografico: la voce del microfono esce
da un tunnel
di mattoni a vista e graffiti color neon, una finestra dietro il palco mette tutti in controluce, (un banchetto che
vende birre e uno d'accoglienza) gestito dal Circolo Berneri di Torino, ideatore e principale organizzatore della
fiera. Dibattito sull'antipsichiatria, venerdì pomeriggio. Provocazione di Giuseppe Bucalo. «Vorrei
sapere chi di
voi non ha mai usato la psichiatria». Prosegue parlando di sciamanesimo come altra forma di approccio alla
realtà,
ammesso in culture diverse dalla nostra e qui bollato come manifestazione di follia, le voci che uno sente e a
cui
deve dare una spiegazione razionale pena l'esclusione dal mondo dei savi. «La cosa che manca è che
non hai
nessuno dalla tua parte. Soltanto la condivisione delle tue idee con altri ti può salvare». Vale anche in
generale,
come legge di integrazione sociale e di segregazione della diversità, qui applicata in forma feroce. Un
coordinatore del reparto psichiatrico autogestito di Imola dice di come sia necessario superare la cultura della
psichiatria innanzitutto, ancora prima di chiudere i manicomi. «Uno dei nostri pazienti parla coi marziani.
Quello
è il suo mondo. Suo fratello magistrato chiede di aumentargli la dose di psicofarmaci. Bisogna avere
molta
fantasia per fare gli psichiatri». Alessandra Pagetti racconta dell'esperienza antipsichiatrica statunitense: non
comunità con senso di protezione perenne all'individuo, ma luoghi di confronto e ascolto dove le storie
di ognuno
vengono considerate normali, umane, spesso derivanti da fattori fenomenici - per fugare il pericolo di venire
ancora una volta ghettizzati, perché i problemi non diventino immediatamente malattia. Progetti di
questo tipo
si prefiggono una qualche autonomia economica per non dover dipendere dai balletti delle politiche statali,
perciò
negli Stati Uniti si è ricorso a sovvenzioni private. Il pubblico - circa sessanta persone - interviene e
ogni tanto
protesta per il vociare che giunge dal fondo della sala, dove quelli che arrivano alla spicciolata si riconoscono
animatamente. Due ragazze dell'auditorio impegnano le orecchie e le mani: pelano patate e puliscono verdure
per
la cena. Domande di un pubblico interessato: come superare la ghettizzazione, in cosa consiste praticamente
l'autogestione nel trattamento, come affrontare l'angoscia di chi teme le sue percezioni alterate della
realtà e chiede
gli psicofarmaci. Le risposte assecondano la richiesta di concretezza e si calano anche nei particolari e negli
aneddoti di esperienze vissute, Messina, Imola, Stati Uniti, Olanda, dilungandosi con gli ultimi interessati e
scivolando tranquillamente fino al momento della cena. Preparare il cibo per cento o duecento persone non
è cosa
facile eppure nell'ambito dei tre giorni risulta uno dei momenti di più credibile autogestione e
collaborazione. Lo
si riconosce sia stando in cucina che fuori, dove la transenna è un bancone di legno aperto sotto. La
prima sera
i pizzoccheri mandano in delirio chi prepara: sono sbagliate le previsioni delle bocche da sfamare e bisogna
organizzare il bis, lo sformato di patate non si può fare perché manca il forno, le richieste fanno
improvvisare
frittate con cipolle, non si potrebbe avere qualcosa senza formaggio, barattolo del pepe che si rovescia in una
pentola piena. Insomma ordinarie scene di frenesia da grandi numeri, con molto divertimento e poco mestiere.
Il locale cucina sta tra i banchetti e due stanze con tavoli e sedie. La cena pare davvero conviviale, c'è
anche il
piacere di ritrovarsi di molti e molto vino per far fronte al clima decisamente umido che, per la mancanza
strutturale di porte e finestre non può essere lasciato fuori. Banchetti esplorati prima e dopo cena.
Alcuni sono
immediatamente identificabili: Centro Sociale Anarchico Torricelli, come dice la bandiera rossonera dietro.
Serie
di gadgets dell'anarchismo, spilline adesivi libri cassette più un folto campionario di materiale
animalista. La
scuola autogestita Bonaventure ha un banchetto con cassette video sulla sua esperienza e album di foto
progressive e commentate. Dietro un poster con un bambino che cammina sulle mani recita «Sì, sono
per una
scuola libertaria», e la foto porta la firma di Cartier-Bresson. Dopo cena una presentazione della scuola con
video.
Il Centro Documentazione Anarchica di Padova ha magliette autoprodotte colorate e nessun segno di
identificazione se non il forte accento locale dei ragazzi addetti alla vendita. A proposito di identificazione. Se
la fiera passa nella percezione dei cittadini di Alessandria come l'acqua che scorre - esclusi ovviamente i
«gestori»
del Forte Guercio e un gruppetto di giovanissimi contestatari solo nella sequela di bestemmie per essersi
inzaccherati di fango i pantaloni - tutt'altra attenzione ci riservano le forze dell'ordine. Stanno tranquillamente
disseminate nei pressi del «luogo convenuto» diverse macchine di polizia e carabinieri; fermano anche quelli
a
piedi, come noi tre che arriviamo dalla stazione. Uno dei due si chiude in macchina con le nostre carte
d'identità
e si perde nella trafila delle verifiche, l'altro è addetto all'intrattenimento. Da dove venite. Milano, dopo
i «fatti
del Leoncavallo», mette subito in allarme. Questa, su richiesta, afferma essere la ragione del controllo. Ordine
pubblico detto fatto. Dove andate. Fiera dell'autogestione bla bla bla nella pretesa di far passare una particella
di
interesse e valore e umanità su un'iniziativa che per «loro» è solo una rogna. Fate parte di
qualche centro sociale.
Rispondiamo no tentennando. Avete gli zaini e i sacchi a pelo... Anche dopo aver discusso con amici
sull'episodio, capitato quasi a tutti in forme diverse, questo trattamento continua a non sembrarmi normale. Mi
allarma e mi disturba. Torniamo ai banchetti. Quello della Cooperativa Alekos (Milano) ha prodotti del
Commercio equo e solidale, libri edizioni Elèuthera e la rivista Volontà, marmellate di prugne
cotte sul fuoco nel
villaggio di Granara, libretti informativi e addirittura un computer portatile con dimostrazioni dei programmi
che
la cooperativa realizza. Su un altro banchetto esteso ci sono in successione olio e sciroppi, marmellate e collane
fatte a mano. Dietro, uno striscione : «Centro studi libertari Emma Goldman », Imperia. Un banchetto itinerante
a seconda delle bizze atmosferiche è quello di Franco e Priscilla di Seborga (Imperia): le loro
marmellate e
sacchetti di lavanda sono per lo più andati in regalo o scambio. «Qui abbiamo regalato cinquanta vasetti
di
marmellata. Non è la fine del mondo ma almeno sono sicuro che quella lì non è merce»
dirà Franco domenica
prima di partire. Non passare necessariamente dalla mediazione del denaro non significa già smantellare
il
concetto di profitto? La pratica del baratto si estende alla fiera e domenica prima di congedarsi raggiunge il
culmine. Olio per libri, marmellata per marmellata, cioccolato per magliette, libri per niente. Anche se simbolico
e improvvisato, questo è comunque un tentativo di applicazione delle molte parole alate uscite dai
dibattiti,
eccessivamente teorici e non dimensionati su quello che c'era intorno. L'impressione è che siano stati
toccati
concetti fondamentali e ricorrenti, parole chiave e d'ordine senza cercare riscontri con la storia quotidiana dei
gruppi presenti che in buona parte hanno - o tentano di avere - un deciso risvolto economico. Le cascine di
produzione biologica, le cooperative sociali e culturali, le Mag e non solo nascono calandosi appieno
nell'economico, pur nell'intento di ricongiungerlo alla sfera politica e culturale, la cui separazione ha prodotto
il
collasso della società e l'emergere dello stato (Dario Padovan). A questo punto forse risulta ancora
più chiaro
come, affrontando questi temi, sia auspicabile uscire dai confini del movimento anarchico. Problemi come i
rapporti col mercato capitalista, lo stritolamento conseguente dei piccoli produttori, la necessità di una
rete di
vendita e mutuo appoggio, l'accesso al credito, la circolazione delle informazioni, le attività politiche
e sociali
connesse con i progetti economici per concretizzare la ricomposizione - hanno comunque trovato poche risposte
mirate nella parte teorica della fiera. Ciò in parte può essere dovuto alla mancanza di uno spazio
di espressione
preliminare dei gruppi, di presentazione finalizzata a un indirizzo più progettuale dei tre giorni.
Comunque
nell'ultimo dibattito una proposta di censimento è stata avanzata e accolta e ci siamo «scambiati gli
indirizzi» per
farne un bollettino di collegamento. Tornando alle conferenze. Sabato mattina circa ottanta persone riempiono
il tunnel per ascoltare Dario Padovan, Piero Toesca e Salvo Vaccaro sul tema «definizione di spazi per
un'autogestione allargata». Padovan, come già accennato, ricostruisce le tappe della separazione letale
tra sfera
pubblica e privata, dalla polis greca a noi. Toesca affronta le ricadute di questo processo nell'esercizio del
potere.
L'uso della violenza nella rivoluzione entra come suo connotato dall'ottocento alla metà del novecento,
e si tratta
evidentemente di un mezzo coniato dal potere che passa attraverso una parziale identificazione con esso. Oggi,
a seguito di una maturazione, il concetto di rivoluzione è diventato questione di rappresentazione ed
esercizio dei
metodi. Quelli delle istituzioni, dove la concentrazione del potere necessita della violenza, e quelli della
cosiddetta
società civile, che è viva e reale ma ha ancora poca consapevolezza di sé e non riesce
a sganciarsi
dall'immaginario del potere perché si pone il problema di come conquistarlo (la società
alternativa). I suoi spazi
invece sono interstiziali, le aree «dismesse e dimesse» dal controllo istituzionale, punti dove l'attuazione
è già
possibile. Per molti anni uno di questi spazi è stata la scuola. Si tratta, dunque, di occupare le pieghe,
distinguendo
la pratica dell'organizzazione dall'esercizio del potere. Finisce con questa indicazione programmatica
l'intervento
di Toesca; il successivo di Salvo Vaccaro sposta la riflessione su livelli generali spiegando la formula
dell'«autogoverno extraistituzionale». Due sono i movimenti di sottrazione dal potere: 1) sfuggire al ricatto della
forza come modo di gestione; 2) sfuggire la proprietà nel senso più vasto di tutto ciò
che è appropriabile: occorre
una critica della politica, ovvero, con una metafora efficace, «uscire dallo specchio». Ossia dal riflesso del
potere,
dalla sua mimesi. È questo l'errore, preterintenzionale, tipico del riformismo. Le caratteristiche di questo
nuovo
sé: «solitaire solidaile», da Camus. Cioè non chiuso, capace di orientarsi, che ha
deprofessionalizzato la politica
ricongiungendola alla sfera economica, che si esprime attraverso regole. Il dibattito, più conferenza
invero, si
conclude incalzato dall'ora del pranzo. Zuppa d'orzo a seimila e ratatouille a quattro. Forse i prezzi sarebbero
sembrati più accettabili in presenza di una specifica delle spese da far rientrare. Senza polemica.
Dibattiti ancora
nel pomeriggio. Non c'ero. La serata finalmente all'asciutto vede fuori un fuoco enorme dove verranno cotte
melanzane peperoni e scamorza. Una ragazza dai capelli neri nell'operazione si arrosta e si bagna alla fontana
alternativamente. Il fuoco raccoglie un gran numero di persone divise in gruppi, fitte conversazioni, musica da
due chitarre, neanche un accenno di danza. Naturalmente ci si dilunga fino allo stremo, oltretutto stanotte finisce
l'ora legale. Domenica. Gli umori si sono affiatati; in un lungo trascinarsi di colazioni, con la selva di tende che
si dirada e un sole pallido, inizia l'ultimo giorno della fiera. Al dibattito relatori di tre esperienze autogestite
già
ampiamente avviate. Paolo Ermani del Centro di Biotecnologie di Hannover fa una breve storia del progetto
e
si dispone in attesa di domande. Distribuisce volantini esplicativi sul centro: nato nell'81 per studiare e divulgare
energie alternative e rinnovabili, per renderle credibili e collegarci prospettive di lavoro. Una mostra itinerante
-
la cosiddetta «Mobile» - porta in giro queste conoscenze: in questo periodo transita per l'Italia. A livello molto
più locale, un gruppo sociale in provincia di Asti nato nel 1977 per far fronte all'emarginazione, si
trasforma poi
in cooperativa di lavoro. Ne parla Silvia Cotto. «All'inizio si faceva raccolta di materiali di recupero, poi
abbiamo
collaborato con piccoli comuni sulla raccolta differenziata. Seguono altre attività come un laboratorio
di tessitura
manuale, una promozione del biologico nelle mense dei bambini, con rete di collegamento per la distribuzione
locale. Col tempo è rimasto solo il punto vendita; la cooperativa attraversa ora un momento di
ristrutturazione».
Per la Mag 6 di Reggio Emilia, ben nota nei circuiti «alternativi», parla Giovanna e ne enuncia i punti saldi:
eterogeneità, qualità dei rapporti interni e dei prodotti, bilanci di giustizia per dirottare meglio
i consumi,
partecipazione aperta ai consigli di amministrazione, trasparenza, trasversalità, garanzie fiduciarie
basate sui
rapporti di conoscenze. Si apre il dibattito, o meglio il tanto atteso giro di presentazione delle «realtà»
partecipanti. Prima di ciò, un intervento bellissimo ricorda un'altra ricaduta delle leggi di mercato, di
come
vengano riproposte nei rapporti interpersonali: chi si offre troppo scende di prezzo, vale meno. Pare acquisito.
O no?
Ad Alessandria, tra gli altri c'erano anche....
Mag 6, Reggio Emilia. Domanda di partenza: come
essere alternativi in economia? Risposta: ponendo l'uomo
al centro dell'economia. Traducendo: creare una struttura non a scopo di lucro, con alto grado di
democraticità
interna (chi ci lavora prende le decisioni); scegliere di finanziare chi ha queste stesse caratteristiche; chiedersi
qual
è il tasso di interesse equo.
Centro Studi Libertari Emma Goldman, Imperia.
Biblioteca, archivio, interventi nel sociale (es. partecipazione
a un comitato di base contro un inceneritore). Agricoltura e artigianato per sostenere le spese del centro.
Progetto
di ristrutturare una cascina e dedicarsi appieno all'agricoltura.
Circolo Bakunin, Roma. Agricoltura biologica,
cooperazione sul territorio. Necessità di interconnessione con
altri gruppi su attività come doposcuola, centro di commercializzazione.
Centro Documentazione Anarchica, Padova. Archivio,
biblioteca, distribuzione militante, laboratorio di
serigrafia, potenziale laboratorio fotografico.
Centro Sociale Indios, Grottaglie (TA). Propone un
coordinamento regionale delle realtà autogestite e dei centri
sociali, non solo anarchici. Azioni politiche, esempio contestazione antiberlusconi alla fiera del Levante.
Cooperativa Robert Owen, San Giorgio Jonico (TA).
Problemi del lavoro.
Earthfirst, Stati Uniti. Sfida al potere industriale, produttivo, tramite
azioni dirette (es. blocchi a strade di accesso
a foreste e miniere). Intervenire laddove c'è la base economica dle potere: le risorse, che noi chiamiamo
ecosistemi viventi. Sostegno alla cultura degli Indiani d'America e in generale ai "nativi" delle varie zone del
mondo (movimento de-colonialista).
Gino, Bitonto (BA). Cinque ettari di terreno da
coltivare fuori dalla logica di sfruttamento e colonialista del nord.
Necessità di collegare le realtà autogestite del sud Italia.
Enrico, Agrigento. Agricoltura biologica da dieci
anni. Cooperativa di consumatori con negozio. Necessità di
stabilire contatti di affinità per mutuo appoggio, scambio di esperienza, sostegno economico.
Franco e Priscilla, Seborga (IM). Produzione orticola biologica,
tentativi di scambio anche tramite dono.
Cooperativa Alekos, Milano. Scopo: favorire,
attraverso una rete di scambi economici, personali, culturali e
politici, la realizzazione di un ambiente di lavoro attento ai valori della relazione, della convivenza, del
mutualismo, della solidarietà e dell'ecologia. Aree d'intervento (eterogenee almeno quanto i soci):
servizio guida
nei musei storici di Milano, vendita prodotti commercio equo e solidale, divulgazione su tecnologie appropriate,
creazione e gestine sistemi informatici, animazione, grafica, ristrutturazioni e imbiancature.
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