Rivista Anarchica Online
Contro il fascismo televisivo
di Antonio Catalfamo
Mi è arrivato, ancora fresco di stampa, Dopo lungo disamore
(s. i. p) , volume di poesie di Antonio De Rose.
L'Autore, oltre che poeta, è redattore di Umanità Nova, il prestigioso giornale
anarchico fondato nel 1920 da
Errico Malatesta. Mi ha colpito, innanzitutto, la varietà dello stile, dal classico, che domina le prime
composizioni, all'avanguardia, nell'ambito della quale si iscrivono le poesie che concludono il volume. Si veda,
ad esempio, Orpell'i: Com'ete albi lanciarsi/del chi aro scurolunare/forse muta rmi/o far sitras figurare.
Questa
varietà dimostra abilità, padronanza, e una conferma è rappresentata in tal senso dal
plurilinguismo della
raccolta: alcune composizioni sono scritte in francese e in inglese. Ma l'originalità non si ferma
allo stile. La poesia di De Rose è sofferta, la malinconia delle immagini a
correlativo oggettivo della realtà dolorosa del nostro tempo, che si riverbera nell'animo del poeta. Febo
Delfi,
scrittore neogreco, diceva che viviamo nel giorno falso delle profezie e dell'amore che non esiste. E
amore e
dolore sono le parole che più spesso ritornano nella raccolta di De Rose. Un amore combattuto
il suo. Basta
citare alcuni versi: Dove mi porti/è giorno avanti/eccitazione di testa/amore mai; È
di nuovo partenza/pianti sulla
banchina/raccogli capelli/biondi e lunghi(quasi interiori)/odi i passetti di una corsa/ creduta
felice/pensandomi
preso/in un florilegio da te amore/di buona terra abbronzata/Sul manto neutro della
collina/alle spalle del
porto/ il sole che trovo/farà a meno dei nostri rimorsi. Ma questa poesia
così sofferta non può essere ascritta all'ampio arco decadente della nostra letteratura, che
arriva sino ai nostri giorni. C'è il dolore, ma non la rinuncia. Scrive il poeta: Sempre annuso i
miei sogni nelle
notti fredde. E il sogno, come ha sottolineato efficacemente Ernesto Balducci, non è semplice
fuga, è un modo
di prospettare un mondo diverso da quello che conosciamo, un mondo migliore. Significa dare libero sfogo
all'''homo absconditus" che è dentro di noi, alle parole che appartengono ad ognuno di noi e che sono
diverse
da individuo ad individuo. E così si esprime la protesta contro il fascismo televisivo dei giorni nostri,
che cerca
di imporre non solo la cultura, ma anche le parole della classe dominante. Un fascismo più sottile di
quello
archeologico del ventennio, che non solo toglie la libertà, ma fa in modo che ognuno la senta come
qualcosa
di superfluo, alla quale rinunciare senza indugio. In questo senso, la poesia di De Rose è rivoluzionaria,
come
il suo sogno. Questa dimensione onirica emerge anche a livello lessicale: talvolta viene meno il nesso
strettamente logico delle parole, così come nel sogno, e prevale l'analogia. Anche le immagini sono
sfocate,
come nella dimensione onirica, descritte con poche sapienti pennellate (De Rose, occorre sottolinearlo, oltre
che poeta, è pittore ed ha disegnato egli stesso la copertina del libro). E il sogno, se è collettivo,
diventa realtà.
|