Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 215
febbraio 1995


Rivista Anarchica Online

Qui, Quo, Qua e la seconda Repubblica
di Maria Matteo

Viviamo in un periodo strano: caotico, convulso e insieme pervaso dalla convinzione diffusa che più nulla di nuovo possa apparire all'orizzonte, che tutto sia già dato e che niente si proponga se non nel segno della ripetizione, della moda che scimmiotta pateticamente stagioni passate. Forse non è che una sindrome di fine secolo, un secolo che nel calendario cristiano chiude anche il millennio e si sottopone, in virtù di quella stramba magia che talora hanno i numeri, all'onere curioso dei bilanci.
Per quel che mi concerne mi guarderò bene dal tentare valutazioni sulla natura epocale degli avvenimenti della storia più o meno recente, limitandomi ad alcune considerazioni su quanto si è agitato negli ultimi mesi sulla scena politica e sociale della nostra bella Italia.
Le complementari categorie di "vecchio" e di "nuovo", tradizionale patrimonio di propagandisti del detersivo e stilisti di grido, sono ormai potentemente entrate a far parte del gioco politico, assumendo il ruolo che nella filosofia greca era attribuito alle nozioni di essere e non essere. Il divenire, elemento dinamico che interpreta il movimento tra chi è e chi non è, tra chi non è più e chi torna ad esserci è magistralmente riassunto nel problematico ma euristicamente efficace concetto di "riciclato". Intorno alle tre idee cardine di "vecchio", "nuovo" e "riciclato" è stato possibile operare una semplificazione dello scontro politico che l'ha riportato alla propria purezza formale, prescindendo da ogni spuria questione di contenuto.
Così, la destra e la sinistra si accusano reciprocamente di rappresentare il vecchio che, dopo un paio di operazioni di chirurgia estetica e qualche seduta dal parrucchiere, ormai "riciclato" è pronto per il "nuovo che avanza". Ogni volta che negli ultimi mesi mi è capitato di assistere ad una delle tante, rituali pantomime televisive, in cui veniva riproposto questo sketch, mi sono affrettata a cambiare canale nella vana speranza di contribuire ad un repentino crollo dell'audience. Sarebbe comunque ingiusto non segnalare alcune vertiginose cadute di stile di taluni esponenti delle opposte fazioni che, incapaci di cogliere le straordinarie possibilità della dialettica tra il "vecchio" e il "nuovo", sono pateticamente scivolati nella diatriba di stampo ideologico. Così vediamo ex-comunisti ed ex-fascisti accusarsi reciprocamente di essere ancora comunisti e fascisti. Più disincantati e scaltri, i popolari non rinnegano la propria matrice democristiana, flirtando con gran disinvoltura a destra come a sinistra.
Nel gioco degli specchi della politica istituzionale le mille immagini riflesse si spostano in continuazione producendo un effetto ipnotico in un crescendo di sensazionalismi culminati nel grande spettacolo di fine anno. Con repentina impennata Bossi ha disarcionato il Cavaliere e dato scacco matto all'esecutivo. Il primo governo della seconda repubblica è caduto in diretta televisiva tra insulti personali e poco dotte dispute sulla democrazia ed il parlamento. Gli amanti del giallo avranno avuto agio nel dilettarsi a scoprire chi tra Bossi e Berlusconi fosse responsabile della rottura e traditore del mandato elettorale. Io non mi vergogno più di tanto ad ammettere che la questione non mi ha turbato i sonni né sconvolto la digestione. Le convulsioni del palazzo sono per lo più uno spettacolo poco edificante che sarebbe opportuno trasmettere a tarda ora quando i bambini sono a letto. Il richiamo ai padri fondatori della democrazia americana da parte di un Paperone livido e rissoso non è certo adatto all'infanzia e avrebbe potuto avere spiacevoli effetti sulle persone troppo sensibili. D'altro canto lo spirito di rivalsa e l'astio impotente d'un isterico Paperino padano, che ha finito col servire ai Gastoni di turno la mano fortunata per vincere la partita, non paiono più di tanto avvincenti.

Berlusconi l'avaro Paperone
Sapremo nei prossimi mesi se Gastone avrà le sembianze di D'Alema, Buttiglione o Fini, se Paperone recupererà posizioni grazie ai suoi teledollari o Paperino riuscirà per una volta a farla franca. Tuttavia, come in ogni storia disneyana che si rispetti, la parte del leone, sia pure in sordina e senza gran clamore, già da tempo l'hanno fatta i nostri Qui, Quo, Qua confederali. I vari D'Antoni, Larizza e Cofferati, forti di una lunga e ormai affinata esperienza, sono riusciti in un'operazione che ha suscitato le più motivate invidie di Giucas Casella, telemago RAI di stretta osservanza baudiana. Il buon Giucas, eroe di quella tivù nazional-popolare buona per tutte le situazioni, suole indurre con l'ipnosi azzimati signorini e compassate signorine ad abbaiare, guaire, piangere, ridere, dimenarsi e, ad un semplice schiocco di dita, ricomporsi dimentichi della propria involontaria performance.
I nostri Qui, Quo, Qua sono stati infinitamente più abili nel giocare con le materiali condizioni di vita di milioni di persone. La gran parte di coloro che hanno visto ridotto il proprio stipendio in virtù degli scioperi di ottobre e novembre sono probabilmente convinti che ne sia valsa la pena, che le lotte degli ultimi mesi abbiano pagato, che le grandi mobilitazioni di questo autunno siano state vincenti. Berlusconi, l'avaro Paperone deciso a tagliare drasticamente pensioni, sanità e istruzione ha dovuto cedere alle lotte, i fondamenti dello stato sociale sono salvi. Inevitabilmente molti di loro avranno modo di verificare nei prossimi mesi che la finanziaria è ormai passata senza sostanziali modifiche e la questione delle pensioni è stata soltanto rimandata. Ai lavoratori, studenti, pensionati e malati è stato servito il consueto piatto di lenticchie per capodanno, mentre i bravi Qui, Quo, Qua brindavano soddisfatti per essere riusciti a ribadire l'intangibilità del proprio ruolo di garanti della pace sociale. Persino quei guastafeste dei lavoratori di Termoli sono stati ricondotti alla ragione, rinunciando alla folle pretesa di salvaguardare il proprio salario e le proprie condizioni di vita e di lavoro. Egoisti ed irresponsabili, gli operai dell'avamposto Fiat di Termoli rifiutavano di scambiare una drastica riduzione della busta paga e la totale flessibilità dell'orario di lavoro, con le consuete vacue promesse di investimenti ed occupazione.
Le nostre savie giovani marmotte, dimostrando lucidità, determinazione e buon senso, hanno prontamente rimesso le cose a posto. La medesima ipotesi di accordo, bocciata con voto segreto, viene approvata con voto palese: la democrazia trionfa e la dirigenza aziendale può disporre degli elenchi precisi dei dissidenti.
Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica si è al fine compiuto, poiché occorreva gattopardescamente che tutto cambiasse perché tutto restasse come prima. Grazie a Berlusconi la sinistra ha potuto intraprendere una politica da fronte popolare che ha finito con l'appiattire tutte le differenze nel segno dell'unità contro un nemico comune. I partiti della sinistra, pur privi di una progettualità politica forte, sono riusciti a ritrovare parte del credito perduto. Allo stesso modo il sindacalismo di stato, pesantemente delegittimato dopo i vari accordi di luglio, è riuscito nuovamente a catalizzare grandi masse di lavoratori nella lotta alla finanziaria proposta dal governo.

Rincorrere le scadenze
Le stesse forze dell'auto-organizzazione sindacale, il cui sviluppo negli ultimi due anni si era intimamente connesso con il rifiuto da parte di significative minoranze di lavoratori della politica di concertazione dei confederati, si è rivelato per lo più incapace di realizzare il passaggio dalla critica alla propositività. Sebbene non siano mancati i tentativi di tracciare un percorso che negli obbiettivi così come nelle modalità di lotta dia forza all'alternativa sindacale, tuttavia la velleità di suscitare nuove contestazioni nelle piazze confederali, ha finito col rendere del tutto marginale ed ininfluente l'area dell'auto-organizzazione sindacale. La scelta di rincorrere le scadenze fissate dai sindacati di stato è risultata disastrosa, rendendo pressoché invisibili gli sforzi del sindacalismo di base. Settantamila persone in corteo a Roma sono sicuramente un risultato non disprezzabile: settantamila persone in corteo pomeridiano dopo una manifestazione mattutina di cinquecentomila persone al seguito delle bandiere di CGIL, CISL e UIL, appaiono una variabile del tutto dipendente ed ineffettuale. Qualcuno potrebbe non a torto rilevare che in quelle circostanze non era possibile far di meglio, che non si possono giocare grandi partire con piccoli numeri, che quella del sindacalismo alternativo è una scommessa sul lungo periodo. Tuttavia, pur consapevole che la crescita del sindacalismo di base non può essere mera questine di buona volontà e bel sentimento, non posso non ricordare che pochi giorni prima dell'accordo, sebbene fosse ormai chiaro che i giochi erano fatti, v'era chi si ostinava a ritenerlo improbabile ed anziché lavorare per uno sciopero generale alternativo, si illudeva di poter mutare il risultato d'una partita ormai conclusa. Probabilmente qualcuno sperava che l'avvento delle destre al potere contribuisse a separare il grano dal loglio, i buoni dai cattivi, favorendo una semplificazione e radicalizzazione dello scontro sociale. Sorge spontaneo il sospetto che la propaganda del Cavaliere sia risultata efficace persino tra i suoi oppositori, convincendoli dell'assoluta indisponibilità di Sua Emittenza ai compromessi. La verità, come spesso accade, era assai più banale e le vicende di questo autunno lo hanno dimostrato in modo inequivocabile. Paperone e Qui, Quo, Qua si sono presi reciprocamente le misure e sebbene non si possa escludere che il vecchio zio abbia vagheggiato di poter estromettere dalla stanza dei bottoni i suoi furbi nipotini, questi con energia e fermezza gli hanno spiegato che al momento in Italia nessuno può governare senza spartire la torta con un sindacato più che disponibile a garantirgli la pace sociale. Peraltro CGIL, CISL e UIL mostrano d'aver compreso che è ormai finita l'epoca in cui gli equilibri sociale dipendevano da quello che è stato efficacemente descritto come compromesso social-democratico, che ha retto dal dopoguerra sino alla seconda metà degli anni '80. Un compromesso che ha visto la sinistra istituzionale rinunciare alla propria carica rivoluzionaria in cambio del complesso sistema di garanzie e tutele rappresentato dallo stato sociale. Non a caso i sindacati di stato, consapevoli dell'ineluttabilità del progressivo totale smantellamento di tale sistema, già si stanno attrezzando per ridefinire il proprio ruolo. Indicativa di ciò è la propensione di alcune aree sindacali a gestire settori di previdenza integrativa.

Presunta vittoria
Sarebbe ingenuo chi ritenesse che i grandi scioperi e le imponenti manifestazioni di questo autunno possano aver rappresentato un'inversione di tendenza e che la rottura del compromesso social-democratico possa ridare fiato alle istanze più radicali all'interno della sinistra. La presunta vittoria sindacale somiglia troppo alla campagna napoleonica in Russia per non immaginare che dopo un inverno lungo e rigido, la questione delle pensioni non si riproponga immutata a primavera. In fondo Berlusconi non ha fatto che proseguire con rozzezza ed arroganza sulla strada intrapresa con prudenza e sagacia da Ciampi.
Gli ostacoli incontrati dalla finanziaria del Cavaliere sono per lo più dipesi dalla mancanza di stile del capo dell'esecutivo che ha pensato di attaccare pesantemente i lavoratori dipendenti senza nemmeno fingere di colpire i ceti medi e "dimenticandosi" di consultare i nostri Qui, Quo, Qua.
In questo contesto, quel che stupisce maggiormente è la scarsa lungimiranza della composita e variegata galassia dell'auto-organizzazione sindacale, la quale non solo si è rivelata incapace di sviluppare forme e momenti di lotta indipendenti dalle scadenze fissate dai confederali, ma non è stata neppure in grado di elaborare una critica realmente efficace. Riproporre tout court la difesa di sempre più esigui margini di Welfare è una scelta forse obbligata nell'immediato ma alla lunga rischia di risolversi nella disperata e vana azione di retroguardia di un esercito ormai sconfitto.

Sfera pubblica non statale
Per vivere e svilupparsi, un sindacalismo realmente alternativo deve riuscire ad aprire spazi di solidarietà sociale che sappiano prescindere dalla pesante tutela dello stato e dei suoi fidati nipotini.
Previdenza, sanità, istruzione possono essere pubblici senza essere statali. Il che, ovviamente, rimanda alla necessità di costruzione di una sfera pubblica non statale che sia luogo d'incontro simbolico e reale d'una società civile che, assumendo positivamente il frantumarsi del compromesso social-democratico, sappia muoversi autonomamente. Il che, lo sappiamo, è più facile a dirsi che a farsi, poiché la solidarietà è agevole nominarla ma assai più complesso praticarla. L'obiettivo di un welfare autogestito richiede un lungo a complesso itinerario sperimentale dal quale non può tuttavia prescindere chi voglia sciogliersi dal soffocante abbraccio di zio Paperone e di Qui, Quo, Qua.