Rivista Anarchica Online
Qui, Quo, Qua e la seconda Repubblica
di Maria Matteo
Viviamo in un periodo strano: caotico, convulso e insieme pervaso dalla
convinzione diffusa che più nulla di
nuovo possa apparire all'orizzonte, che tutto sia già dato e che niente si proponga se non nel segno della
ripetizione, della moda che scimmiotta pateticamente stagioni passate. Forse non è che una sindrome
di fine
secolo, un secolo che nel calendario cristiano chiude anche il millennio e si sottopone, in virtù di quella
stramba
magia che talora hanno i numeri, all'onere curioso dei bilanci. Per quel che mi concerne mi guarderò
bene dal tentare valutazioni sulla natura epocale degli avvenimenti della
storia più o meno recente, limitandomi ad alcune considerazioni su quanto si è agitato negli
ultimi mesi sulla
scena politica e sociale della nostra bella Italia. Le complementari categorie di "vecchio" e di "nuovo",
tradizionale patrimonio di propagandisti del detersivo
e stilisti di grido, sono ormai potentemente entrate a far parte del gioco politico, assumendo il ruolo che nella
filosofia greca era attribuito alle nozioni di essere e non essere. Il divenire, elemento dinamico che interpreta
il movimento tra chi è e chi non è, tra chi non è più e chi torna ad esserci
è magistralmente riassunto nel
problematico ma euristicamente efficace concetto di "riciclato". Intorno alle tre idee cardine di "vecchio",
"nuovo" e "riciclato" è stato possibile operare una semplificazione dello scontro politico che l'ha
riportato alla
propria purezza formale, prescindendo da ogni spuria questione di contenuto. Così, la destra e la
sinistra si accusano reciprocamente di rappresentare il vecchio che, dopo un paio di
operazioni di chirurgia estetica e qualche seduta dal parrucchiere, ormai "riciclato" è pronto per il
"nuovo che
avanza". Ogni volta che negli ultimi mesi mi è capitato di assistere ad una delle tante, rituali pantomime
televisive, in cui veniva riproposto questo sketch, mi sono affrettata a cambiare canale nella vana speranza di
contribuire ad un repentino crollo dell'audience. Sarebbe comunque ingiusto non segnalare alcune vertiginose
cadute di stile di taluni esponenti delle opposte fazioni che, incapaci di cogliere le straordinarie
possibilità della
dialettica tra il "vecchio" e il "nuovo", sono pateticamente scivolati nella diatriba di stampo ideologico.
Così
vediamo ex-comunisti ed ex-fascisti accusarsi reciprocamente di essere ancora comunisti e fascisti. Più
disincantati e scaltri, i popolari non rinnegano la propria matrice democristiana, flirtando con gran disinvoltura
a destra come a sinistra. Nel gioco degli specchi della politica istituzionale le mille immagini riflesse si
spostano in continuazione
producendo un effetto ipnotico in un crescendo di sensazionalismi culminati nel grande spettacolo di fine anno.
Con repentina impennata Bossi ha disarcionato il Cavaliere e dato scacco matto all'esecutivo. Il primo governo
della seconda repubblica è caduto in diretta televisiva tra insulti personali e poco dotte dispute sulla
democrazia
ed il parlamento. Gli amanti del giallo avranno avuto agio nel dilettarsi a scoprire chi tra Bossi e Berlusconi
fosse responsabile della rottura e traditore del mandato elettorale. Io non mi vergogno più di tanto ad
ammettere
che la questione non mi ha turbato i sonni né sconvolto la digestione. Le convulsioni del palazzo sono
per lo
più uno spettacolo poco edificante che sarebbe opportuno trasmettere a tarda ora quando i bambini sono
a letto.
Il richiamo ai padri fondatori della democrazia americana da parte di un Paperone livido e rissoso non è
certo
adatto all'infanzia e avrebbe potuto avere spiacevoli effetti sulle persone troppo sensibili. D'altro canto lo spirito
di rivalsa e l'astio impotente d'un isterico Paperino padano, che ha finito col servire ai Gastoni di turno la mano
fortunata per vincere la partita, non paiono più di tanto avvincenti.
Berlusconi l'avaro Paperone Sapremo nei prossimi
mesi se Gastone avrà le sembianze di D'Alema, Buttiglione o Fini, se Paperone recupererà
posizioni grazie ai suoi teledollari o Paperino riuscirà per una volta a farla franca. Tuttavia, come in
ogni storia
disneyana che si rispetti, la parte del leone, sia pure in sordina e senza gran clamore, già da tempo
l'hanno fatta
i nostri Qui, Quo, Qua confederali. I vari D'Antoni, Larizza e Cofferati, forti di una lunga e ormai affinata
esperienza, sono riusciti in un'operazione che ha suscitato le più motivate invidie di Giucas Casella,
telemago
RAI di stretta osservanza baudiana. Il buon Giucas, eroe di quella tivù nazional-popolare buona per tutte
le
situazioni, suole indurre con l'ipnosi azzimati signorini e compassate signorine ad abbaiare, guaire, piangere,
ridere, dimenarsi e, ad un semplice schiocco di dita, ricomporsi dimentichi della propria involontaria
performance. I nostri Qui, Quo, Qua sono stati infinitamente più abili nel giocare con le materiali
condizioni di vita di milioni
di persone. La gran parte di coloro che hanno visto ridotto il proprio stipendio in virtù degli scioperi
di ottobre
e novembre sono probabilmente convinti che ne sia valsa la pena, che le lotte degli ultimi mesi abbiano pagato,
che le grandi mobilitazioni di questo autunno siano state vincenti. Berlusconi, l'avaro Paperone deciso a tagliare
drasticamente pensioni, sanità e istruzione ha dovuto cedere alle lotte, i fondamenti dello stato sociale
sono
salvi. Inevitabilmente molti di loro avranno modo di verificare nei prossimi mesi che la finanziaria è
ormai
passata senza sostanziali modifiche e la questione delle pensioni è stata soltanto rimandata. Ai
lavoratori,
studenti, pensionati e malati è stato servito il consueto piatto di lenticchie per capodanno, mentre i bravi
Qui,
Quo, Qua brindavano soddisfatti per essere riusciti a ribadire l'intangibilità del proprio ruolo di garanti
della
pace sociale. Persino quei guastafeste dei lavoratori di Termoli sono stati ricondotti alla ragione, rinunciando
alla folle pretesa di salvaguardare il proprio salario e le proprie condizioni di vita e di lavoro. Egoisti ed
irresponsabili, gli operai dell'avamposto Fiat di Termoli rifiutavano di scambiare una drastica riduzione della
busta paga e la totale flessibilità dell'orario di lavoro, con le consuete vacue promesse di investimenti
ed
occupazione. Le nostre savie giovani marmotte, dimostrando lucidità, determinazione e buon senso,
hanno prontamente
rimesso le cose a posto. La medesima ipotesi di accordo, bocciata con voto segreto, viene approvata con voto
palese: la democrazia trionfa e la dirigenza aziendale può disporre degli elenchi precisi dei
dissidenti. Il passaggio dalla prima alla seconda repubblica si è al fine compiuto, poiché
occorreva gattopardescamente che
tutto cambiasse perché tutto restasse come prima. Grazie a Berlusconi la sinistra ha potuto intraprendere
una
politica da fronte popolare che ha finito con l'appiattire tutte le differenze nel segno dell'unità contro
un nemico
comune. I partiti della sinistra, pur privi di una progettualità politica forte, sono riusciti a ritrovare parte
del
credito perduto. Allo stesso modo il sindacalismo di stato, pesantemente delegittimato dopo i vari accordi di
luglio, è riuscito nuovamente a catalizzare grandi masse di lavoratori nella lotta alla finanziaria proposta
dal
governo.
Rincorrere le scadenze Le stesse forze
dell'auto-organizzazione sindacale, il cui sviluppo negli ultimi due anni si era intimamente
connesso con il rifiuto da parte di significative minoranze di lavoratori della politica di concertazione dei
confederati, si è rivelato per lo più incapace di realizzare il passaggio dalla critica alla
propositività. Sebbene
non siano mancati i tentativi di tracciare un percorso che negli obbiettivi così come nelle
modalità di lotta dia
forza all'alternativa sindacale, tuttavia la velleità di suscitare nuove contestazioni nelle piazze
confederali, ha
finito col rendere del tutto marginale ed ininfluente l'area dell'auto-organizzazione sindacale. La scelta di
rincorrere le scadenze fissate dai sindacati di stato è risultata disastrosa, rendendo pressoché
invisibili gli sforzi
del sindacalismo di base. Settantamila persone in corteo a Roma sono sicuramente un risultato non
disprezzabile: settantamila persone in corteo pomeridiano dopo una manifestazione mattutina di
cinquecentomila persone al seguito delle bandiere di CGIL, CISL e UIL, appaiono una variabile del tutto
dipendente ed ineffettuale. Qualcuno potrebbe non a torto rilevare che in quelle circostanze non era possibile
far di meglio, che non si possono giocare grandi partire con piccoli numeri, che quella del sindacalismo
alternativo è una scommessa sul lungo periodo. Tuttavia, pur consapevole che la crescita del
sindacalismo di
base non può essere mera questine di buona volontà e bel sentimento, non posso non ricordare
che pochi giorni
prima dell'accordo, sebbene fosse ormai chiaro che i giochi erano fatti, v'era chi si ostinava a ritenerlo
improbabile ed anziché lavorare per uno sciopero generale alternativo, si illudeva di poter mutare il
risultato
d'una partita ormai conclusa. Probabilmente qualcuno sperava che l'avvento delle destre al potere contribuisse
a separare il grano dal loglio, i buoni dai cattivi, favorendo una semplificazione e radicalizzazione dello scontro
sociale. Sorge spontaneo il sospetto che la propaganda del Cavaliere sia risultata efficace persino tra i suoi
oppositori, convincendoli dell'assoluta indisponibilità di Sua Emittenza ai compromessi. La
verità, come spesso
accade, era assai più banale e le vicende di questo autunno lo hanno dimostrato in modo inequivocabile.
Paperone e Qui, Quo, Qua si sono presi reciprocamente le misure e sebbene non si possa escludere che il
vecchio zio abbia vagheggiato di poter estromettere dalla stanza dei bottoni i suoi furbi nipotini, questi con
energia e fermezza gli hanno spiegato che al momento in Italia nessuno può governare senza spartire
la torta
con un sindacato più che disponibile a garantirgli la pace sociale. Peraltro CGIL, CISL e UIL mostrano
d'aver
compreso che è ormai finita l'epoca in cui gli equilibri sociale dipendevano da quello che è stato
efficacemente
descritto come compromesso social-democratico, che ha retto dal dopoguerra sino alla seconda metà
degli anni
'80. Un compromesso che ha visto la sinistra istituzionale rinunciare alla propria carica rivoluzionaria in cambio
del complesso sistema di garanzie e tutele rappresentato dallo stato sociale. Non a caso i sindacati di stato,
consapevoli dell'ineluttabilità del progressivo totale smantellamento di tale sistema, già si
stanno attrezzando
per ridefinire il proprio ruolo. Indicativa di ciò è la propensione di alcune aree sindacali a
gestire settori di
previdenza integrativa.
Presunta vittoria Sarebbe ingenuo chi ritenesse che
i grandi scioperi e le imponenti manifestazioni di questo autunno possano
aver rappresentato un'inversione di tendenza e che la rottura del compromesso social-democratico possa ridare
fiato alle istanze più radicali all'interno della sinistra. La presunta vittoria sindacale somiglia troppo alla
campagna napoleonica in Russia per non immaginare che dopo un inverno lungo e rigido, la questione delle
pensioni non si riproponga immutata a primavera. In fondo Berlusconi non ha fatto che proseguire con rozzezza
ed arroganza sulla strada intrapresa con prudenza e sagacia da Ciampi. Gli ostacoli incontrati dalla
finanziaria del Cavaliere sono per lo più dipesi dalla mancanza di stile del capo
dell'esecutivo che ha pensato di attaccare pesantemente i lavoratori dipendenti senza nemmeno fingere di colpire
i ceti medi e "dimenticandosi" di consultare i nostri Qui, Quo, Qua. In questo contesto, quel che stupisce
maggiormente è la scarsa lungimiranza della composita e variegata galassia
dell'auto-organizzazione sindacale, la quale non solo si è rivelata incapace di sviluppare forme e
momenti di
lotta indipendenti dalle scadenze fissate dai confederali, ma non è stata neppure in grado di elaborare
una critica
realmente efficace. Riproporre tout court la difesa di sempre più esigui margini di Welfare è
una scelta forse
obbligata nell'immediato ma alla lunga rischia di risolversi nella disperata e vana azione di retroguardia di un
esercito ormai sconfitto.
Sfera pubblica non statale Per vivere e svilupparsi,
un sindacalismo realmente alternativo deve riuscire ad aprire spazi di solidarietà sociale
che sappiano prescindere dalla pesante tutela dello stato e dei suoi fidati nipotini. Previdenza,
sanità, istruzione possono essere pubblici senza essere statali. Il che, ovviamente, rimanda alla
necessità di costruzione di una sfera pubblica non statale che sia luogo d'incontro simbolico e reale
d'una società
civile che, assumendo positivamente il frantumarsi del compromesso social-democratico, sappia muoversi
autonomamente. Il che, lo sappiamo, è più facile a dirsi che a farsi, poiché la
solidarietà è agevole nominarla
ma assai più complesso praticarla. L'obiettivo di un welfare autogestito richiede un lungo a complesso
itinerario
sperimentale dal quale non può tuttavia prescindere chi voglia sciogliersi dal soffocante abbraccio di
zio
Paperone e di Qui, Quo, Qua.
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