Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 215
febbraio 1995


Rivista Anarchica Online

Dimissioni perché
di Carlo Oliva

Il dottor Di Pietro non se ne sarà avuto a male se, con tutto il rispetto per il suo lavoro e i complimenti per i risultati che ha raggiunto, nessuno di noi si è unito al coro delle deprecazioni e degli inviti a recedere che si è levato in tutto il paese all'annuncio della sua decisione di abbandonare la Procura milanese e l'ordine giudiziario. Anzi, personalmente confesso di esserne stato contento per lui. Mi rendo conto di come la sua presenza in quella sede fosse, per la maggior parte dei concittadini, di conforto nei tempi difficili che stiamo vivendo, ma l'idea di un magistrato che, per un motivo o per l'altro, decideva di attaccare la toga al classico chiodo mi ha rallegrato più di quanto non mi abbia afflitto. Da cittadino rispettoso delle leggi, mi inchino davanti al ruolo e alla funzione dei tribunali ma, con tutta la buona volontà, non sono mai riuscito ad entusiasmarmene. Perseguire le altrui malefatte può essere necessario, figuriamoci, ma comporta troppi problemi categoriali e responsabilità di potere da far tremare le vene e i polsi a chiunque. Quando poi quelle malefatte acquistano rilevanza in campo politico, l'intervento dei giudici finisce inevitabilmente per diventare qualcosa di molto simile a un male necessario. Non è colpa del terzo potere se da venticinque anni (più o meno, tanto per stabilire una data, dal 12 dicembre del 1969) il nostro dibattito politico tende a confondersi inestricabilmente con le piste giudiziarie, ma è certo che la confusione non ha giovato a nessuno: né ai magistrati né a noi. E se qualcuno finalmente è riuscito a deporre un carico tanto gravoso, be', perché dovremmo chiedergli di tornare indietro?

Disponibile alle strumentalizzazioni
E poi, francamente, Di Pietro non aveva certo bisogno di noi. A supplicarlo di cambiare idea, ricoprendolo di lodi che avrebbero fatto arrossire il Padreterno in persona, è stato, secondo i sondaggi, il 94% degli italiani, Presidente della Repubblica in testa. E nella percentuale non sono compresi soltanto colleghi, amici, simpatizzanti e leader dell'opposizione, che pur di dare fastidio alle autorità in carica sono disposti notoriamente a tutto: Berlusconi, che dalla Procura di Milano aveva appena ricevuto lo storico avviso di garanzia, si è sdilinquito in complimenti; Biondi, che sui funzionari di quell'ufficio, Di Pietro compreso, aveva avviato un'ispezione, i cui risultati all'epoca non gli erano neanche noti, ha avuto il coraggio di dichiarare che la nobiltà del suo gesto gli ha "sollevato il cuore". E se Bossi si è limitato a mugugnare qualcosa e Fini non si è sbilanciato più di tanto, ci ha pensato Alessandra Mussolini a definirlo in diretta tv "una persona intelligente, moderna, giovane" e ad augurargli di andare al potere e di restarci almeno per un ventennio (e sappiamo che per la nipote di tanto nonno l'idea di ventennio ha un significato tutto speciale). Da quel momento, gli inviti ad assumere la direzione del paese, o almeno quella del ministero di grazia e giustizia, sono stati tanti e tanto pressanti che, al momento in cui scriviamo, non abbiamo la minima idea di come la faccenda possa andare a finire.
Strano, però, Di Pietro, che, a sentir lui, ha gettato la spugna perché era stanco di sentirsi "usato, utilizzato, tirato per le maniche, sbattuto ogni giorno in prima pagina" dalle opposte fazioni unite soltanto nella volontà di strumentalizzare la sua figura e la sua opera, ha finito con il trovarsi più in prima pagina che mai e oggetto di un'unanimità di lodi dietro la quale persino un bambino non troppo sveglio leggerebbe la volontà appena mascherata di usarlo ciascuno per i propri fini. Spogliandosi dalla sua funzione, non importa se per un motivo o per l'altro, si è reso disponibile proprio alle strumentalizzazioni che deprecava. Appellandosi, come ha fatto, al valore dell'"obbiettività" disinteressata della propria azione ("...ho lavorato nel modo più obiettivo possibile, senza alcun fine...") ha permesso che gli altri gli attribuissero i propri obiettivi e i propri fini.
Tutto questo, diciamolo, non fa sperare niente di buono, comunque vada a finire. Perché l'obiettività è un valore ovviamente importante per un giudice (anche se personalmente non credo più di tanto alla capacità storica della magistratura, da quando ne esiste una, di agire sempre e soltanto in nome di quel valore, senza "guardare in faccia nessuno" e senza cedere alla tentazione di considerare oggettivamente prevalente l'interesse delle classi al potere), ma ai politici non si deve chiedere di essere obiettivi. Per un magistrato i comportamenti propri e altrui non possono che essere o leciti (e quindi ammessi) o illeciti (e quindi meritevoli di condanna): al politico, in democrazia, chiediamo di promuovere soggettivamente i propri interessi di parte riconoscendo al tempo stesso la liceità e l'ammissibilità degli interessi altrui.
La distinzione è più importante di quanto sembra. Se la sfera giuridica si organizza per esclusione, quella politica è l'ambito naturale della mediazione e della composizione. La pretesa di esercitare il potere in nome di un ideale "oggettivo", che trascenda gli interessi e le finalità soggettive, anche se risale al venerabile modello della Politeia platonica (o forse proprio per questo) è, tra tutte le ipotesi politiche, oggettivamente la più pericolosa. Infatti è quella su cui si fondano, da sempre, le organizzazioni statali totalitarie.

Carisma inusitato
In fondo, perché gli italiani si sono tanto entusiasmati per i magistrati di "mani pulite"? Per amor di giustizia, certo, ma non certo perché in tutte le loro azioni e procedure vedessero incarnata la Giustizia assoluta, che sarebbe una pretesa ingenua anche per un'opinione pubblica meno smaliziata della nostra. Li hanno ammirati e amati perché nella loro azione hanno visto attuarsi una contraddizione cui erano affatto impreparati, perché li hanno visti applicare delle normali procedure giudiziarie ai detentori di un potere che in passato se n'era sempre ritenuto immune e come tale era sempre stato trattato. Non stiamo a discutere se questa lettura "popolare" fosse o non fosse corretta (probabilmente no): certo rifletteva la coscienza di una novità storica sconvolgente. E in nome di quella novità la maggioranza dei cittadini si è mostrata disposta a investire la magistratura di un carisma affatto inusitato.
Naturalmente le cose non sono così semplici. Il carisma in sé non è una garanzia di correttezza procedurale e poi quella contraddizione attraversava e attraversa la stessa magistratura, che infatti ha manifestato nel suo interno tutta una serie di comportamenti oppositivi, compresi quelli, ben noti, della Procura generale di Milano e della Corte di Cassazione. Ma è poco ma sicuro che chi ha definito il protio ruolo e la propria popolarità sull'asserita capacità di chiamare a render conto delle proprie azioni anche i potenti deve stare ben attento ad escludere dai propri propositi quello di accedere al potere, anzi, di farsi cooptare al potere, a prezzo di incappare egli stesso in una contraddizione capace di distruggere forse non la sua persona, e la sua carriera nemmeno, ma le illusioni di chi ha avuto fiducia in lui sicuramente sì.