Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 215
febbraio 1995


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Marx e la concezione del lavoro

L'accezione di lavoro nella produzione marxiana - nonostante il lessico economico - è intrinsecamente ontologico-metafisica. Più precisamente: è squisitamente hegeliana. Come è ampiamente noto, l'importanza per Hegel del lavoro non è da connettere alla sua specificità ma è da relazionare alla coscienza che, grazie al lavoro, non solo giunge a se stessa ma giunge all'intuizione dell'essere indipendente come di se stesso (Fenomenologia dello Spirito, vol. I, pp. 162). La pienezza e la totalità: ecco i traguardi ai quali perviene il lavoro. D'altronde fu lo stesso Marx a riconoscere il suo tributo all'idealismo hegeliano in un celebre passo dei Manoscritti: "egli (Hegel, n.d.a.) intende l'essenza del lavoro e concepisce l'uomo oggettivo, l'uomo vero perché reale come il risultato del suo proprio lavoro" (p. 167).
Oppure pensiamo alla definizione che Marx darà del lavoro in base alla quale esso consente la realizzazione del soggetto o l'autorealizzazione del soggetto (Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. I, p. 278). L'influenza di Hegel risulta - in ultima analisi - determinante e tutt'altro che marginale. Se poniamo - poi - la dovuta attenzione ad un aspetto specifico della filosofia del lavoro - la divisione del lavoro - la continuità con Hegel è altrettanto evidente. Per Hegel la divisione del lavoro ha compromesso la possibilità di realizzare l'essenza totale dell'uomo a causa della parcellizzazione a cui conduce. Insomma la civiltà industriale - per Hegel come per Rousseau - ha creato un lavoro formale, astrattamente universale. Ricordiamo che già Rousseau aveva individuato nella divisione del lavoro la causa principale della ineguaglianza. Ma al di là di questo - pur importante - riferimento, anche per Marx la divisione del lavoro ha attuato una trasformazione nefasta nell'essere umano. Lo ha trasformato "in una attività astratta". Può sorprendere se Marx propose l'abolizione della divisione del lavoro auspicando l'assenza - in un imprecisato Eden - di una attività specifica? Più esattamente: nella società comunista la produzione dovrà essere gestita in modo tale da consentire: "di fare oggi questa cosa, domani quell'altra" (Ideologia tedesca, p. 29).
Ci sembra superfluo sottolineare non solo l'ingenuo irrealismo ma anche la presenza - in un pensatore che si vorrebbe additare quale fondatore del socialismo scientifico - di forti componenti escatologiche alle quali fanno seguito nostalgie bucoliche! Ancora una volta dobbiamo domandarci - raccogliendo l'invito di S. Avieri - in quale modo Marx pensava di realizzare un tale sovvertimento. Ed ancora una volta, dopo aver interrogato i testi marxiani non possiamo che rilevare l'assenza di qualsivoglia risposta.

Giuseppe Gagliano (Como)