Rivista Anarchica Online
Insuscettibili di ravvedimento
a cura della Redazione
L'opposizione degli anarchici al fascismo è stata istintiva ed immediata fin dal primo manifestarsi dei
fasci di
combattimento. La controversa esperienza degli Arditi del Popolo. Il confino, le carceri, l'esilio, la
partecipazione alla rivoluzione spagnola del '36, la Resistenza armata contro i nazifasciti: queste le tappe
principali dell'impegno antifascista libertario. I rapporti con le altre componenti dell'antifascismo organizzato.
Nel '20 gli anarchici in Italia erano una forza rivoluzionaria con cui si dovevano
fare i conti, una forza con cui
dovevano fare i conti padroni, governo e fascisti. Essi avevano un quotidiano, Umanità Nova,
che tirava
cinquantamila copie e numerosi periodici. L'U.S.I., il sindacato rivoluzionario influenzato dagli anarchici
(segretario ne era l'anarchico Armando Borghi), contava centinaia di migliaia di iscritti. Dopo il fallimento
dell'occupazione delle fabbriche, gli anarchici, riconoscendo nel fascismo la
«controrivoluzione preventiva» (come la definì bene Luigi Fabbri) con cui i padroni avrebbero cercato
di
impedire il ripetersi di una situazione pre-rivoluzionaria, gettarono tutte le loro energie nella mischia contro il
giovane ma già robusto figlio del capitalismo. La volontà ed il coraggio degli anarchici non
poteva però bastare
di fronte allo squadrismo, potentemente dotato di mezzi e di armi e spalleggiato dagli organi repressivi dello
stato. Tanto più che anarchici ed anarcosindacalisti erano presenti in modo determinante solo in alcune
località
ed in alcuni settori produttivi.
Il disfattismo riformista Purtroppo la politica disfattista del Partito e del sindacato riformisti, che già
aveva ostacolato lo sviluppo
rivoluzionario e dunque contribuito al fallimento dell'occupazione delle fabbriche, seminò confusione
ed
incertezza nel movimento operaio in un momento che già era per molti aspetti di riflusso delle lotte.
E questo
proprio di fronte al moltiplicarsi ed aggravarsi delle violenze fasciste, soprattutto dopo il '21. Ovunque in
Italia le squadracce di Mussolini assaltavano le sedi politiche, le redazioni, i militanti più attivi,
tutto quanto «puzzasse» di «sovversivo». Lo stato liberale fu diretto complice sia delle attività criminali
sia
dell'intera strategia politica del fascismo nella comune lotta contro la combattività dei lavoratori.
Pur essendo essi stessi vittime delle violenze squadriste, i socialisti si limitarono a denunciare le
«illegalità»
fasciste, senza dedicare tutte le loro energie alla lotta popolare rivoluzionaria contro il terrorismo padronale.
Non solo, ma il P.S.I. giunse al punto di stipulare con i fascisti un Patto di Pacificazione (agosto
1921) che
contribuì a disarmare il movimento operaio sia psicologicamente, sia materialmente, nel momento
stesso in cui
si intensificavano le violenze squadriste (che continuarono a crescere ... in barba al patto!). Quello che ci
interessa sottolineare è che, mentre i vertici politici sindacali invitavano alla «calma» e alla non
violenza, furono gli stessi lavoratori, organizzatisi autonomamente, a dare alcune storiche lezioni ai fascisti. Le
insurrezioni di Sarzana (luglio '21) e di Parma (agosto '22) sono due esempi della validità della linea
politica
sostenuta dagli anarchici, allora, sulla stampa e nelle lotte: contro il disfattismo delle burocrazie riformiste, gli
anarchici sostenevano infatti l'urgente necessità di battere con la lotta il movimento fascista, stimolando
la
combattività dei lavoratori. Coerentemente con questo programma gli anarchici si batterono sino in
fondo senza
quei tentennamenti e quella ricerca di compromessi che caratterizzarono l'attività dei socialisti.
Significativa
al riguardo la differente posizione assunta da socialisti e comunisti da una parte ed anarchici dall'altra, di fronte
al movimento degli Arditi del Popolo.
Gli arditi del popolo
Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di
elementi eterogenei, si sviluppò rapidamente assumendo
caratteristiche marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato da un marcato decentramento
autonomo delle organizzazioni locali. Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche talvolta
differenti da un posto all'altro, ma sempre li accomunò la coscienza della necessità di
organizzare il popolo per
resistere violentemente alla violenza delle camicie nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle
formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente; per restare ai due
episodi già accennati basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori di Sarzana e che a
Parma,
fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n'era una tenuta
dagli anarchici. Completamente diverso fu l'atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi
costituitisi in partito
nel gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo,
entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento. Gli
organi centrali del neonato P.C. d'I. giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto
con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una campagna di stampa a base di falsità e di calunnie.
Intervistato negli anni settanta alla televisione il comunista Umberto Terracini cercava ancora di giustificare
quella scelta politica. E ancora oggi noi, come già settant'anni fa i nostri compagni, vediamo proprio
in quella
scelta un esempio tipico della volontà comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza con
le
proprie mire di egemonia sul movimento operaio. E' evidente che questa dura critica alla politica dei vertici dei
partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge i militanti di base, che - anche se su posizioni da
noi molto differenti - dettero il loro contributo di lotta e di sangue alla lotta contro il fascismo. Il
disfattismo social-riformista ed il settarismo comunista resero impossibile una opposizione armata
generalizzata e perciò efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare non poterono
unificarsi
in una strategia vincente.
Il confino e l'esilio
Gli anarchici che, in prima fila nella resistenza al fascismo, s'erano esposti generosamente
senza calcoli
personali o di partito, subirono più duramente degli altri antifascisti (in proporzione alle forze) le
violenze
squadriste prima e quelle legali poi. All'incendio delle sedi anarchiche e delle sezioni U.S.I., alle devastazioni
di tipografie e redazioni, agli ammazzamenti, seguirono i sequestri, gli arresti, il confino ... Ai superstiti,
perseguitati, disoccupati, provocati, spiati, non restava che la via dell'esilio. Si può dire che nel
ventennio
fascista ben pochi militanti anarchici (esclusi gli incarcerati ed i confinati) rimasero in Italia e quei pochi
guardati a vista ed impossibilitati per lo più anche a svolgere attività clandestina.
Continuano singoli episodi di ribellione a testimoniare, nonostante tutto, l'indomabilità dello spirito
libertario.
Bastano alcuni esempi. Il 21 ottobre 1928, l'anarchico Pasquale Bulzamini, a Viareggio, mentre rincasa,
viene aggredito da un gruppo
di fascisti e ferocemente bastonato. In un caffè, aveva poco prima deplorato la fucilazione
dell'antifascista Della
Maggiora. Muore tre giorni dopo, all'ospedale. Il 7 ottobre 1930, il compagno Giovanni Covolcoli spara
contro il Podestà e il segretario del suo paese -
Villasanta (Milano) - che lo hanno a lungo perseguitato fino a farlo internare nel manicomio. Riconosciuto sano
di mente e rilasciato in libertà, ha voluto vendicarsi contro i suoi tenaci persecutori. Nell'aprile del
1931, a La Spezia, il giovane anarchico Doro Raspolini spara alcuni colpi di rivoltella contro
l'industriale fascista De Biasi per vendicarsi contro uno dei maggiori responsabili dell'assassinio di suo padre,
Dante, attivo anarchico, massacrato nel 1921 a Sarzana colpito da innumerevoli revolverate e da 12 colpi di
pugnale e quindi - legato ancor prima che morisse ad una automobile - così trascinato per diversi
chilometri.
Doro Raspolini muore nelle carceri di Sarzana in conseguenza delle sofferenze e torture inflittegli dai fascisti.
Il 16 aprile 1931, i compagni Schicchi, Renda e Gramignano vengono condannati dal Tribunale Speciale,
a
Roma, rispettivamente ad anni l0, 8 e 6 di reclusione. Erano imputati di essere rientrati dall'estero per svolgere
attività contro il fascismo.
La resistenza Il '43
vede dunque gli anarchici della generazione pre-fascista sparsi tra esilio, confino e galere. Poche tracce
sono rimaste dell'influenza anarchica ed anarco-sindacalista. I pochi militanti liberi dapprima e gli ex confinati
poi riprendono con immutato vigore i loro posti di combattimento, chi nella lotta armata, chi nell'organizzazione
della resistenza operaia, chi nella propaganda clandestina al nord e semiclandestina al sud, nelle zone «liberate»
(si fa per dire), dove gli alleati non concedono la libertà di stampa agli anarchici, preoccupati
(giustamente dal
loro punto di vista) che la lotta antitedesca ed anti-fascista potesse diventare rivoluzione sociale. Per quanto
riguarda la partecipazione degli anarchici alla lotta armata partigiana, essa avvenne per lo più
all'interno di formazioni politicamente miste. Solo in quelle poche località in cui la presenza di anarchici
e
simpatizzanti era nonostante tutto sufficientemente numerosa, i compagni organizzarono formazioni proprie,
inquadrate però anch'esse, spesso a seconda della situazione locale, nelle divisioni Garibaldi
(controllate dai
comunisti), Matteotti (socialiste) e Giustizia e Libertà (espressione dei
«liberaI-socialisti» del Partito d'Azione). La mancata autonomia (che quasi sempre, dati i rapporti di forza,
significò dipendenza) dalle formazioni
partigiane partitiche fu dovuta non solo alla quasi generale esiguità numerica del superstite movimento
anarchico, ma anche al fatto che gli alleati si rifiutavano (sempre giustamente, dal loro punto di vista) di
rifornire di armi e munizioni le formazioni anarchiche. In questo contesto il valore e spesso l'estremo
sacrificio di tanti anarchici furono sfruttati da altre forze politiche
e poterono cos servire ben poco alla radicalizzazione rivoluzionaria del movimento partigiano. Scarsa
risultò
in definitiva l'influenza politica anarchica nella Resistenza, che venne incanalata dai partiti antifascisti (dai
liberali ai comunisti) verso quella restaurazione «democratica borghese» che è ancora oggi sotto i nostri
occhi.
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