Rivista Anarchica Online
Spagna 1936
a cura della Redazione
Tra i primi ad accorrere in Catalogna all'indomani del «putsch» del generale Franco, gli anarchici di lingua
italiana costituirono uno dei gruppi più impegnati al fronte. E soprattutto furono tra i più decisi
oppositori della
politica staliniana sostenuta dai vari Togliatti, Vidali, ecc.. La tragica e simbolica vicenda di Camillo Berneri.
La notizia che in Spagna era scoppiata la rivolta popolare contro il «putsch» di
Franco fu come lo scoppio di
una bomba, negli ambienti dell'emigrazione antifascista italiana a Parigi. Gli esuli, da anni costretti a lottare
sulla difensiva, videro subito che in terra di Spagna si osava finalmente dire chiaramente no al fascismo, e si
impugnavano le armi per impedirne il trionfo. Mentre alcuni compagni partirono immediatamente per
andare a combattere a Barcellona, molti altri si
preparavano a partire e si riunivano frequentemente per decidere il da farsi. Ad un convegno appositamente
indetto, di tutte le forze politiche antifasciste italiane a Parigi, sia Longo per i comunisti sia Buozzi per i
socialisti dichiararono che i loro partiti erano disposti ad inviare aiuti sanitari e a dare un appoggio morale al
popolo spagnolo, ma non erano d'accordo per un intervento armato. Il rappresentante dei repubblicani
restò sulle
generali, evitando qualsiasi impegno, per cui gli anarchici ed i «giellisti» (militanti del movimento «Giustizia
e Libertà») furono gli unici a sostenere la necessità di un'immediata partenza per la Spagna. E
così fecero. Il 18 agosto 1936, infatti, meno di un mese dopo l'insurrezione popolare (19 luglio),
partì per il fronte d'Aragona
un primo scaglione di antifascisti italiani, arruolatisi volontariamente nella sezione italiana della colonna
«Ascaso», organizzata e formata da militanti anarchici della F.A.I. e anarco-sindacalisti della C.N.T. La
maggior
parte di questi primi volontari italiani erano anarchici (un centinaio). Altri anarchici italiani, giunti in
Spagna successivamente, si aggregarono alla colonna «Durruti» (CNT-FAI),
alla colonna «Tierra y Libertad» (CNT-FAI), alla colonna «Ortiz» (CNT-FAI) e ad altre formazioni. Secondo
una stima documentata dai registri di arruolamento della sezione italiana, depositati presso la CNT-FAI, gli
anarchici italiani combattenti in Spagna furono seicentocinquantatre. Nei primissimi mesi dell'inizio della
rivoluzione moltissimi compagni italiani furono trascinati da un entusiasmo
rivoluzionario che li portò sempre in prima fila: è in questo periodo che morirono e rimasero
feriti la maggior
parte di essi. Molti compagni feriti ritornarono al fronte a combattere nuovamente. Questo, per esempio,
è il
caso del compagno Pio Turroni, che ferito una prima volta in ottobre ritornò dopo pochi mesi al fronte,
dove
rimase nuovamente ferito; rientrò quindi a Barcellona, dove fu commissario politico per gli italiani,
nella
caserma «Spartacus». Gli anarchici italiani mantennero sempre una posizione coerente, soprattutto di
fronte alla contro-rivoluzione
comunista, come nelle giornate del maggio '37 a Barcellona. Non è un caso che gli stalinisti in quei
giorni
assassinarono gli anarchici italiani Camillo Berneri (che redigeva a Barcellona il periodico in lingua italiana
«Guerra di classe») e Francesco Barbieri. Anche di fronte al processo di militarizzazione la loro posizione
intransigentemente rivoluzionaria fu espressa
in modo pressoché unanime. Già il 10 ottobre prima, e il 13 novembre poi, stilarono
rispettivamente due
documenti in cui denunciavano il pericolo di involuzione controrivoluzionaria, se fosse passato, come poi
passò,
il processo di militarizzazione (documenti firmati, per la sezione italiana della colonna «Ascaso», da Rabitti,
Mioli, Buleghin, Petacchi, Puntoni, Serra, Segata). Anche se durante le tragiche giornate della controrivoluzione
comunista essi si trovarono in disaccordo con la «dirigenza» della FAI e della CNT e nonostante avessero ormai
compreso che le sorti della rivoluzione volgevano al peggio, essi continuarono a combattere e a morire.
Sono circa sessanta gli anarchici italiani morti in Spagna e centocinquanta i feriti, di cui molti morirono
più tardi
a causa delle privazioni sopportate nei campi di concentramento in Francia.
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