Rivista Anarchica Online
Critica della scuola
di Salvo Vaccaro
Nella letteratura libertaria, Ivan Illich non è granché considerato
( a parte alcuni suoi articoli su "Volontà"),
anche per la rarità delle traduzioni delle sue opere, specie dopo i successi negli ambienti "sinistri" di
testi quali
"La convivialità", verso la metà degli anni '70. Opportuna appare, pertanto, l'uscita di una lunga
intervista, edita
dai compagni di Elèuthera, che rimettono al centro dell'attenzione questo prete scomodo per tutti, sia
per
l'"ecclesia" cattolica che per gli atei anticlericali ai quali sfugge, probabilmente, la specularità delle
proprie
posizioni. L'intervista ripercorre tutte le tappe intellettuali di Illich, parallelamente al suo impegno a fianco
degli ultimi
della terra, dovunque si trovasse, senza paternalismi né sufficienze volontariste (a tal proposito risulta
efficace
la critica a certo volontariato, laico e non, che funge da "valvola di sfogo" per le frustrazioni e l'impotenza
politica nel luogo di "appartenenza"). Tra i temi affrontati nell'intervista, spazio privilegiato occupa la
rilettura del processo di descolarizzazione che
Illich propugna da tempi non sospetti. "Non ho nulla contro la scuola! Sono contro la scolarizzazione
obbligatoria. Sulla scuola la mia posizione è alquanto diversa. Sono convinto che da
sempre le scuole
combinano il privilegio per nascita con un nuovo privilegiato, ma soltanto quando divengono obbligatorie
possono combinare la mancanza di un privilegio per nascita con una discriminazione autoinflitta" (pp. 31-32).
La critica alla scuola così come essa è, è radicale: da un punto di vista empirico,
la scuola produce selezione,
invece di eliminarla, produce ignoranza senza acculturare (p. 26). Sembra paradossale, ma
l'invenzione
dell'istituzione scolastica pubblica e obbligatoria è recente, risalendo al periodo in cui il potere politico
temeva
una autonomia di apprendimento del sapere e del sapere fare al di fuori di ogni forma di controllo. "Ho
sempre affermato che la svolta si ebbe con Comenius (1592-1670), il quale sosteneva che a tutti va
insegnato come fare correttamente ogni cosa evitando così di apprenderla in modo errato fuori dalla
scuola" (p.
31). Nel periodo in cui gli stati nazionali appena in via di formazione avevano il problema di accentrare
e controllare
la produzione di sapere, la riduzione delle lingue al monologismo nazionale (pp. 52-53), di esautorare poteri
autonomi (la chiesa, le corporazioni dei mestieri e delle arti, ecc.). Da queste riflessioni nasce
"Descolarizzare la società", che intende svuotare metaforicamente le aule entro cui
si suole educare il mondo. È proprio il concetto di educazione a presupporre l'istituzionalizzazione, da
parte
dell'autorità politica, dello strumento scolastico per controllare la produzione e la trasmissione di un
sapere
ineguale. L'asimmetria di saperi è, infatti ineludibile; ogni società ha anziani istruiti (anche
d'esperienza) e
giovani vergini, la cui esperienza è apprendimento in corso, laddove gli anziani hanno già
accumulato tanto da
potersi porre come elementi di situazione (anche se "gli esami non finiscono mai" per nessuno). Proprio
l'asimmetria ineguale è fiera di istruire, appunto, ulteriore diseguaglianza, che in rapporto al sapere fare
vuoi dire potere, chances di vita, orizzonti esistenziali, modi di leggere la realtà, capacità e
abilità di farsi una
bussola di orientamento nel mondo complesso e, talvolta, angosciante, modi di comportamento differenziati e
personalizzati, assunzione di responsabilità (ethos e valori sono anch'essi istruiti, non si danno
liberamente). Illich sostiene che la scuola pubblica obbligatoria (in cui pubblico non concerne la gestione,
nell'attuale
fuorviante polemica con la voglia di conquista del privato, quanto la funzione "oggettiva" che essa assume nel
contesto di una società statuale e istituzionalizzata a ogni livello) rende permanente e artificiale la
scarsità che
sogna l'asimmetria rinforzandola, finendo col porre forme rituali di trasmissione verticale e accentrata le quali,
a loro volta, selezionano, discriminano e allargano la forbice dell'ineguaglianza e del privilegio (si vedano p.
30 e pp. 34-35). Decentrare la trasmissione del sapere, svincolarla dal controllo dei poteri
istituzionali, promuovendo forme
plurali di apprendimento distribuite su varie posizioni (casualmente in questi giorni mi è pervenuto un
grosso
manuale di istruzione "casalinga", dal titolo "Growing without Schooling", cioè "Crescere senza
scuola", di John
Holt, amico di Illich). Le alternative mosse in campo sono e possono essere sempre più
differenziate; ma ritengo che la critica della
funzione pubblica della scuola obbligatoria e dell'istruzione in genere debba vedere gli anarchici e i libertari
attenti nella radicalità e nella progettualità di una soluzione che esuli dai vincoli stringenti e
dissuasivi del
presente, non per estraniarci ulteriormente, per farci marginalizzare in un vicolo cieco sia pure utopico, quanto
per dare all'utopia della critica quelle gambe che, gradualmente, siano capaci di far progredire un progetto
politico. Nei limiti di questa recensione, Ivan Illich è un referente da riscoprire nei suoi testi poco
meditati e rielaborati
da parte nostra, nei quali potremo trovare spunti di analisi critica e di progettualità ancora fecondi,
anche
nell'agire quotidiano. A patto di non rinunciare preventivamente alla radicalità di una tensione di ricerca
libera
da preconcetti, forte da andare controcorrente, esente da "dati" che si spacciano per ineluttabili e progressivi.
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