Rivista Anarchica Online
Come ti vendo l'ostia
In seguito alla revisione degli accordi concordatari tra Stato e Chiesa del 1984 muta il
quadro legislativo
(approvazione legge 222/85) che disciplina le forme previste per il sostentamento economico delle gerarchie
cattoliche. Questo cambiamento introduce i meccanismi dell'8 Irpef e delle offerte deducibili, innovazioni
che incalzano la chiesa verso forme di comunicazione di massa. Ciò ne determina di fatto il definitivo
adeguamento ai codici comunicativi ed ai dettami imperativi propri della società telecratica. Attraverso
questo
importante passaggio (già in essere da tempo) la chiesa cattolica si configura come un moderno soggetto
economico, al pari di qualsiasi azienda commerciale, che mira alla conquista di considerevoli fette di mercato
per mezzo di congegnali e pressanti campagne di marketing pubblicitario, commissionate ad agenzie
specializzate tra le più competitive del settore (TBWA, Saatchi & Saatchi, Wellcome Canard, ecc.).
Le
campagne pubblicitarie promosse a favore della destinazione dell'8 (e delle offerte deducibili) alla Chiesa
poggiano la loro comune filosofia psicologico-propagandistica su tre saldi piedistalli: A) la ingenerazione
di sensi di colpa collettivi volti a creare una "domanda" di espiazione a cui si risponde con: B) l'offerta di
una occasione di solidarietà delegata, indiretta e semplice, alquanto sbrigativa: basta una firma. C)
L'abile sfruttamento di un clima diffuso di vaga antipatia nei confronti delle "Istituzioni Pubbliche" percepite
dal corpo sociale come strutture burocratiche distanti, travolte dalla corruzione politica, inefficienti.
L'azione pubblicitaria e propagandistica della chiesa cattolica è, ovviamente, notevolmente
superiore (per mezzi
a disposizione e capacità di penetrazione sociale) alla campagne delle altre realtà (sempre
religiose) che
concorrono all'assegnazione dell'8. Il marketing della chiesa non stona affatto nella cornice della
pubblicità televisiva. Il mondo virtuale ed effimero
dei "consigli per gli acquisti", con i suoi vistosi eccessi di distorsione/falsificazione della realtà, ben
si presta
ad accogliere, tra uno spot della pasta Barilla e le chiappe della promoter delle caramelle Morositas (o a seconda
dei gusti le tette di V. Marini), il morigerato appello del clero. In questo spazio irreale, inventato, dilatato
e deformante, tutto si confonde e si intona al sapore ed al gusto della
promozione merceologica, tutto scade nel più bieco spirito mercantile. Nel tempio del condizionamento
consumistico, paradossalmente ma non troppo, lo spot delle Morositas e quelli della chiesa scaturiscono da
analoghe concezioni aziendali. Sono "affratellati" non solo dal mezzo/strumento (la televisione) ma anche dalla
"forma" (lo spot) della comunicazione unilaterale. Certo, esistono differenze di linguaggio, di stile, ma
ciò
dipende implicitamente dai diversi target a cui si rivolge il messaggio pubblicitario-promozionale. Sono diverse
solo le sfumature. La pubblicità, specie quella trasmessa via etere, è una forma di promozione
commerciale, una
tecnica di tele-vendita a senso unico: difficile da contrabbandare come strategia comunicativa corretta
poiché
la comunicazione vera e propria prevede l'avvio di un dibattito, l'interazione fra soggetti diversi e non certo la
passività dell'interlocutore/utente. È invece appropriato paragonare le campagne della
chiesa alla propaganda elettorale televisiva o radiofonica
della quale, tutti noi, abbiamo avuto (nostro malgrado) l'occasione di constatare la formidabile forza di
persuasione e condizionamento di massa. Veri e propri lavaggi del cervello che fondano il loro successo e la
loro ragion d'essere sulla caduta verticale di senso critico che attraversa la società. Risulta difficile
per le autorità clericali trovare una legittimazione sul piano etico o teologico a certe scelte
compiute nel campo della comunicazione. Forse anche a questo proposito la CEI ha commissionato al Censis
una indagine sociale (pubblicata nel '94) in cui viene affrontato anche l'aspetto: "la comunicazione della chiesa
cattolica". Nel documento si rileva: "una tendenziale accettazione di questa presenza della chiesa nell'ambito
delle comunicazioni di massa, che sembra autorizzare a considerare ormai in via d'estinzione l'avversione (da
parte del corpo sociale) a strategie comunicative che, al contrario, possono risultare estremamente efficaci e
corrette anche sul piano valoriale e culturale". Boh, sarà, ma sembra proprio che per il sensibile olfatto
ecclesiastico e per le narici vaticane pecunia non olet. Ci sono inoltre dagli aspetti su cui vale la
pena di
soffermarsi a riflettere, che possono mettere in dubbio l'affascinante tesi della "correttezza". Dai dati percentuali
desunti dai sondaggi della CEI si rileva con chiarezza quanto dell'importo complessivo (svariate centinaia di
miliardi) incamerato dalla chiesa attraverso 1'8 a netta prevalenza venga impiegato per finalità
strettamente
attinenti alle esigenze di sostentamento del clero e ad opere di culto e pastorali. Gran parte di questi enormi
capitali viene impiegata per la remunerazione dei circa 38.000 sacerdoti italiani; per il rilancio della edilizia di
culto; per il sostentamento delle circa 100.000 chiese e 25.894 parrocchie sparse su tutto il territorio nazionale;
per la tutela del patrimonio "immobiliare/artistico" ecclesiastico. Tutto ciò si evince con estrema
chiarezza dai
documenti ufficiali della CEI e si rappresenta realtà evidenti. Appare dunque curioso (ed in larga misura
contraddittorio) constatare come la verità divenga, con il suo forte richiamo valoriale di
solidarietà delegata,
il leit-motiv, insieme zucchero e sale di quasi tutte le campagne pro 8 o offerte deducibili. L'elemento della
carità viene spesso accentuato, evidenziato, reso prevalente rispetto ad altri aspetti. Le somme destinate
ad
interventi caritativi costituiscono invece una minoranza della entità complessiva che in ben altri rivoli
disperde
le sue acque. Un altro fatto altrettanto curioso è apprendere come le scelte non espresse (riguardanti
l'8)
nell'ambito della compilazione dei moduli per la dichiarazione dei redditi vengano "equamente divise" tra Stato
e Chiesa cattolica. In questo recupero economico non sono coinvolte le altre realtà che concorrono alla
destinazione di quella parte di gettito fiscale, è difficile quantificare con chiarezza l'importo
complessivo delle
somme da capogiro che vengono incamerate dalla chiesa annualmente attraverso le diverse forme di
sostentamento economico previste per legge. A complicare questo già complesso calcolo subentra un
fattore
piuttosto sconosciuto e sottaciuto dai media: oltre ai meccanismi dell'8 Irpef e delle offerte deducibili sono
previste dallo stato le cosiddette "erogazioni liberali". In una rubrica "Notizie da salvare" curata da Adriano
Sofri per il settimanale Cuore si stimava attorno ai 900 miliardi la pingue somma che ogni 4 stagioni si incontra
con l'universo terreno e materiale delle casseforti vaticane. Questa somma, certo approssimativa, sarebbe
complessiva delle diverse forme di finanziamento che, se è
formalmente scorretto definire finanziamento pubblico (come fanno puntigliosamente notare le segretarie
telefoniche della CEI), resta in attesa di trovare altra e più adeguata definizione che ne comunichi
meglio
l'"intima essenza". Un'ultima osservazione: nel pacco di materiale, da me richiesto alla sede nazionale della
Conferenza Episcopale
Italiana, il logo della propaganda pro-8 Irpef '94 della chiesa cattolica è stampato sotto l'intestazione
(del
computer) del "Movimento per la Vita". Sì, proprio quella organizzazione antiabortista integralista il
cui leader
storico è Casini. Ma non dovrebbe esserci una separazione dei ruoli? Una autonomia della chiesa?
Pensate in quale guaio ci siamo andati a cacciare, vien voglia di bestemmiare.
Fabio Ruta (Verbania)
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