Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 220
estate 1995


Rivista Anarchica Online

Donne in movimento
di Maria Matteo

La libertà delle donne non è oggi messa in discussione solo per il tentativo di limitare il diritto d'aborto o per le conseguenze dei tagli ai servizi sociali, ma, ancor più pericolosamente, dal riemergere vischioso di una cultura patriarcale, gerarchica e sessista che trova sostenitori nei più diversi schieramenti politici

Dopo molti anni la questione dell'aborto è tornata al centro del dibattito politico. Gli integralisti cattolici del Movimento per la vita hanno trovato un più che disponibile interlocutore nel segretario del Partito Democratico della Sinistra Massimo D'Alema.
La vicenda è nota: Carlo Casini, fondatore del movimento per la vita, ha sfidato D'Alema ad un confronto su questioni quali la famiglia, la bioetica e l'interruzione volontaria di gravidanza. La posta in gioco è stata sin dall'inizio del tutto esplicita: verificare se vi fossero le condizioni per un'alleanza elettorale tra il PDS e il partito Popolare. Il segretario del PDS non ha esitato ad affermare che la legge sull'aborto poteva essere rivista. La spaccatura nel PPI con il conseguente passaggio all'area di centro-destra del movimento per la vita non ha spostato la questione: i popolari di Bianco non paiono certo più malleabili di quelli di Buttiglione. Alla fin fine viviamo in un paese in cui una benedizione vaticana pare irrinunciabile per qualunque governo. Quali siano le condizioni per ottenere l'appoggio papale l'ha sin troppo efficacemente chiarito Wojtila nella sua penultima lettera enciclica l'Evangelium vitae, nella quale afferma senza mezzi termini che un governo che consenta l'aborto non è pienamente legittimo anche se dispone dell'appoggio popolare. Affinché Cesare abbia la sua parte occorre che a dio ed ai suoi vicari terreni venga garantito il monopolio sulle questioni morali. La faccenda, che non è certo nuova sulla scena politica italiana, ha oggi tuttavia degli sviluppi del tutto inediti, poiché la palese disponibilità del PDS o, quantomeno, della sua dirigenza maschile, a rimettere in discussione la legge 194 che regolamenta l'interruzione di gravidanza rischia di erodere fortemente i margini di autonomia e libertà che il movimento delle donne aveva faticosamente acquisito negli ultimi vent'anni.

Strada tutta fumosa
Quello che non era riuscito alla Democrazia Cristiana, nonostante i suoi quasi cinquant'anni di egemonia politica, potrà forse essere fatto dai suoi eredi grazie all'appoggio del PDS. D'altra parte l'aborto non è il solo terreno sul quale il lungo e difficile percorso di liberazione delle donne subisce oggi una battuta d'arresto, poiché il taglio dei servizi potrebbe rigettare sulle donne mansioni quali l'assistenza agli anziani e la cura dei bambini. Il movimento delle donne potrebbe pagar cara la scelta fatta negli anni '80 di abbandonare le piazze per sviluppare l'autonomia femminile esclusivamente sul terreno dell'elaborazione culturale. Sebbene gli attacchi al diritto di autodeterminazione delle donne in materia di maternità abbiano suscitato reazioni non irrilevanti come la manifestazione del 3 giugno a Roma, è tuttavia doloroso constatare che oggi le donne debbano sviluppare iniziative solo sul piano difensivo. So bene che il tempo che passa, lungi dal sedimentare la memoria, spesso non si lascia alle spalle che detriti. So anche che quel che chiamiamo storia non è che un racconto che ci attraversa e tramite noi passa ad altri. Quando il narrare si interrompe, si frantuma in mille storie sparse, si creano spaccature che non è facile ricucire. I nuovi collettivi di donne che negli ultimi due, tre anni si sono costituiti nei centri sociali, nelle università spesso denunciano il disagio del mancato collegamento con le protagoniste delle lotte degli anni '60 e '70, con quella stagione del movimento che è significativamente imbalsamata nella definizione di "femminismo storico". Se la storia si dà come continuo fluire, l'aggettivo storico ci rimanda immediatamente al passato, un passato che, per quanto recente, è attingibile solo in quell'immagazzinamento della memoria che sono i documenti. Il graduale stemperarsi della radicalità che il femminismo aveva espresso nella propria fase montante costringe oggi il movimento delle donne a percorrere una strada tutta in salita su un pendio spesso franoso. Quello femminista è stato ed in parte ancor oggi è un movimento impolitico, non perché non abbia voluto scontrarsi su questo terreno, ma perché ha inaugurato una pratica di relazione tra donne che era profondamente aliena rispetto alla dimensione statuale, istituzionale, gerarchica della politica. La critica femminista ha contribuito potentemente a scardinare il mito democratico che individua nel cittadino il fulcro dell'agire politico. Il cittadino è entità asessuata, priva di collocazione sociale, un'astrazione impalpabile. Le donne, il cui accesso alla cittadinanza è stato a lungo impedito e mai sino in fondo realizzato, hanno posto in primo piano la questione delle differenze che fanno di ciascuno di noi un individuo singolo. Passare dall'astratto al concreto, dall'universale al particolare ha significato dar vita ad una concezione della politica, che pone al centro individui che creano relazioni dirette, orizzontali con gli altri.
La scelta di gettare alle ortiche ogni forma rigida d'identità, ha altresì innescato una critica della gerarchia che non si è limitata ad investire lo spazio politico ma si è riversata con forza sulla vita quotidiana, sui rapporti trai sessi e tra le generazioni.

Fine della clandestinità
Questa concezione del femminismo ha una valenza che va ben al di là dell'autonomia delle donne, poiché insiste sulla necessità di superare ogni stereotipo di genere per dar valore alla differenza.
Nel corso degli anni '80 è invece prevalso un altro femminismo, un femminismo non libertario ma gerarchico ed autoritario che si preoccupava di garantire alle donne un miglior accesso a posizioni di prestigio e di potere. Questo femminismo è l'immagine specularmente rovesciata ma sostanzialmente identica del patriarcato, poiché si basa su una conoscenza verticale dei rapporti tra donne. La relazione tra madre e figlia fondata su un meccanismo di comando e obbedienza è il modello cui ciascuna dovrebbe riferirsi per costruire un percorso identitario forte. Nel suo modo d'agire tale femminismo è più simile ad una lobby che ad un movimento; l'obbligo imposto ai partiti di garantire alle donne una certa percentuale di posti nelle liste elettorali è in tal senso esemplare.
Il movimento che oggi si ritrova a difendere il diritto delle donne all'autodeterminazione è quindi molto diverso da quello che nell'81 riuscì a sconfiggere gli integralisti cattolici che avevano presentato un referendum per abrogare la legge 194 sull'interruzione di gravidanza. In un paese in cui buona parte della popolazione si proclamava cattolica il fronte del no raccolse circa il 70% dei consensi. Non si trattava in quell'occasione di schierarsi per la difesa di una legge, atto che non rivestiva alcun interesse per i settori più radicali del movimento femminista, quanto di affermare il diritto delle donne a decidere sulla propria sessualità, sulla propria maternità, sul proprio corpo, sulla propria vita. E' importante non dimenticare che prima del 1978, anno in cui venne approvata la legge, l'aborto era considerato un reato per il quale si incorreva in non lievi condanne penali. La fine della clandestinità, la possibilità di praticare l'interruzione di gravidanza gratuitamente in ospedale ha fatto drasticamente diminuire il numero di donne che morivano d'aborto. Il diffondersi della conoscenza sugli anticoncezionali ha reso inoltre possibile che anche il numero degli aborti si riducesse nettamente.
Un ritorno al proibizionismo o comunque un sostanziale restringimento delle possibilità di abortire obbligherebbero nuovamente le donne a far ricorso alle mammane, ai ferri da calza, al prezzemolo. Sono peraltro convinta che la voglia di libertà e autonomia delle donne non possa e non debba limitarsi alla difesa del diritto d'aborto ed ancor meno alla salvaguardia della 194. Non dimentichiamo infatti, che la 194 come tutte le leggi non consente la libertà ma la limita. La 194 vieta l'aborto dopo il novantesimo giorno dal concepimento, eccetto che nei casi di pericolo di vita per la madre o di possibili malformazioni del nascituro; la 194 permette l'interruzione di gravidanza alle minorenni solo dietro consenso dei genitori e del giudice.

Cambiando noi stessi
La libertà di decidere sul proprio corpo non può in alcun modo essere limitata. Nessuno si sognerebbe mai di regolamentare un'operazione di appendicite o un'estrazione dentaria: nessuno può quindi arrogarsi il diritto di interferire sulla decisione di non portare a termine una gravidanza indesiderata.
Trovo francamente sgradevole che certa sinistra imbevuta di cattolicesimo continui a definire l'aborto un dramma per le donne che scelgono di praticarlo. Tale posizione mostra sin troppo bene come nella cultura che si pretende laica continuano ad annidarsi i germi dell'integralismo religioso. Quell'integralismo che da sempre insiste sulla "naturale" propensione delle donne alla maternità. E, perché no, alle faccende domestiche, al telaio ed al cucito.
Ancora una volta esemplari sono le dichiarazioni fatte da D'Alema in materia di famiglia nell'ormai famigerata intervista rilasciata a Famiglia Cristiana.
La libertà delle donne non è oggi messa in discussione solo per il tentativo di limitare il diritto d'aborto o per le conseguenze dei tagli ai servizi sociali, ma, ancor più pericolosamente, dal riemergere vischioso di una cultura patriarcale, gerarchica e sessista che trova sostenitori nei più diversi schieramenti politici. Diviene quindi oggi più che mai importante riprendere i fili di una critica radicale della famiglia, del matrimonio, dei rapporti tra i sessi. Una critica da cui emergano modi altri di concepire la maternità, la paternità, in cui i figli non siano proprietà e responsabilità della famiglia ma possano fruire dei vantaggi di una socialità allargata, con riferimenti plurimi che consentano loro di vivere e crescere autonomamente.
La libertà delle donne, la libertà degli uomini, la libertà dei bambini, la libertà di ciascuno di noi non si dà solo trasformando la politica e l'economia ma anche e soprattutto cambiando la vita quotidiana, cambiando noi stessi.
E' in questo il grande valore del femminismo, questo il filo sottile ma resistente che collega il femminismo di ieri con quello di oggi.