Rivista Anarchica Online
Milano: il passo laterale del torero
di Gianluigi Bellei
L'arte è sempre stata nei secoli legata ambivalentemente al potere
finanziario e politico e questo per
ovvie ragioni di committenza e di mercato; ma molto spesso, nonostante i vincoli, l'artista puro è
riuscito a dare un'impronta liberatoria e libertaria di sé attraverso l'unicità del suo
lavoro. Oggi, dopo la rivolta delle avanguardie, lo sconquassamento mercantile del '68 e i recenti decenni di
quiescente innamoramento col potere, mediante una mossa a sorpresa alcuni artisti ripropongono un
benvenuto passo laterale del torero. Fu Michelangelo Pistoletto a teorizzare, in un'intervista a Bonito
Oliva nel lontano 1972, tale azione che proponeva una prosecuzione non lineare dell'attività artistica
e di conseguenza un suo spostamento di fianco per seguire altre energie in corsa. Ed è
proprio Pistoletto
che ribadisce oggi la suprema libertà dell'artista di essere presente dappertutto e non solo nelle gallerie
o nei musei. Si fa così strada il progetto ambizioso che ha visto il Centro sociale Leoncavallo di Milano
promotore, fino al 20 giugno scorso, di un futuro laboratorio estetico ma anche un punto di incontro per
una produzione di musica classica contemporanea. Per ora godiamoci l'esposizione "La città del
desiderio" che fa sicuramente invidia a quelle dei più
blasonati musei per correttezza fisiologica, calibrato allestimento e sintesi progettuale. Non siamo
ovviamente in presenza di un discorso di tendenza ma la lineare leggibilità del percorso estetico esclude
le consuete miscellanee di incerto gusto. Sette gli artisti presenti (tutte voci uniche e altisonanti): da
Arcangelo con le sue vaste tele delicate e
musicali, a Ricardo Brey selvaggio e contadino; da Pierpaolo Calzolari che ci ripropone la sua analisi
sulla sensorialità, a Michel Frere con il suo terragno e pastoso colore di vita; da George Lappas con il
suo doppio gioco di corpi che liberano, a MIchelangelo Pistoletto con i suoi specchi Narciso, sdoppianti
ed antiprospettici, per finire con Jaume Plensa lucido rivisitatore del passato. Una mostra forte, sensoriale,
umile e nello stesso tempo, o forse per questo, altissima.
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