Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 220
estate 1995


Rivista Anarchica Online

Camus libertario
di Teodosio Vertone

Non può esserci libertà senza giustizia,
non può esserci giustizia senza libertà.

Se si considera l'insieme dell'opera di Albert Camus, compresa la parte strettamente letteraria, si rileva immediatamente la presenza di tutti i temi essenziali della sensibilità e del pensiero libertario e che seguendo la trasformazione incessante, ma coerente, della creazione di Camus, tali temi si definiscono meglio e i loro contorni assumono spessore di pari passo con lo sviluppo dell'opera.
Così, dalla sensibilità istintivamente libertaria di Nozze al personaggio di Mersault la cui rivolta si manifesta nel momento in cui prende coscienza che la sua vita è l'unico valore del quale ha certezza; da Caligola - che, sempre lucido e generoso, a dispetto delle apparenze, finisce per ammettere, al termine della sua esperienza sanguinaria, di avere scelto la rivolta sbagliata, che la "sua libertà non è quella buona" e che è provato che non si può essere liberi contro gli altri uomini - a Il malinteso che Camus definisce "dramma di rivolta" reclamando una morale di sincerità; da Stato d'assedio - dove la rivolta è cresciuta e ha assunto i tratti definitivi della lucidità e della coscienza di se stessa - a La peste, dove la solidarietà appare come un attributo assiologico della rivolta e la felicità, anche relativa, come un bene di cui non si può gioire in solitudine; da Kaliayev, la cui rivolta si ferma dinanzi all'assassinio di innocenti e che, a partire da lì, fissa i limiti invalicabili della rivolta genuinamente rivoluzionaria, fino a quell'affresco della storia della rivolta rappresentato da L'uomo in rivolta... Camus, già dagli esordi, ha scritto e sviluppato la sua opera secondo una tematica legata alla sensibilità e al pensiero libertari.
Questa sensibilità e questo pensiero ci paiono essere un tratto costante e un punto di forza della sua opera: la difesa della carne e dei diritti assolutamente naturali dell'individuo a vivere la vita dei sensi, in armonia cosmica con il mondo (Nozze, L'estate); l'indifferenza alle leggi della società, percepite come artificio e imposizione a-naturali e "storici" miranti a limitare o soffocare le virtù intrinseche dell'uomo (Lo straniero); la scoperta e l'affermazione della rivolta, in quanto presa di coscienza dell'individuo e strumento per mantenere quest'ultimo al livello della propria dignità (I giusti, Stato d'assedio); la libertà come conquista della rivolta e limite della stessa (Caligola, Kaliayev); il diritto alla felicità raggiunta attraverso la libertà, figlia della rivolta; la solidarietà, condizione della felicità e della libertà (La peste, Jonas l'artista); la giustizia con e nella libertà (Ni victimes ni bourreaux in "Actuelles"); il rifiuto intransigente di ogni giustizia messianica a scapito, anche provvisoriamente, della libertà figlia della rivolta (L'uomo in rivolta); il rifiuto della parusia ("la venuta di Gesù alla fine dei tempi, per instaurare il Regno di Dio" - Devoto-Oli) cristiana o marxista (ibidem); l'opposizione a ogni assoluto metafisico o storico (ibidem); la diffidenza nei confronti della ragione e della Storia, e dello storicismo che ne è la divinizzazione (ibidem); la lotta contro le deviazioni e il tradimento della rivolta, consumati dalle rivoluzioni storiche e, innanzi tutto, dalla rivoluzione marxista-leninista che, in nome dell'efficacia e della parusia di un Eden storico, ha tradito le proprie origini e si è posta in contrasto con i postulati della rivolta genuinamente rivoluzionaria; la laicità della rivolta che rifiuta ogni dogmatismo; l'imperativo del rispetto e della difesa della vita umana, contro il principio della pretesa efficacia rivoluzionaria e della necessità storica, invocate dalla rivoluzione che ha abbandonato la rivolta; la diffidenza nei confronti della nozione di "potere" e in particolare della sua realizzazione politica; un certo sospetto nei confronti della politica in generale; la difesa accanita della pace e l'opposizione alla guerra; l'alta considerazione che Camus ha sempre avuto per l'obiezione di coscienza e la difesa senza riserve che le consacrò, su tutti questi temi, sarebbe difficile trovare dei libertari che esiterebbero un solo istante a condividere i punti di vista di Camus.

Libertà e giustizia
Ma di questi temi, ce ne sono soprattutto due che testimoniano della corrispondenza tra il pensiero di Camus e la tradizione libertaria: la libertà e la giustizia. A questi due valori si ricollegano tutti gli altri e le implicazioni dell'incidenza storica che appartiene loro. Non può esserci libertà e la giustizia senza libertà non è nulla. Libertà e giustizia sono i due volti indissolubili di un binomio che definisce un unico e identico valore, di cui l'ambizione e il dovere sono la realizzazione della felicità, certamente relativa, dell'uomo. E' per questo che sarebbe limitativo ricondurre unicamente alla libertà, come ha fatto buona parte della critica, il centro del pensiero di Camus - centro da cui discenderebbe tutto il resto. Parimenti arbitrario sarebbe sottovalutare l'importanza fondamentale che Camus accorda alla libertà in quanto valore assiologico vissuto dall'uomo concreto, "el de carne y hueso", di cui parla uno degli spiriti più apprezzati di Camus, Miguel de Unamuno (Del sentimiento tràgico de la vida).
La libertà, vissuta in un primo tempo come possibilità d'accesso alle gioie naturali in Nozze, appare nella riflessione del Mito come una conseguenza del rifiuto del suicidio, essendo questo rifiuto imposto nei fatti dalla necessità della rivolta contro l'assurdo del mondo. Tuttavia, in questo primo movimento, la rivolta s'interessa unicamente della libertà individuale. E', come dichiara lo stesso Camus, "il punto zero della rivolta". Questo primo movimento della rivolta implica l'esigenza della libertà individuale.
E' con il NO dello schiavo al suo padrone e nel momento in cui la rivolta prende coscienza dell'assurdo storico, che la libertà acquisisce una dimensione collettiva che, proprio per questo, non può sussistere senza la coscienza che la libertà ha anche i suoi limiti. E' esattamente la libertà di dimensione collettiva che attira l'interesse di Camus, perché egli sa che la "libertà in sé" o metafisica non porterebbe nulla alla rivolta. La libertà di rivolta contro l'assurdo del mondo è quella che egli rivendica contro l'illusione della libertà interiore, postulata dall'assicurazione di un'eternità.
La libertà di rivolta è assolutamente concreta, perché l'assurdo del mondo gli ha insegnato che non esiste domani.

Una libertà sociale, politica e civile
Questa libertà non è illusoria, perché si esercita all'interno della collettività: è sociale, politica e civile. Il suo supporto e il suo contenuto essenziali si chiamano giustizia. Essa vive in equilibrio con la giustizia, alla quale non può rinunciare, pena la sua scomparsa. Questo equilibrio, che è anche quello della rivolta storica, tra il di consenso alla dignità umana e il no alla negazione di questa dignità, è per l'appunto l'equilibrio della libertà dei libertari, che deve costantemente difendersi dai suoi due pericoli storici, i quali, apparentemente divisi sull'idea che si fanno della giustizia, si ritrovano alleati per quanto concerne le loro ideologie antilibertarie. E per finire, dopo avere soffocato la libertà, gli uni e gli altri instaurano l'ingiustizia. Gli uni a causa dell'idea "smisurata" che si fanno della libertà. Gli altri a causa della diffidenza che hanno nei confronti della libertà che, attraverso il suo esercizio, intralcerebbe la necessità storica. A proposito degli uni e degli altri Camus constata: "La società del denaro e dello sfruttamento non è mai stata incaricata, che io sappia, di fare regnare la libertà e la giustizia. Gli Stati polizieschi non sono mai stati sospettati di aprire scuole di diritto nei sotterranei dove interrogano i loro pazienti. Allorché opprimono e sfruttano fanno il loro mestiere".
Libertà e giustizia non sono un affare dei governi, ma degli operai e degli intellettuali che devono sorvegliare il cammino della rivolta genuinamente rivoluzionaria e che, a partire dal XIX secolo, si sono assunti il compito della difesa del "doppio onore della libertà e della giustizia".

Apologia della rivolta
La concatenazione stessa delle idee di Camus si dispiega sorprendentemente in accordo con i princìpi propri del pensiero libertario. Il suo giudizio sulla deviazione della rivoluzione russa del 1917 e sulle conseguenze nefaste che hanno avuto il cinismo politico, dimentico dell'onore della rivolta, e la pretesa efficacia, rivestita con i panni della necessità storica, si ricollegano alle accuse che Makhno e i soviet libertari ucraini rivolgevano ai dirigenti marxisti-leninisti della rivoluzione sovietica.
Camus, come i libertari, constata che nel '17 la rivoluzione fatta dai lavoratori, con il trionfo dei valori della rivolta, annunciava "veramente l'alba della libertà reale e la più grande speranza che questo mondo abbia conosciuto". Ma essa si è armata, la libertà è divenuta sospetto e la rivoluzione si è armata e provvista di una polizia. La libertà è divenuta sospetto e la rivoluzione si è indebolita, "mentre la polizia si rafforzava e la più grande speranza del mondo si è sclerotizzata nella dittatura più efficace del mondo". Ciò è potuto accadere in conseguenza del rilassamento dello spirito di rivolta, dovuto alla debolezza e all'abbandono dei suoi difensori. Questi ultimi hanno ceduto dinanzi all'assurdo storico e in nome di una falsa idea della strategia e dell'efficacia, si sono allontanati dalla rivolta. "Si, il grande avvenimento del XX secolo è stato l'abbandono dei valori della libertà attraverso il movimento rivoluzionario, il ritiro progressivo del socialismo della libertà davanti al socialismo cesariano e militare". "Il grande crimine dei rivoluzionari dei tempi moderni è quello di avere mutilato la rivolta dei libertari".
La rivoluzione non sa che farsene della sensibilità e della coscienza della rivolta. I postulati libertari di questa diventano ormai dei princìpi pericolosi per la vittoria della rivoluzione e i suoi difensori si ritrovano in cima alla lista dei nemici che i rivoluzionari di professione vogliono abbattere: "Noi siamo i Giovani turchi della rivoluzione", diceva Lenin, "con in più qualcosa di gesuita". Una volta al potere, questa rivoluzione partorirà il socialismo di Stato contro il socialismo della libertà. La rivolta si è travestita da rivoluzione militare e la rivoluzione libertaria è stata incatenata. In realtà, per avere la meglio sui princìpi libertari della rivolta, più che dei princìpi di Marx, Lenin ha avuto bisogno del soccorso di Lassalle, vero inventore e teorico del socialismo di Stato. Con il trionfo del socialismo di Stato contro il socialismo della libertà, "la storia delle lotte interne del partito, da Lenin a Stalin, si riassumerà nella lotta tra la democrazia operaia e la dittatura militare e burocratica, la giustizia, infine, e l'efficacia".

Critica dello stato
Questo scacco della rivolta è una prova ulteriore che la giustizia e la libertà scomparivano "nel momento in cui si costituisce un governo". Gli anarchici, in primo luogo Varlet, hanno ben visto che governo e rivoluzione sono direttamente incompatibili. E' contraddittorio, dice Proudhon, "che il governo possa mai essere rivoluzionario e ciò per la semplice ragione che è governo".
Qui, come altrove, Camus non solo fa un riferimento esplicito al pensiero anarchico che pare condividere, ma si spinge più in là dello stesso Proudhon nell'opposizione pensiero libertario-governo. Camus constata in effetti che l'affermazione proudhoniana dell'impossibilità intrinseca, per ogni governo, di essere rivoluzionario, implica inoltre, alla luce dell'esperienza storica dei governi della rivoluzione totalitaria, che questi governi non saprebbero fermarsi all'asservimento della giustizia, perché è nella loro natura totalitaria produrre anche la guerra.
La guerra contro le differenze, la guerra contro la diversità che potrebbe ancora testimoniare il grido della rivolta. La pace e la tolleranza, il diritto alla felicità e al dialogo trovano allora nella rivoluzione totalitaria, di cui la guerra è un corollario, un nemico implacabile. La società "che è nata dal 1917 si batte per la dominazione universale. La rivoluzione totale finisce così per rivendicare... l'impero del mondo". Cos', l'idea generosa delle antiche rivolte di realizzare l'unità del mondo attraverso le esigenze di giustizia e libertà nell'uomo si appresta a degenerare, con la rivoluzione del XX secolo, in principio di dominazione totale contro la giustizia e la libertà. Il vecchio sogno di unità del genere umano dei libertari degenera in totalità storica che "il movimento rivoluzionario del XX secolo, giunto alle conseguenze più chiare della sua logica, esige, le armi in pugno". Il cammino dell'unità promessa passa allora attraverso la totalità. In attesa dell'unità del genere umano nella giustizia, occorre accettare l'ingiustizia della totalità.
"Da quel momento, la dottrina s'identifica definitivamente con la profezia [...]. La mistificazione pseudo-rivoluzionaria ha ora la sua formula: occorre uccidere ogni libertà per conquistare l'Impero e l'Impero un giorno sarà la libertà".

Un formicaio di uomini soli
In attesa della liberazione dell'uomo, promessa dalla parusia marxista, la libertà umana deve sparire per fare posto alla necessità storica. L'individuo deve trasformarsi in un ingranaggio della colossale macchina umana, votata al trionfo della rivoluzione storica. La sua cieca adesione al sistema chiede il sacrifico alla necessità del sistema, anche se quest'ultimo lo respinge o se lui ricusa il sistema; perché, per Camus, il sistema può asservire "un uomo vivo e ridurlo allo stato storico di cosa". La totalità non può ammettere la differenza, anche nella morte; perché, se l'individuo "muore rifiutando, riafferma una natura umana che respinge l'ordine delle cose. E' per questo che l'accusato viene prodotto e ucciso di fronte al mondo solo se è disposto a dire che la sua morte sarà giusta, e conforme all'impero delle cose. Occorre morire disonorati o non essere più, né nella vita né nella morte". Questo spiega l'aberrazione psicologica dei processi dove l'innocente arriva ad accusarsi di crimini che non ha mai commesso, ma che la necessità storica dello Stato rivoluzionario gli presentava come oggettivamente tali. Così i valori intrinseci alla rivolta, rivendicati dalla rivoluzione libertaria, sono definitivamente scherniti dalla rivoluzione storica: la fraternità, l'amicizia, la solidarietà non hanno più diritto di cittadinanza. Poiché la persona accusata dal sistema è per tale ragione già colpevole, l'amico deve diventare delatore. "Nel regno delle persone, gli uomini stringono legami d'affetto; nell'Impero delle cose, gli uomini si uniscono mediante la delazione". Così, la città che la rivoluzione libertaria voleva fraterna è divenuta, nella rivoluzione storica che ha abbandonato la rivolta, "un formicaio di uomini soli".
La rivoluzione totalitaria ha creato una società di colpevoli, ma ha altresì rovesciato la vecchia nozione di carnefice; dato che la vittima, anche innocente, deve riconoscersi colpevole di fronte ai suoi accusatori e riconoscere, ovvero reclamare, il castigo di fronte alla necessità storica.
La religione cattolica aveva introdotto il sacramento della confessione e il perdono per gli errori commessi. La rivoluzione che ha abbandonato la rivolta ha introdotto il principio dell'autocritica per degli errori mai commessi e la necessità del riconoscimento di ogni accusa mossa dal sistema; perché solo quest'ultimo è legittimato dalla Storia a definire ciò che è giusto o no, ciò che è vero o falso, ciò che è colpevole o no. I criteri di giudizio non sono più quelli che poneva la rivolta libertaria, ma quelli che reclamano la necessità della Storia e la virtù dell'efficacia rivoluzionaria.
Se ogni religione ruota intorno alle nozioni d'innocenza e colpevolezza, per contro, il primo ribelle, Prometeo, ricusava il diritto di punire. "Nel suo primo movimento, la rivolta rifiuta dunque al castigo la sua legittimità". La rivoluzione totalitaria pone la nozione religiosa del castigo al centro del suo sistema, e il suo giudice infallibile diviene la Storia, più implacabile del giudice dei cieli che, almeno, non escludeva l'innocenza e ammetteva il perdono. Il comunismo si rivela dunque, nella sua realizzazione e sotto questo aspetto, una dottrina della colpevolezza nei riguardi dell'uomo e d'innocenza nei riguardi della Storia. "Legge del potere, la sua traduzione storica era la violenza rivoluzionaria; al vertice del potere, essa rischia di essere la violenza legale, vale a dire il terrore e il processo".
Ci sembra che l'analisi di Camus sulle deviazioni della rivoluzione del XX secolo ci costringa a concludere che i danni da esse prodotti colpiscano la struttura stessa della psicologia dell'uomo. Perché questo, in conseguenza degli effetti di tali deviazioni, rischia di divenire come minimo "una cosa" o "un'anima morta", come dice Camus, ma prima ancora un individuo la cui anima, sapientemente manipolata nei laboratori dell'ideologia, si appresta a venire modellata con l'aiuto di falsi valori. Il risultato aberrante sarebbe la creazione di coscienze mostruose, dove la colpevolezza individuale diverrebbe una costante ineluttabile dell'esistenza umana.

Teodosio Vertone
(Traduzione di Stefano Viviani da Alternative Libertaire di Bruxelles)

Albert Camus: elogio della libertà

Se si sommano le violazioni e i soprusi che oggi giorno si commettono si può profetizzare un tempo in cui, in un'Europa di campi di concentramento, non ci saranno che secondini in libertà che faranno il possibile per imprigionarsi a vicenda. Quando non ce ne sarà che uno, lo nomineremo capo guardiano e questa sarà la società perfetta, dove i problemi dell'opposizione, incubo dei governi del XX secolo, saranno infine definitivamente risolti.
Beninteso, questa non è che una profezia e, quantunque in tutto il mondo i governi e la polizia con molta buona volontà facciano il possibile per arrivare a questa felice conclusione, noi non ci siamo ancora arrivati. Da noi, per esempio, nell'Europa occidentale, la libertà è ufficialmente ben vista. Semplicemente però mi fa pensare a quelle cugine povere che si vedono in alcune famiglie borghesi. La cugina è diventata vedova, ha perso quindi il suo protettore naturale. Allora la si raccoglie, le si dà una camera al V piano e la si accetta in cucina. La si fa vedere talvolta in città la domenica, per dimostrare che si è virtuosi e che non siamo dei cani. Per il resto però, e soprattutto nelle grandi occasioni, essa è pregata di stare lontano. E se anche un poliziotto distratto la viola un po' in qualche angolo, non se ne fa una tragedia, ne ha viste di peggio, soprattutto col padrone di casa; e, infine, non vale la pena di far questioni con le autorità costituite. Ad oriente bisogna riconoscere che sono più franchi.
Hanno regolaato una volta per tutte la questione della cugina, l'hanno chiusa in un armadio con un paio di buoni catenacci. Pare che la si farà uscire fra mezzo secolo circa, quando la società ideale sarà definitivamente instaurata. In quel tempo si faranno feste in suo onore. A parer mio, però, essa rischia allora di essere un po' mangiata dalle tarme e temo che non ce ne si possa più servire.
Quando si aggiungerà, che queste due concezioni - quella dell'armadio e quella della cugina - hanno deciso di imporsi l'una all'altra, e sono obbligate in tutto questo trambusto a ridurre ancor più i movimenti della cugina, si comprenderà facilmente come la nostra storia sia quella della servitù più che della libertà, e che il mondo nel quale viviamo sia quello di cui ho parlato or ora, mondo che ci si palesa dai quotidiani tutte le mattine per fare dei nostri giorni e delle nostre settimane un solo giorno di rivolta e di collera.

Una speranza è scomparsa
La cosa più semplice e pertanto la più tentatrice è quella di accusare i governi o qualche potenza oscura di questi brutti modi.
E' vero che i governi sono colpevoli, di una colpevolezza così spessa ed estesa che non se ne vede più l'origine. Ma essi non sono gli unici responsabili. Dopo tutto, se la libertà non avesse avuto che i governi per sorvegliare il suo sviluppo, è probabile che sarebbe ancora allo stadio infantile o definitivamente sotterrata con l'iscrizione "E' salito un angelo in cielo". La società basata sul denaro e sullo sfruttamento, non è stata mai incaricata, che io sappia, di far regnare la libertà e la giustizia. Lo Stato poliziotto non è stato mai sospettato di aprire scuole di diritto nei sottosuoli dove interroga i suoi pazienti. Quindi quando i governi opprimono e sfruttano fanno il loro mestiere e chiunque gli affida senza controllo la libertà non ha il diritto di meravigliarsi che la libertà sia immediatamente disonorata.
Se la libertà è oggi umiliata o incatenata non è perché i suoi nemici hanno usato il tradimento. E' perché i suoi amici hanno in parte dato le dimissioni, è perché essa ha perduto proprio il suo protettore naturale. Si, la libertà è vedova, ma bisogna dirlo perché è vero, essa è vedova di noi tutti.
La libertà è questione che interessa gli oppressi e i suoi protettori tradizionali sono sempre usciti dai popoli oppressi. Sono i comuni che nell'Europa feudale hanno mantenuto i fermenti di libertà, gli abitanti dei borghi e delle città che l'hanno fatta trionfare in modo fuggevole nell'89 e, a partire dal XIX secolo, sono i movimenti operai che si sono preoccupati di far rispettare la libertà e la giustizia, che non hanno mai sospettato inconciliabili.
Sono i lavoratori manuali e intellettuali che hanno dato sostanza alla libertà e che l'hanno fatta progredire nel mondo finché diventasse il principio stesso del nostro pensiero, l'aria di cui non possiamo fare a meno, che respiriamo a pieni polmoni, fino a quando, privati di essa, ci sentiamo morire. E se oggi, nella maggior parte del mondo essa è in regresso, è senza dubbio perché mai le iniziative di asservimento sono state più ciniche e meglio armate, ma è anche perché i suoi veri difensori - sia perché stanchi o sia per una falsa idea della strategia e dell'efficacia - si sono allontanati da essa.
Si, il grande avvenimento del XX secolo è stato l'abbandono dei valori di libertà da parte del movimento rivoluzionario, il continuo regresso del socialismo libertario di fronte al socialismo cesariano e militarizzato. Da quel momento, una speranznza è scomparsa dal mondo, una solitudine è cominciata per ogni uomo libero.
Quando, dopo Marx, ha cominciato a diffondersi e a fortificarsi l'idea che la libertà è un trastullo borghese, certo non si tratta di una semplice confusione di parole. Noi stiamo ancora pagando questa confusione nelle convulsioni del secolo. Poiché bisognava dire che la libertà borghese era certo un trastullo, ma non era tutta la libertà.
Certo era necessario dire che la libertà borghese non era la libertà, o nel migliore dei casi che non lo era ancora, ma che c'erano libertà da conquistare e da non abbandonare mai più.
E' pure vero che non c'è libertà possibile per un uomo incatenato al lavoro tutta la giornata e che, la sera, è costretto ad abitare in mucchio con la famiglia in una sola camera. Questo però condanna una classe e una società, non il bisogno di libertà di cui anche il più povero fra noi non può fare a meno.
E ammesso che la società si trasformasse improvvisamente e divenisse decente e confortevole per tutti, se la libertà non vi regnasse sarebbe ancora una barbarie.

Dalla rivoluzione alla dittatura
Poiché la società borghese parla di libertà senza praticarla, è necessario che la società operaia rinunzi a praticarla, vantandosi solamente di non parlarne affatto?
Intanto è avvenuta la confusione e, nel movimento rivoluzionario, la libertà a poco a poco si è trovata condannata, perché la società borghese ne faceva un uso mistificatore. Dalla giusta e sana diffidenza nei riguardi delle prostituzioni che questa società infliggeva alla libertà, si è arrivati a diffidare della libertà stessa.
Nel migliore dei casi la si è rimandata ai secoli futuri, pregando di non parlarne più fino ad allora. Si è dichiarato che era necessaria dapprima la giustizia e che per quanto concerne la libertà si sarebbe visto poi, come se gli schiavi potessero sperare di ottenere giustizia. Intellettuali dinamici hanno dichiarato ai lavoratori che era il pane solamente che doveva interessarli e non la libertà, come se il lavoratore non sapesse che il suo pane dipende anche dalla sua libertà. Certamente, di fronte alla lunga ingiustizia della società borghese, era forte la tentazione di portarsi a questi estremi. Forse non c'è nessuno fra di noi presenti, che coll'azione o il pensiero non vi abbia ceduto. Ma la storia ha camminato e ciò che abbiamo visto deve farci riflettere. La rivoluzione fatta da lavoratori ha trionfato nel '17 e allora fu veramente il trionfo della libertà e la più grande speranza che il mondo abbia conosciuto. Ma quella rivoluzione, accerchiata, minacciata, all'interno come all'esterno, si è armata, munita di una polizia. A poco a poco privata della forza che rappresenta la fede nella libertà, di cui la polizia diffidava, la rivoluzione perdeva respiro mentre la polizia si rinforzava. La più grande speranza del mondo si è in tal modo sclerotizzata nella dittatura più potente del mondo. La falsa libertà della società borghese, non ne è scontenta, al contrario.
Ciò che è stato ucciso nel processo di Mosca e altrove e nei campi della rivoluzione, ciò che è assassinato quando si fucila, come in Ungheria, un ferroviere per un errore professionale, non è la libertà borghese, è la libertà del '17. La libertà borghese può procedere nello stesso tempo a tutte le sue mistificazioni. I processi, le perversioni della società rivoluzionaria le danno la tranquillità della coscienza e degli argomenti solidi.

Lavoro ed intelligenza
Ciò che caratterizza il mondo in cui viviamo è questa dialettica cinica che oppone l'ingiustizia all'asservimento e che rafforza l'una con l'altra. Quando si fa entrare nei palazzi della cultura Franco, l'amico di Goebbels e di Hitler, Franco il vero vincitore della II guerra mondiale, a coloro che protestano e dicono che i diritti dell'uomo scritti nella Carta dell'Unesco sono ridicolizzati giornalmente nelle prigioni di Franco, si risponde seriamente che la Polonia è nell'Unesco e che in fatto di rispetto l'uno non vale più dell'altro. Argomenti idioti, certamente. Se avete avuto la disgrazia di dare vostra figlia in sposa a un aiutante del Battaglione d'Africa non è una ragione per maritare la minore con l'ispettore della Brigata del Buon Costume. E' anche troppo, una pecora smarrita in famiglia. Tuttavia questo argomento idiota è efficace. E ne abbiamo prove ogni giorno.
A colui che presenta lo schiavo delle colonie che grida giustizia, si mostra colui che soffre nel campo di concentramento russo e viceversa. Se protestate contro l'assassinio a Praga di uno storico come Kalanvi si rinfaccerà l'assassinio di due o tre negri americani. In questa disgustosa gara, una sola cosa non cambia, la vittima, sempre la stessa; un solo valore è costantemente violato e prostituito, la libertà, e si vede allora che ovunque contemporaneamente anche la giustizia è avvilita.
Come rompere, per mettervi una fine, questo cerchio infernale?
E' evidente che non si può farlo che restaurando fin d'ora, in noi stessi e intorno a noi, il valore della libertà e impedendo che essa sia mai più sacrificata, anche solo provvisoriamente, o separata dalle nostre rivendicazioni di giustizia. Lo slogan di oggi per noi tutti non può essere che questo: senza cedere niente sul piano della giustizia, non cedere niente su quello della libertà. In particolare, le poche libertà democratiche di cui godiamo ancora non sono illusioni senza conseguenza e che possiamo lasciarci strappare senza proteste. Esse rappresentano esattamente ciò che ci resta delle grandi conquiste rivoluzionarie dei due ultimi secoli. Esse non sono, come tanti astuti demagoghi ci dicono, la negazione della vera libertà. Non c'è una libertà ideale che ci sarà data un giorno tutto d'un colpo come si riceve la propria pensione al tramonto della propria vita. Ci sono libertà da conquistare una ad una con fatica, e quelle che abbiamo sono ancora tappe, insufficienti certamente, ma tuttavia tappe sul cammino della liberazione concreta. Se si accetta di sopprimerle non saremo capaci di avanzare altrettanto. Si va all'indietro invece, un giorno bisognerà rifare di nuovo questo cammino, ma questo nuovo sforzo sarà fatto, una volta di più, con il sudore e con il sangue degli uomini.
No, scegliere la libertà oggi non è, come per un Kravcenko, passare dallo stato dei profittatori del regime sovietico a quello dei profittatori del regime borghese, poiché ciò sarebbe, al contrario, scegliere due volte la servitù e, condanna ultima, scegliere per gli altri. Scegliere la libertà non è, come ci si vuol fare intendere, sceglierla contro la giustizia. Al contrario, oggi si sceglie la libertà mettendoci accanto a coloro che ovunque soffrono e lottano e solo là: bisogna sceglierla. La si sceglie contemporaneamente alla giustizia e ormai non possiamo scegliere l'una senza l'altra.
Se qualcuno vi toglie il pane, sopprime nel medesimo tempo la vostra libertà. Ma se qualcuno vi toglie la libertà siate sicuri che il vostro pane è minacciato poiché non dipende più da voi e dalla vostra lotta ma dall'arbitrio di un padrone. La miseria cresce a misura che la libertà diminuisce e viceversa. E se questo secolo implacabile ci ha insegnato qualcosa è che la rivoluzione economica avverrà alla sola condizione che vi sia la libertà, nello stesso modo che la liberazione dovrà cancellare la schiavitù economica. Gli oppressi non vogliono essere solo liberati dalla loro fame, essi vogliono essere liberati anche dai loro padroni. In realtà essi saranno liberati dalla loro fame solo quando non avranno più ragioni di temere i padroni, tutti i padroni.
Aggiungerò, per terminare, che separare la libertà dalla giustizia significa separare la cultura dal lavoro e ciò costituisce il peccato sociale per eccellenza. Lo sbandamento del movimento operaio in Europa deriva in parte dal fatto che esso ha perduto la sua vera patria, quella da cui prendeva forza dopo tutte le disfatte, e che era la fede nella libertà. Parimenti il confusionismo degli intellettuali d'Europa deriva dal fatto che la doppia mistificazione, borghese e pseudo-rivoluzionaria, li ha separati dalla loro unica sorgente di autenticità, il lavoro e la sofferenza di tutti, li ha tagliati fuori dai loro soli alleati naturali, i lavoratori. Io ho sempre riconosciuto due sole aristocrazie; quella del lavoro e quella dell'intelligenza ed io so ora che è pazzesco e criminale volere sottometterle l'una all'altra, so che esse costituiscono un'unica nobiltà, che la loro verità e la loro efficacia sono nella loro unione, che separate si lasceranno sottomettere dalle forze della barbarie, che unite, al contrario, faranno la legge del mondo. Per questo ogni impresa che miri a spezzare la loro solidarietà e a separarle è un'impresa diretta contro l'uomo e le sue speranze più sublimi. Il primo sforzo di un'impresa dittatoriale è quella di asservire contemporaneamente il lavoro e la cultura. Bisogna ridurre al silenzio entrambi, sennò, i tiranni lo sanno bene, presto o tardi l'uno parlerà per l'altro.
Così ci sono, secondo me, per un intellettuale, due modi oggi di tradire e nei due casi egli tradisce perché accetta una sola cosa: la separazione del lavoro dalla cultura. Il primo modo caratterizza gli intellettuali borghesi che accettano che i loro privilegi siano pagati dall'asservimento dei lavoratori. Costoro affermano sovente che difendono la libertà, ma essi difendono soprattutto i privilegi che dona loro, a loro solamente, la libertà. Il secondo caratterizza gli intellettuali che si credono di sinistra e che per diffidenza della libertà accettano che la cultura e la libertà che essa presuppone siano controllate, con il vano pretesto di servire ad una giustizia avvenire. In entrambi i casi, si accetta, si conserva, la separazione del lavoro intellettuale e manuale che è il vero scandalo della nostra società e che vota all'impotenza sia il lavoro che la cultura. Si avvilisce nel medesimo tempo la libertà e la giustizia. E' vero che la libertà insulta il lavoro e lo separa dalla cultura quando la libertà è basata sui privilegi. Ma la libertà, non è fatta di privilegi essa è fatta soprattutto di doveri.
Dal momento in cui ciascuno di noi cerca di far prevalere i doveri della libertà sui suoi privilegi, da quel momento la libertà è sintesi di lavoro e di cultura, e mette in moto una forza che è la sola capace di servire efficacemente la giustizia. La verità di cui dobbiamo vivere oggi, la regola delle nostre azioni, il segreto della nostra resistenza può formularsi in un modo semplice: ciò che umilia il lavoro umilia l'intelligenza e viceversa. La lotta rivoluzionaria, lo sforzo secolare di liberazione si definisce soprattutto come un rifiuto incessante all'umiliazione. La verità è che non siamo ancora usciti da questa umiliazione.
Ma la ruota gira, la storia cambia: si avvicina il tempo, ne sono sicuro, in cui non saremo più soli. Per me la nostra riunione di oggi ne è già una prova. Che dei sindacati si riuniscano e si stringano intorno alla libertà per difenderla, si, questo solo meritava che da ogni parte tutti accorressero per manifestare la loro unione e la loro speranza. Il cammino è lungo da percorrere.
Ma se la guerra non verrà a tutto scombussolare con la sua orrida confusione, avremo il tempo di dare una forma alla giustizia e alla libertà di cui abbiamo bisogno. Ma per fare questo dobbiamo ormai rifiutarci, chiaramente, senza collera, ma irriducibilmente, alle menzogne di cui ci hanno saziati.
Non si costruisce la libertà sui campi di concentramento, né sui popoli asserviti delle colonie né sulla miseria operaia. No, le colombe della pace non si posano sulle forche; no, le forze della libertà non possono mischiare i figli delle vittime con i carnefici di Madrid, o con altri.
Almeno di questo ora saremo ormai sicuri, come saremo sicuri che la libertà non è un regalo che possa venirci da uno Stato o da un capo, ma un bene che si conquista tutti i giorni con lo sforzo di ognuno di noi e con l'unione di tutti.

Albert Camus
(originariamente apparso su
La Revolution Proletarienne, settembre 1953, e tradotto in italiano sulla rivista anarchica Volontà, vol. 7 n. 8, 15-11-'53)