Rivista Anarchica Online
Camus libertario
di Teodosio Vertone
Non può esserci libertà senza giustizia, non può esserci
giustizia senza libertà.
Se si considera l'insieme dell'opera di Albert Camus, compresa la parte strettamente
letteraria, si rileva
immediatamente la presenza di tutti i temi essenziali della sensibilità e del pensiero libertario e che
seguendo la
trasformazione incessante, ma coerente, della creazione di Camus, tali temi si definiscono meglio e i loro contorni
assumono spessore di pari passo con lo sviluppo dell'opera. Così, dalla sensibilità
istintivamente libertaria di Nozze al personaggio di Mersault la cui rivolta si manifesta
nel
momento in cui prende coscienza che la sua vita è l'unico valore del quale ha certezza; da
Caligola - che, sempre
lucido e generoso, a dispetto delle apparenze, finisce per ammettere, al termine della sua esperienza sanguinaria,
di avere scelto la rivolta sbagliata, che la "sua libertà non è quella buona" e che
è provato che non si può essere
liberi contro gli altri uomini - a Il malinteso che Camus definisce "dramma di rivolta" reclamando
una morale di
sincerità; da Stato d'assedio - dove la rivolta è cresciuta e ha assunto i tratti
definitivi della lucidità e della
coscienza di se stessa - a La peste, dove la solidarietà appare come un attributo assiologico
della rivolta e la
felicità, anche relativa, come un bene di cui non si può gioire in solitudine; da
Kaliayev, la cui rivolta si ferma
dinanzi all'assassinio di innocenti e che, a partire da lì, fissa i limiti invalicabili della rivolta genuinamente
rivoluzionaria, fino a quell'affresco della storia della rivolta rappresentato da L'uomo in rivolta...
Camus, già dagli
esordi, ha scritto e sviluppato la sua opera secondo una tematica legata alla sensibilità e al pensiero
libertari. Questa sensibilità e questo pensiero ci paiono essere un tratto costante e un punto di forza
della sua opera: la
difesa della carne e dei diritti assolutamente naturali dell'individuo a vivere la vita dei sensi, in armonia cosmica
con il mondo (Nozze, L'estate); l'indifferenza alle leggi della società, percepite come
artificio e imposizione
a-naturali e "storici" miranti a limitare o soffocare le virtù intrinseche dell'uomo (Lo
straniero); la scoperta e
l'affermazione della rivolta, in quanto presa di coscienza dell'individuo e strumento per mantenere quest'ultimo
al livello della propria dignità (I giusti, Stato d'assedio); la libertà come conquista
della rivolta e limite della
stessa (Caligola, Kaliayev); il diritto alla felicità raggiunta attraverso la libertà, figlia
della rivolta; la solidarietà,
condizione della felicità e della libertà (La peste, Jonas l'artista); la giustizia con
e nella libertà (Ni victimes ni
bourreaux in "Actuelles"); il rifiuto intransigente di ogni giustizia messianica a scapito, anche
provvisoriamente,
della libertà figlia della rivolta (L'uomo in rivolta); il rifiuto della parusia ("la venuta di
Gesù alla fine dei tempi,
per instaurare il Regno di Dio" - Devoto-Oli) cristiana o marxista (ibidem); l'opposizione a ogni assoluto
metafisico o storico (ibidem); la diffidenza nei confronti della ragione e della Storia, e dello storicismo che ne
è la divinizzazione (ibidem); la lotta contro le deviazioni e il tradimento della rivolta, consumati dalle
rivoluzioni
storiche e, innanzi tutto, dalla rivoluzione marxista-leninista che, in nome dell'efficacia e della parusia di un Eden
storico, ha tradito le proprie origini e si è posta in contrasto con i postulati della rivolta genuinamente
rivoluzionaria; la laicità della rivolta che rifiuta ogni dogmatismo; l'imperativo del rispetto e della difesa
della
vita umana, contro il principio della pretesa efficacia rivoluzionaria e della necessità storica, invocate
dalla
rivoluzione che ha abbandonato la rivolta; la diffidenza nei confronti della nozione di "potere" e in particolare
della sua realizzazione politica; un certo sospetto nei confronti della politica in generale; la difesa accanita della
pace e l'opposizione alla guerra; l'alta considerazione che Camus ha sempre avuto per l'obiezione di coscienza
e la difesa senza riserve che le consacrò, su tutti questi temi, sarebbe difficile trovare dei libertari che
esiterebbero
un solo istante a condividere i punti di vista di Camus.
Libertà e giustizia Ma di questi temi, ce ne sono soprattutto due che
testimoniano della corrispondenza tra il pensiero di Camus e
la tradizione libertaria: la libertà e la giustizia. A questi due valori si ricollegano tutti gli altri e le
implicazioni
dell'incidenza storica che appartiene loro. Non può esserci libertà e la giustizia senza
libertà non è nulla. Libertà
e giustizia sono i due volti indissolubili di un binomio che definisce un unico e identico valore, di cui l'ambizione
e il dovere sono la realizzazione della felicità, certamente relativa, dell'uomo. E' per questo che sarebbe
limitativo
ricondurre unicamente alla libertà, come ha fatto buona parte della critica, il centro del pensiero di Camus
- centro
da cui discenderebbe tutto il resto. Parimenti arbitrario sarebbe sottovalutare l'importanza fondamentale che
Camus accorda alla libertà in quanto valore assiologico vissuto dall'uomo concreto, "el de carne
y hueso", di cui
parla uno degli spiriti più apprezzati di Camus, Miguel de Unamuno (Del sentimiento
tràgico de la vida). La libertà, vissuta in un primo tempo come possibilità
d'accesso alle gioie naturali in Nozze, appare nella
riflessione del Mito come una conseguenza del rifiuto del suicidio, essendo questo rifiuto imposto
nei fatti dalla
necessità della rivolta contro l'assurdo del mondo. Tuttavia, in questo primo movimento, la rivolta
s'interessa
unicamente della libertà individuale. E', come dichiara lo stesso Camus, "il punto zero della
rivolta". Questo
primo movimento della rivolta implica l'esigenza della libertà individuale. E' con il NO dello schiavo
al suo padrone e nel momento in cui la rivolta prende coscienza dell'assurdo storico,
che la libertà acquisisce una dimensione collettiva che, proprio per questo, non può sussistere
senza la coscienza
che la libertà ha anche i suoi limiti. E' esattamente la libertà di dimensione collettiva che attira
l'interesse di
Camus, perché egli sa che la "libertà in sé" o metafisica non porterebbe nulla
alla rivolta. La libertà di rivolta
contro l'assurdo del mondo è quella che egli rivendica contro l'illusione della libertà interiore,
postulata
dall'assicurazione di un'eternità. La libertà di rivolta è assolutamente concreta,
perché l'assurdo del mondo gli ha insegnato che non esiste domani.
Una libertà sociale, politica e civile Questa libertà non
è illusoria, perché si esercita all'interno della collettività: è sociale, politica e
civile. Il suo
supporto e il suo contenuto essenziali si chiamano giustizia. Essa vive in equilibrio con la giustizia, alla quale non
può rinunciare, pena la sua scomparsa. Questo equilibrio, che è anche quello della rivolta storica,
tra il sì di
consenso alla dignità umana e il no alla negazione di questa dignità, è per
l'appunto l'equilibrio della libertà dei
libertari, che deve costantemente difendersi dai suoi due pericoli storici, i quali, apparentemente divisi sull'idea
che si fanno della giustizia, si ritrovano alleati per quanto concerne le loro ideologie antilibertarie. E per finire,
dopo avere soffocato la libertà, gli uni e gli altri instaurano l'ingiustizia. Gli uni a causa dell'idea
"smisurata" che
si fanno della libertà. Gli altri a causa della diffidenza che hanno nei confronti della libertà che,
attraverso il suo
esercizio, intralcerebbe la necessità storica. A proposito degli uni e degli altri Camus constata: "La
società del
denaro e dello sfruttamento non è mai stata incaricata, che io sappia, di fare regnare la libertà e
la giustizia. Gli
Stati polizieschi non sono mai stati sospettati di aprire scuole di diritto nei sotterranei dove interrogano i loro
pazienti. Allorché opprimono e sfruttano fanno il loro mestiere". Libertà e giustizia
non sono un affare dei governi, ma degli operai e degli intellettuali che devono sorvegliare il
cammino della rivolta genuinamente rivoluzionaria e che, a partire dal XIX secolo, si sono assunti il compito della
difesa del "doppio onore della libertà e della giustizia".
Apologia della rivolta La concatenazione stessa delle idee di Camus si dispiega
sorprendentemente in accordo con i princìpi propri del
pensiero libertario. Il suo giudizio sulla deviazione della rivoluzione russa del 1917 e sulle conseguenze nefaste
che hanno avuto il cinismo politico, dimentico dell'onore della rivolta, e la pretesa efficacia, rivestita con i panni
della necessità storica, si ricollegano alle accuse che Makhno e i soviet libertari ucraini rivolgevano ai
dirigenti
marxisti-leninisti della rivoluzione sovietica. Camus, come i libertari, constata che nel '17 la rivoluzione fatta
dai lavoratori, con il trionfo dei valori della
rivolta, annunciava "veramente l'alba della libertà reale e la più grande speranza che questo
mondo abbia
conosciuto". Ma essa si è armata, la libertà è divenuta sospetto e la rivoluzione
si è armata e provvista di una
polizia. La libertà è divenuta sospetto e la rivoluzione si è indebolita, "mentre la
polizia si rafforzava e la più
grande speranza del mondo si è sclerotizzata nella dittatura più efficace del mondo".
Ciò è potuto accadere in
conseguenza del rilassamento dello spirito di rivolta, dovuto alla debolezza e all'abbandono dei suoi difensori.
Questi ultimi hanno ceduto dinanzi all'assurdo storico e in nome di una falsa idea della strategia e dell'efficacia,
si sono allontanati dalla rivolta. "Si, il grande avvenimento del XX secolo è stato l'abbandono dei
valori della
libertà attraverso il movimento rivoluzionario, il ritiro progressivo del socialismo della libertà
davanti al
socialismo cesariano e militare". "Il grande crimine dei rivoluzionari dei tempi moderni è
quello di avere
mutilato la rivolta dei libertari". La rivoluzione non sa che farsene della sensibilità e della
coscienza della rivolta. I postulati libertari di questa
diventano ormai dei princìpi pericolosi per la vittoria della rivoluzione e i suoi difensori si ritrovano in
cima alla
lista dei nemici che i rivoluzionari di professione vogliono abbattere: "Noi siamo i Giovani turchi della
rivoluzione", diceva Lenin, "con in più qualcosa di gesuita". Una volta al potere,
questa rivoluzione partorirà il
socialismo di Stato contro il socialismo della libertà. La rivolta si è travestita da rivoluzione
militare e la
rivoluzione libertaria è stata incatenata. In realtà, per avere la meglio sui princìpi libertari
della rivolta, più che
dei princìpi di Marx, Lenin ha avuto bisogno del soccorso di Lassalle, vero inventore e teorico del
socialismo di
Stato. Con il trionfo del socialismo di Stato contro il socialismo della libertà, "la storia delle lotte
interne del
partito, da Lenin a Stalin, si riassumerà nella lotta tra la democrazia operaia e la dittatura militare e
burocratica, la giustizia, infine, e l'efficacia".
Critica dello stato Questo scacco della rivolta è una prova ulteriore che
la giustizia e la libertà scomparivano "nel momento in cui
si costituisce un governo". Gli anarchici, in primo luogo Varlet, hanno ben visto che governo e rivoluzione
sono
direttamente incompatibili. E' contraddittorio, dice Proudhon, "che il governo possa mai essere
rivoluzionario
e ciò per la semplice ragione che è governo". Qui, come altrove, Camus non solo fa
un riferimento esplicito al pensiero anarchico che pare condividere, ma si
spinge più in là dello stesso Proudhon nell'opposizione pensiero libertario-governo. Camus
constata in effetti che
l'affermazione proudhoniana dell'impossibilità intrinseca, per ogni governo, di essere rivoluzionario,
implica
inoltre, alla luce dell'esperienza storica dei governi della rivoluzione totalitaria, che questi governi non saprebbero
fermarsi all'asservimento della giustizia, perché è nella loro natura totalitaria produrre anche la
guerra. La guerra contro le differenze, la guerra contro la diversità che potrebbe ancora testimoniare
il grido della rivolta.
La pace e la tolleranza, il diritto alla felicità e al dialogo trovano allora nella rivoluzione totalitaria, di cui
la guerra
è un corollario, un nemico implacabile. La società "che è nata dal 1917 si batte per
la dominazione universale.
La rivoluzione totale finisce così per rivendicare... l'impero del mondo". Cos', l'idea generosa delle
antiche
rivolte di realizzare l'unità del mondo attraverso le esigenze di giustizia e libertà nell'uomo si
appresta a
degenerare, con la rivoluzione del XX secolo, in principio di dominazione totale contro la giustizia e la
libertà.
Il vecchio sogno di unità del genere umano dei libertari degenera in totalità storica che "il
movimento
rivoluzionario del XX secolo, giunto alle conseguenze più chiare della sua logica, esige, le armi in
pugno". Il
cammino dell'unità promessa passa allora attraverso la totalità. In attesa dell'unità del
genere umano nella
giustizia, occorre accettare l'ingiustizia della totalità. "Da quel momento, la dottrina s'identifica
definitivamente con la profezia [...]. La mistificazione
pseudo-rivoluzionaria ha ora la sua formula: occorre uccidere ogni libertà per conquistare l'Impero e
l'Impero
un giorno sarà la libertà".
Un formicaio di uomini soli In attesa della liberazione dell'uomo, promessa
dalla parusia marxista, la libertà umana deve sparire per fare posto
alla necessità storica. L'individuo deve trasformarsi in un ingranaggio della colossale macchina umana,
votata
al trionfo della rivoluzione storica. La sua cieca adesione al sistema chiede il sacrifico alla necessità del
sistema,
anche se quest'ultimo lo respinge o se lui ricusa il sistema; perché, per Camus, il sistema può
asservire "un uomo
vivo e ridurlo allo stato storico di cosa". La totalità non può ammettere la differenza, anche
nella morte; perché,
se l'individuo "muore rifiutando, riafferma una natura umana che respinge l'ordine delle cose. E' per questo
che
l'accusato viene prodotto e ucciso di fronte al mondo solo se è disposto a dire che la sua morte
sarà giusta, e
conforme all'impero delle cose. Occorre morire disonorati o non essere più, né nella vita
né nella morte". Questo
spiega l'aberrazione psicologica dei processi dove l'innocente arriva ad accusarsi di crimini che non ha mai
commesso, ma che la necessità storica dello Stato rivoluzionario gli presentava come oggettivamente tali.
Così
i valori intrinseci alla rivolta, rivendicati dalla rivoluzione libertaria, sono definitivamente scherniti dalla
rivoluzione storica: la fraternità, l'amicizia, la solidarietà non hanno più diritto di
cittadinanza. Poiché la persona
accusata dal sistema è per tale ragione già colpevole, l'amico deve diventare delatore. "Nel
regno delle persone,
gli uomini stringono legami d'affetto; nell'Impero delle cose, gli uomini si uniscono mediante la
delazione". Così,
la città che la rivoluzione libertaria voleva fraterna è divenuta, nella rivoluzione storica che ha
abbandonato la
rivolta, "un formicaio di uomini soli". La rivoluzione totalitaria ha creato una società
di colpevoli, ma ha altresì rovesciato la vecchia nozione di
carnefice; dato che la vittima, anche innocente, deve riconoscersi colpevole di fronte ai suoi accusatori e
riconoscere, ovvero reclamare, il castigo di fronte alla necessità storica. La religione cattolica aveva
introdotto il sacramento della confessione e il perdono per gli errori commessi. La
rivoluzione che ha abbandonato la rivolta ha introdotto il principio dell'autocritica per degli errori mai commessi
e la necessità del riconoscimento di ogni accusa mossa dal sistema; perché solo quest'ultimo
è legittimato dalla
Storia a definire ciò che è giusto o no, ciò che è vero o falso, ciò che
è colpevole o no. I criteri di giudizio non
sono più quelli che poneva la rivolta libertaria, ma quelli che reclamano la necessità della Storia
e la virtù
dell'efficacia rivoluzionaria. Se ogni religione ruota intorno alle nozioni d'innocenza e colpevolezza, per
contro, il primo ribelle, Prometeo,
ricusava il diritto di punire. "Nel suo primo movimento, la rivolta rifiuta dunque al castigo la sua
legittimità". La
rivoluzione totalitaria pone la nozione religiosa del castigo al centro del suo sistema, e il suo giudice infallibile
diviene la Storia, più implacabile del giudice dei cieli che, almeno, non escludeva l'innocenza e
ammetteva il
perdono. Il comunismo si rivela dunque, nella sua realizzazione e sotto questo aspetto, una dottrina della
colpevolezza nei riguardi dell'uomo e d'innocenza nei riguardi della Storia. "Legge del potere, la sua
traduzione
storica era la violenza rivoluzionaria; al vertice del potere, essa rischia di essere la violenza legale, vale a dire
il terrore e il processo". Ci sembra che l'analisi di Camus sulle deviazioni della rivoluzione del XX
secolo ci costringa a concludere che
i danni da esse prodotti colpiscano la struttura stessa della psicologia dell'uomo. Perché questo, in
conseguenza
degli effetti di tali deviazioni, rischia di divenire come minimo "una cosa" o "un'anima
morta", come dice Camus,
ma prima ancora un individuo la cui anima, sapientemente manipolata nei laboratori dell'ideologia, si appresta
a venire modellata con l'aiuto di falsi valori. Il risultato aberrante sarebbe la creazione di coscienze mostruose,
dove la colpevolezza individuale diverrebbe una costante ineluttabile dell'esistenza umana.
Teodosio Vertone (Traduzione di Stefano Viviani da
Alternative Libertaire di Bruxelles)
Albert Camus: elogio della libertà
Se si sommano le violazioni e i soprusi che oggi giorno si commettono si può profetizzare un tempo
in cui, in
un'Europa di campi di concentramento, non ci saranno che secondini in libertà che faranno il possibile
per
imprigionarsi a vicenda. Quando non ce ne sarà che uno, lo nomineremo capo guardiano e questa
sarà la società
perfetta, dove i problemi dell'opposizione, incubo dei governi del XX secolo, saranno infine definitivamente
risolti. Beninteso, questa non è che una profezia e, quantunque in tutto il mondo i governi e la polizia
con molta buona
volontà facciano il possibile per arrivare a questa felice conclusione, noi non ci siamo ancora arrivati. Da
noi, per
esempio, nell'Europa occidentale, la libertà è ufficialmente ben vista. Semplicemente però
mi fa pensare a quelle
cugine povere che si vedono in alcune famiglie borghesi. La cugina è diventata vedova, ha perso quindi
il suo
protettore naturale. Allora la si raccoglie, le si dà una camera al V piano e la si accetta in cucina. La si
fa vedere
talvolta in città la domenica, per dimostrare che si è virtuosi e che non siamo dei cani. Per il resto
però, e
soprattutto nelle grandi occasioni, essa è pregata di stare lontano. E se anche un poliziotto distratto la viola
un po'
in qualche angolo, non se ne fa una tragedia, ne ha viste di peggio, soprattutto col padrone di casa; e, infine, non
vale la pena di far questioni con le autorità costituite. Ad oriente bisogna riconoscere che sono più
franchi. Hanno regolaato una volta per tutte la questione della cugina, l'hanno chiusa in un armadio con un
paio di buoni
catenacci. Pare che la si farà uscire fra mezzo secolo circa, quando la società ideale sarà
definitivamente
instaurata. In quel tempo si faranno feste in suo onore. A parer mio, però, essa rischia allora di essere un
po'
mangiata dalle tarme e temo che non ce ne si possa più servire. Quando si aggiungerà, che
queste due concezioni - quella dell'armadio e quella della cugina - hanno deciso di
imporsi l'una all'altra, e sono obbligate in tutto questo trambusto a ridurre ancor più i movimenti della
cugina,
si comprenderà facilmente come la nostra storia sia quella della servitù più che della
libertà, e che il mondo nel
quale viviamo sia quello di cui ho parlato or ora, mondo che ci si palesa dai quotidiani tutte le mattine per fare
dei nostri giorni e delle nostre settimane un solo giorno di rivolta e di collera.
Una speranza è scomparsa La cosa più semplice e pertanto la
più tentatrice è quella di accusare i governi o qualche potenza oscura di questi
brutti modi. E' vero che i governi sono colpevoli, di una colpevolezza così spessa ed estesa che non
se ne vede più l'origine.
Ma essi non sono gli unici responsabili. Dopo tutto, se la libertà non avesse avuto che i governi per
sorvegliare
il suo sviluppo, è probabile che sarebbe ancora allo stadio infantile o definitivamente sotterrata con
l'iscrizione
"E' salito un angelo in cielo". La società basata sul denaro e sullo sfruttamento, non è stata mai
incaricata, che
io sappia, di far regnare la libertà e la giustizia. Lo Stato poliziotto non è stato mai sospettato di
aprire scuole di
diritto nei sottosuoli dove interroga i suoi pazienti. Quindi quando i governi opprimono e sfruttano fanno il loro
mestiere e chiunque gli affida senza controllo la libertà non ha il diritto di meravigliarsi che la
libertà sia
immediatamente disonorata. Se la libertà è oggi umiliata o incatenata non è
perché i suoi nemici hanno usato il tradimento. E' perché i suoi
amici hanno in parte dato le dimissioni, è perché essa ha perduto proprio il suo protettore naturale.
Si, la libertà
è vedova, ma bisogna dirlo perché è vero, essa è vedova di noi tutti. La
libertà è questione che interessa gli oppressi e i suoi protettori tradizionali sono sempre usciti dai
popoli
oppressi. Sono i comuni che nell'Europa feudale hanno mantenuto i fermenti di libertà, gli abitanti dei
borghi e
delle città che l'hanno fatta trionfare in modo fuggevole nell'89 e, a partire dal XIX secolo, sono i
movimenti
operai che si sono preoccupati di far rispettare la libertà e la giustizia, che non hanno mai sospettato
inconciliabili. Sono i lavoratori manuali e intellettuali che hanno dato sostanza alla libertà e che
l'hanno fatta progredire nel
mondo finché diventasse il principio stesso del nostro pensiero, l'aria di cui non possiamo fare a meno,
che
respiriamo a pieni polmoni, fino a quando, privati di essa, ci sentiamo morire. E se oggi, nella maggior parte del
mondo essa è in regresso, è senza dubbio perché mai le iniziative di asservimento sono
state più ciniche e meglio
armate, ma è anche perché i suoi veri difensori - sia perché stanchi o sia per una falsa idea
della strategia e
dell'efficacia - si sono allontanati da essa. Si, il grande avvenimento del XX secolo è stato
l'abbandono dei valori di libertà da parte del movimento
rivoluzionario, il continuo regresso del socialismo libertario di fronte al socialismo cesariano e militarizzato. Da
quel momento, una speranznza è scomparsa dal mondo, una solitudine è cominciata per ogni
uomo libero. Quando, dopo Marx, ha cominciato a diffondersi e a fortificarsi l'idea che la libertà
è un trastullo borghese, certo
non si tratta di una semplice confusione di parole. Noi stiamo ancora pagando questa confusione nelle convulsioni
del secolo. Poiché bisognava dire che la libertà borghese era certo un trastullo, ma non era tutta
la libertà. Certo era necessario dire che la libertà borghese non era la libertà, o nel
migliore dei casi che non lo era ancora,
ma che c'erano libertà da conquistare e da non abbandonare mai più. E' pure vero che non
c'è libertà possibile per un uomo incatenato al lavoro tutta la giornata e che, la sera, è
costretto ad abitare in mucchio con la famiglia in una sola camera. Questo però condanna una classe e
una società,
non il bisogno di libertà di cui anche il più povero fra noi non può fare a meno. E
ammesso che la società si trasformasse improvvisamente e divenisse decente e confortevole per tutti, se
la
libertà non vi regnasse sarebbe ancora una barbarie.
Dalla rivoluzione alla dittatura Poiché la società borghese parla
di libertà senza praticarla, è necessario che la società operaia rinunzi a praticarla,
vantandosi solamente di non parlarne affatto? Intanto è avvenuta la confusione e, nel movimento
rivoluzionario, la libertà a poco a poco si è trovata condannata,
perché la società borghese ne faceva un uso mistificatore. Dalla giusta e sana diffidenza nei
riguardi delle
prostituzioni che questa società infliggeva alla libertà, si è arrivati a diffidare della
libertà stessa. Nel migliore dei casi la si è rimandata ai secoli futuri, pregando di non parlarne
più fino ad allora. Si è dichiarato
che era necessaria dapprima la giustizia e che per quanto concerne la libertà si sarebbe visto poi, come
se gli
schiavi potessero sperare di ottenere giustizia. Intellettuali dinamici hanno dichiarato ai lavoratori che era il pane
solamente che doveva interessarli e non la libertà, come se il lavoratore non sapesse che il suo pane
dipende anche
dalla sua libertà. Certamente, di fronte alla lunga ingiustizia della società borghese, era forte la
tentazione di
portarsi a questi estremi. Forse non c'è nessuno fra di noi presenti, che coll'azione o il pensiero non vi
abbia
ceduto. Ma la storia ha camminato e ciò che abbiamo visto deve farci riflettere. La rivoluzione fatta da
lavoratori
ha trionfato nel '17 e allora fu veramente il trionfo della libertà e la più grande speranza che il
mondo abbia
conosciuto. Ma quella rivoluzione, accerchiata, minacciata, all'interno come all'esterno, si è armata,
munita di
una polizia. A poco a poco privata della forza che rappresenta la fede nella libertà, di cui la polizia
diffidava, la
rivoluzione perdeva respiro mentre la polizia si rinforzava. La più grande speranza del mondo si è
in tal modo
sclerotizzata nella dittatura più potente del mondo. La falsa libertà della società borghese,
non ne è scontenta, al
contrario. Ciò che è stato ucciso nel processo di Mosca e altrove e nei campi della
rivoluzione, ciò che è assassinato quando
si fucila, come in Ungheria, un ferroviere per un errore professionale, non è la libertà borghese,
è la libertà del
'17. La libertà borghese può procedere nello stesso tempo a tutte le sue mistificazioni. I processi,
le perversioni
della società rivoluzionaria le danno la tranquillità della coscienza e degli argomenti solidi.
Lavoro ed intelligenza Ciò che caratterizza il mondo in cui viviamo
è questa dialettica cinica che oppone l'ingiustizia all'asservimento
e che rafforza l'una con l'altra. Quando si fa entrare nei palazzi della cultura Franco, l'amico di Goebbels e di
Hitler, Franco il vero vincitore della II guerra mondiale, a coloro che protestano e dicono che i diritti dell'uomo
scritti nella Carta dell'Unesco sono ridicolizzati giornalmente nelle prigioni di Franco, si risponde seriamente che
la Polonia è nell'Unesco e che in fatto di rispetto l'uno non vale più dell'altro. Argomenti idioti,
certamente. Se
avete avuto la disgrazia di dare vostra figlia in sposa a un aiutante del Battaglione d'Africa non è una
ragione per
maritare la minore con l'ispettore della Brigata del Buon Costume. E' anche troppo, una pecora smarrita in
famiglia. Tuttavia questo argomento idiota è efficace. E ne abbiamo prove ogni giorno. A colui che
presenta lo schiavo delle colonie che grida giustizia, si mostra colui che soffre nel campo di
concentramento russo e viceversa. Se protestate contro l'assassinio a Praga di uno storico come Kalanvi si
rinfaccerà l'assassinio di due o tre negri americani. In questa disgustosa gara, una sola cosa non cambia,
la vittima,
sempre la stessa; un solo valore è costantemente violato e prostituito, la libertà, e si vede allora
che ovunque
contemporaneamente anche la giustizia è avvilita. Come rompere, per mettervi una fine, questo
cerchio infernale? E' evidente che non si può farlo che restaurando fin d'ora, in noi stessi e
intorno a noi, il valore della libertà e
impedendo che essa sia mai più sacrificata, anche solo provvisoriamente, o separata dalle nostre
rivendicazioni
di giustizia. Lo slogan di oggi per noi tutti non può essere che questo: senza cedere niente sul piano della
giustizia,
non cedere niente su quello della libertà. In particolare, le poche libertà democratiche di cui
godiamo ancora non
sono illusioni senza conseguenza e che possiamo lasciarci strappare senza proteste. Esse rappresentano
esattamente ciò che ci resta delle grandi conquiste rivoluzionarie dei due ultimi secoli. Esse non sono,
come tanti
astuti demagoghi ci dicono, la negazione della vera libertà. Non c'è una libertà ideale che
ci sarà data un giorno
tutto d'un colpo come si riceve la propria pensione al tramonto della propria vita. Ci sono libertà da
conquistare
una ad una con fatica, e quelle che abbiamo sono ancora tappe, insufficienti certamente, ma tuttavia tappe sul
cammino della liberazione concreta. Se si accetta di sopprimerle non saremo capaci di avanzare altrettanto. Si va
all'indietro invece, un giorno bisognerà rifare di nuovo questo cammino, ma questo nuovo sforzo
sarà fatto, una
volta di più, con il sudore e con il sangue degli uomini. No, scegliere la libertà oggi non
è, come per un Kravcenko, passare dallo stato dei profittatori del regime sovietico
a quello dei profittatori del regime borghese, poiché ciò sarebbe, al contrario, scegliere due volte
la servitù e,
condanna ultima, scegliere per gli altri. Scegliere la libertà non è, come ci si vuol fare intendere,
sceglierla contro
la giustizia. Al contrario, oggi si sceglie la libertà mettendoci accanto a coloro che ovunque soffrono e
lottano e
solo là: bisogna sceglierla. La si sceglie contemporaneamente alla giustizia e ormai non possiamo
scegliere l'una
senza l'altra. Se qualcuno vi toglie il pane, sopprime nel medesimo tempo la vostra libertà. Ma se
qualcuno vi toglie la libertà
siate sicuri che il vostro pane è minacciato poiché non dipende più da voi e dalla vostra
lotta ma dall'arbitrio di
un padrone. La miseria cresce a misura che la libertà diminuisce e viceversa. E se questo secolo
implacabile ci
ha insegnato qualcosa è che la rivoluzione economica avverrà alla sola condizione che vi
sia la libertà, nello
stesso modo che la liberazione dovrà cancellare la schiavitù economica. Gli oppressi non
vogliono essere solo
liberati dalla loro fame, essi vogliono essere liberati anche dai loro padroni. In realtà essi saranno liberati
dalla
loro fame solo quando non avranno più ragioni di temere i padroni, tutti i
padroni. Aggiungerò, per terminare, che separare la libertà dalla giustizia significa separare
la cultura dal lavoro e ciò
costituisce il peccato sociale per eccellenza. Lo sbandamento del movimento operaio in Europa deriva in parte
dal fatto che esso ha perduto la sua vera patria, quella da cui prendeva forza dopo tutte le disfatte, e che era la fede
nella libertà. Parimenti il confusionismo degli intellettuali d'Europa deriva dal fatto che la doppia
mistificazione,
borghese e pseudo-rivoluzionaria, li ha separati dalla loro unica sorgente di autenticità, il lavoro e la
sofferenza
di tutti, li ha tagliati fuori dai loro soli alleati naturali, i lavoratori. Io ho sempre riconosciuto due sole aristocrazie;
quella del lavoro e quella dell'intelligenza ed io so ora che è pazzesco e criminale volere sottometterle
l'una
all'altra, so che esse costituiscono un'unica nobiltà, che la loro verità e la loro efficacia sono nella
loro unione,
che separate si lasceranno sottomettere dalle forze della barbarie, che unite, al contrario, faranno la legge del
mondo. Per questo ogni impresa che miri a spezzare la loro solidarietà e a separarle è un'impresa
diretta contro
l'uomo e le sue speranze più sublimi. Il primo sforzo di un'impresa dittatoriale è quella di
asservire
contemporaneamente il lavoro e la cultura. Bisogna ridurre al silenzio entrambi, sennò, i tiranni lo sanno
bene,
presto o tardi l'uno parlerà per l'altro. Così ci sono, secondo me, per un intellettuale, due modi
oggi di tradire e nei due casi egli tradisce perché accetta
una sola cosa: la separazione del lavoro dalla cultura. Il primo modo caratterizza gli intellettuali borghesi che
accettano che i loro privilegi siano pagati dall'asservimento dei lavoratori. Costoro affermano sovente che
difendono la libertà, ma essi difendono soprattutto i privilegi che dona loro, a loro solamente, la
libertà. Il secondo
caratterizza gli intellettuali che si credono di sinistra e che per diffidenza della libertà accettano che la
cultura e
la libertà che essa presuppone siano controllate, con il vano pretesto di servire ad una giustizia avvenire.
In
entrambi i casi, si accetta, si conserva, la separazione del lavoro intellettuale e manuale che è il vero
scandalo
della nostra società e che vota all'impotenza sia il lavoro che la cultura. Si avvilisce nel medesimo tempo
la libertà
e la giustizia. E' vero che la libertà insulta il lavoro e lo separa dalla cultura quando la libertà
è basata sui
privilegi. Ma la libertà, non è fatta di privilegi essa è fatta soprattutto di
doveri. Dal momento in cui ciascuno di noi cerca di far prevalere i doveri della libertà sui suoi
privilegi, da quel momento
la libertà è sintesi di lavoro e di cultura, e mette in moto una forza che è la sola capace
di servire efficacemente
la giustizia. La verità di cui dobbiamo vivere oggi, la regola delle nostre azioni, il segreto della nostra
resistenza
può formularsi in un modo semplice: ciò che umilia il lavoro umilia l'intelligenza e
viceversa. La lotta
rivoluzionaria, lo sforzo secolare di liberazione si definisce soprattutto come un rifiuto incessante all'umiliazione.
La verità è che non siamo ancora usciti da questa umiliazione. Ma la ruota gira, la storia
cambia: si avvicina il tempo, ne sono sicuro, in cui non saremo più soli. Per me la nostra
riunione di oggi ne è già una prova. Che dei sindacati si riuniscano e si stringano intorno alla
libertà per
difenderla, si, questo solo meritava che da ogni parte tutti accorressero per manifestare la loro unione e la loro
speranza. Il cammino è lungo da percorrere. Ma se la guerra non verrà a tutto scombussolare
con la sua orrida confusione, avremo il tempo di dare una forma
alla giustizia e alla libertà di cui abbiamo bisogno. Ma per fare questo dobbiamo ormai rifiutarci,
chiaramente,
senza collera, ma irriducibilmente, alle menzogne di cui ci hanno saziati. Non si costruisce la
libertà sui campi di concentramento, né sui popoli asserviti delle colonie né sulla miseria
operaia. No, le colombe della pace non si posano sulle forche; no, le forze della libertà non
possono mischiare
i figli delle vittime con i carnefici di Madrid, o con altri. Almeno di questo ora saremo ormai sicuri, come
saremo sicuri che la libertà non è un regalo che possa venirci
da uno Stato o da un capo, ma un bene che si conquista tutti i giorni con lo sforzo di ognuno di noi e con l'unione
di tutti.
Albert Camus (originariamente apparso su La
Revolution Proletarienne, settembre 1953, e tradotto in italiano sulla rivista anarchica
Volontà, vol. 7 n. 8, 15-11-'53)
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