Rivista Anarchica Online
Contro il fascismo
di Tobia Imperato
Tobia Imperato sta lavorando da tempo ad una ricerca storica su due anarchici torinesi - Ilio Baroni e
Dario Canio - attivi nella lotta contro il fascismo. Ecco il capitolo conclusivo del suo libro, a tutt'oggi
inedito
Solo in quest'ultimo quindicennio e più massicciamente negli ultimi 5 anni,
gli anarchici si sono messi
con un certo impegno a studiare e ad analizzare il ruolo da essi svolto durante la resistenza. Un
contributo, quello degli anarchici, notevole (per la forza del movimento) anche se non sempre incisivo
(eccettuata la zona di Carrara) (1) sul piano di rapporti di forza con le altre correnti dell'antifascismo.
Prima di allora sembrava quasi che la lotta al fascismo dei libertari italiani si fosse esaurita
nell'intervento a fianco del popolo spagnolo nel '36. La stessa Bianconi lamentava, in una nota
all'introduzione del suo libro, che nello "stringato, ma prezioso" libro Un trentennio di attività
anarchica (1915-1945) "le pagine dedicate alla resistenza armata sono soltanto otto". A questo
"disinteresse" hanno contribuito da una parte una certa aura retorica che fino a qualche anno fa
circondava la resistenza (a cui gli anarchici non potevano non dissociarsi vista la loro natura) (2),
dall'altra la consapevolezza di essere stati di minoranza (cosa del resto - a parte il caso spagnolo - a cui
erano abituati) ma questa volta, impreparata non tanto organizzativamente quanto teoricamente, a
svolgere il proprio ruolo (3). I nodi politici, che dopo l'esperienza spagnola si dipanano durante la
resistenza e che percorrono il periodo della difficile ripresa del dopoguerra fino all'avvento di nuove
leve giovanili avvenute dopo il '68, non sono ancora oggi risolti. Da qui l'interesse (e lo stupore) con
cui militanti anarchici (me compreso) riscoprono che attraverso
lo studio del periodo resistenziale non si tratta solo di restituire l'identità libertaria a figure di resistenti
altrimenti dimenticate se non addirittura forzatamente "arruolate" in altri partiti, ma anche e soprattutto
di ritrovare i capi e di riannodare i fili spezzati di una matassa che inevitabilmente ancora oggi ci
avvolge (e ci coinvolge).
Sacrifici e rischi Nel caso specifico dell'oggetto della mia ricerca, è facilmente verificabile come
attraverso la
ricostruzione della biografia di due semplici militanti proletari ci si imbatte in tutte le fasi dell'impegno
anarchico nella lotta antifascista: antimilitarismo, arditi del popolo, emigrazioni e rapporti con il
fuoriuscitismo, lotta clandestina e propaganda, cospirazione antifascista all'estero e rapporti con
l'interno, attentati a Mussolini e contro il regime, intervento in Spagna, carcere e confino con relative
lotte, stampa clandestina e lotta partigiana. E questo vale per decine di altre storie (per quel che riguarda
gli anarchici torinesi) che si intrecciano con centinaia di altre. Nella lotta contro il fascismo, gli
anarchici sono quelli che hanno pagato il prezzo più caro, al pari forse
con i comunisti sul piano repressivo (anche se contrariamente a questi ultimi essi non potevano contare
sull'aiuto della "grande patria sovietica") (4) ma molto più elevato sul piano politico riducendosi da un
ruolo di centralità all'interno del movimento operaio durante il "biennio rosso" ad un ruolo del tutto
marginale nel dopoguerra. "Abbiamo letto spesso nei fogli politici dei partiti aderenti al CNL e in quelli sindacali della
risorta
CGL, che i partiti fondamentali in Italia sono il socialista, comunista, cattolico, liberale, ecc. Non una
volta si è parlato degli anarchici in una tacita e voluta congiura del silenzio (5). Eppure non sarebbe
stato difficile ricordare ai manipolatori del CNL in gran parte ex-confinati ed ex-carcerati che ne
periodo della lotta antifascista che va dal '21 al '43 nelle isole e nelle carceri italiane gli anarchici erano
il gruppo più numeroso dopo quello comunista. Molti membri di tali partiti "fondamentali" erano allora
in benevola attesa se non addirittura di complicità col fascismo come nel caso della maggior parte dei
cattolici e dei liberali" (da Umanità Nova n. 349 - 22 ottobre 1944) (6). Già un secolo prima (durante
l'insurrezione di Lione del 1848) i repubblicani dissero di Bakunin: "un
uomo eccezionale. Assolutamente meraviglioso il primo giorno della rivoluzione. Il secondo, però,
bisognerebbe fucilarlo" (7). Allo stesso modo gli anarchici, utili alleati del giorno prima (con GL
nell'esilio e in Spagna, con i comunisti e i socialisti nella resistenza) vengono "eliminati" dalla memoria
storica persino nel corso degli eventi stessi. Gli anarchici furono i primi a comprendere appieno la
natura liberticida del fascismo e ad opporvisi strenuamente; mentre i socialisti si trastullavano con il
patto di pacificazione, i cattolici erano bloccati dalla stipulazione dei patti lateranensi e i comunisti, per
voce del loro massimo dirigente Palmiro Togliatti, continuavano ad appellarsi per un ritorno "indolore"
alla normalità (8), gli anarchici continuarono imperterriti, senza tentennamenti, a lottare "senza
tregua". "A coronamento di una lunga serie di delitti il fascismo si è infine insediato al
governo", "In quanto a
noi non abbiamo che da continuare la nostra battagli a sempre piena di fede, di entusiasmo. Noi
sappiamo che la nostra vita è seminata da triboli, ma lo scegliemmo e volontariamente e non abbiamo
ragione per abbandonarla" (9). Dalle prime analisi sulla funzione antiproletaria del fascismo esposta negli editoriali
di Malatesta su
Umanità Nova e in modo più sistematico nel saggio di Luigi Fabbri "La contro-rivoluzione
preventiva"
avremo successivamente negli scritti di Camillo Berneri un superamento dell'interpretazione del
fascismo inteso come "braccio armato della borghesia" per arrivare alla concezione dello stato
totalitario, analisi teorica che porterà Berneri, in piena rivoluzione spagnola e durante la
contro-rivoluzione stalinista, ad equiparare nel concetto di totalitarismo, fascismo e comunismo sovietico. "Presa tra i
prussiani e Versailles la Comune accese un incendio che ancora illumina il mondo. Tra
Burges e Madrid vi è Barcellona rivoluzionaria. Ci pensino i Godet di Mosca!" (da Guerra di
Classe,
Barcellona n. 6 - dicembre 1936) e successivamente in modo più consapevole, "La guerra civile di
Spagna ha due fronti politico-sociali. La rivoluzione deve vincere su due fronti. E vincerà" (da
Guerra
di Classe, n. 15 - 5 maggio 1937). Con la rivoluzione spagnola, tutta una serie di nuovi problemi si
pongono per il proseguimento
dell'azione anarchica. Primo fra tutti il problema delle alleanze che, da sempre problema spinoso per
gli anarchici e causa di polemiche e divisioni, si ripropone ora con scottante attualità. Che fare?
Rimanere isolati pur essendo parte di uno scontro generale o unirsi ad altre forze politiche
che poi (come nel caso dei comunisti, fautori di una concezione totalitaria) si riveleranno acerrimi
nemici dell'anarchismo? Attaccare apertamente i nemici della libertà rompendo l'unità del fronte
antifascista o subire passivamente se non addirittura annullare la propria identità perseguendo
l'obbiettivo prioritario della vittoria sul fascismo? Secondo grande problema fu la partecipazione al governo e la
conseguente perdita del "controllo
rivoluzionario" della situazione da parte dei libertari spagnoli, nonostante un rapporto di forza
maggioritario in gran parte delle regioni non conquistate da Franco (problema che si ripropone, in
misura minore, durante la resistenza con l collaborazione ai vari CNL). Berneri ebbe chiara coscienza di
questa problematica, che espresse apertamente nella sua "Lettera aperta
alla compagna Federica Montseny" pubblicata, suscitando grande fastidio negli ambienti stalinisti, in
Guerra di Classe. La notte del 5 maggio del '37 viene prelevato in casa e assassinato per strada assieme
al compagno
Francesco Barbieri, da emissari del PSUC (Partito Socialista Unificato Catalano, controllato dagli
stalinisti). L'uccisione di Berneri rappresenta la precisa volontà da parte comunista di decapitare
il movimento
anarchico italiano nella sua figura più carismatica e rappresentativa, oltre che sul piano politico anche
su quello teorico e intellettuale (10). Già nel '35 Togliatti aveva affermato: "Noi dobbiamo
distruggere le basi di massa dell'anarchismo"
(11).
Anche contro il franchismo Alla fine degli anni trenta la situazione del movimento anarchico è veramente
tragica. La maggior parte
dei militanti dispersa tra carcere, confino o campo di concentramento, alcuni impossibilitati a rientrare
perché clandestini in un'Europa ormai conquistata dal nazismo, altri emigrati negli USA o in
sudamerica. Il problema più grave è il mancato ricambio di militanti con forze "fresche".
Gli anarchici non riescono
(a differenza dei comunisti) a riprodursi, creandosi una base giovanile. Un dato che emerge anche dallo
studio della resistenza (a Torino, ma che si può estendere a tutta l'Italia,
se si escludono talune "isole") è che l'età media dei militanti libertari si aggira intorno ai 40 anni
(anche
se la maggior parte delle fonti è di natura poliziesca e i nuovi aderenti molto probabilmente non erano
ancora schedati). Comunque, la mancanza di rincalzi di una certa consistenza è un dato di fatto
incontrovertibile (12). Il peso di questa mancanza si farà ancora sentire negli anni '70 quando la vecchia
generazione passerà
le consegne e la propria eredità spirituale alla generazione pre e post-sessantotto, in assenza di una
generazione intermedia. Certo non furono solo le cause esterne (anche se influirono pesantemente) ad impedire un
rinnovarsi
dei militanti, senz'altro vi furono anche cause strutturali. La frammentarietà e la
mancanza di rigide organizzazioni, tipiche degli anarchici, se da un lato svolsero
un effetto positivo nella formazione dello spirito critico dei militanti (13), dall'altro impedirono la
creazione di un blocco alternativo libertario capace di opporsi al mito della rivoluzione russa prima e
dell'eroica resistenza sovietica poi (14). Dopo l'8 settembre, il movimento anarchico si ritrovò, come
il resto dell'Italia diviso in due. Senz'altro
la scelta per gli anarchici residenti al sud fu più facile. Essi ripresero immediatamente a ricostruir il
proprio tessuto organizzativo iniziando a stampare manifesti, giornali e opuscoli e subendo le prime
persecuzioni politiche dell'Italia "libera". Evidentemente nel disegno alleato di riportare la democrazia,
non erano compresi gli anarchici. Valga per tutti, anche se non è il solo, il caso dell'anarchico fiorentino
Lato Latini responsabile di Umanità Nova di cui vennero stampati 15 numeri (il primo
è del settembre
'43) e che, limitatamente alla Toscana, aveva raggiunto la tiratura di 8.000 copie, condannato dalle
"autorità alleate" a 5 anni di reclusione per stampa clandestina, pena poi ridotta in appello a 1 anno
interamente scontato (questo con il beneplacito dei CNL) (15). Per gli anarchici residenti al nord,
invece, si pose il problema se e come partecipare alla lotta partigiana.
Un certo numero di essi si rifiutò di prendere parte attiva alla resistenza con motivazioni diverse:rifiuto
di collaborare con i comunisti; rifiuti di essere gli "strumenti inconsapevoli" di una guerra fra stati;
rifiuto di partecipare ad una guerra di liberazione nazionale che non aveva finalità rivoluzionarie; rifiuto
di combattere i tedeschi in quanto tali (il nemico era il nazismo e non il popolo tedesco); rifiuto di usare
la violenza (lotta armata) come fattore evolutivo della trasformazione sociale (16). Posizioni rispettabili poiché
espresse non da "combattenti dell'ultima ora" ma da "veterani£ della guerra
al fascismo che per vent'anni non si erano certo risparmiati tra sacrifici e rischi.
I rapporti con i comunisti Comunque lo spirito combattivo prevale nella maggior parte di loro che non videro davanti
a sé altra
strada che quella di gettarsi nuovamente nell'azione. Nei luoghi dove era possibile
(Carrara, Genova e Milano per citare i più importanti) vengono costituite
formazioni specificatamente libertarie, in altre zone entreranno, in alcuni casi individualmente in altri
in gruppo, nelle Garibaldi, nella Matteotti, nelle GL, ma anche in formazioni autonome. Più di 100 saranno i
caduti e non son pochi per un movimento che non aveva, per le ragioni sopra citate,
un seguito di massa (17). Anche a Torino, come abbiamo visto, la maggior parte degli anarchici aderì alla lotta
partigiana, anche
se vi furono delle defezioni, come attesta l'editoriale "Fra noi" del numero 2 di Era Nuova del
novembre
'44: "Qualche compagno ha espresso il suo disappunto per l'indirizzo preso da Era Nuova. Il
giornale
dovrebbe essere più intransigente e, disdegnando la collaborazione con altri partiti e movimenti
rivoluzionari, curarsi unicamente della propaganda anarchica, anche a costo di rimanere isolati. Per
quanto questi compagni non siano numerosi noi, secondo le abitudini libertarie, teniamo conto delle
loro scelte, ma riteniamo che essi abbiano torto" (18).-L'ispiratore di questo "disappunto" penso sia
stato, anche per le posizioni da lui assunte successivamente, Ilario Margherita (19). Ma quali furono le motivazioni dei
partigiani anarchici? Senz'altro essi, anche se si trovavano in una situazione insurrezionale, non si illusero di
partecipare ad
una rivoluzione ma furono coscienti di prendere parte ad una lotta il cui unico scopo era l'abbattimento
del fascismo a cui avrebbe seguito una repubblica "democratica". Essi scelsero di battersi per il "male
minore" anche se nelle loro aspettative (come attesta la pubblicistica dell'epoca) vi era la speranza che
le masse, rese coscienti dell'esperienza della lotta partigiana, avrebbero finito con l'imporre obbiettivi
sempre più avanzati sul piano delle conquiste sociali. In questa ottica quindi, la presenza dei libertari
nel movimento generale assumeva una grande importanza nel tentativo di impedire l'egemonia
comunista. La resistenza non fu una rivoluzione contro il capitale ma, nei fatti e nelle intenzioni dei vari
CLN che
la diressero, solo una guerra di liberazione nazionale. "Il movimento della resistenza
affonda le sue radici negli stessi ideali del risorgimento e ne ha adottato
persino gli insegnamenti di lotta armata. Tutta la tradizione garibaldina, gli stessi insegnamenti di
Pisacane sulla lotta in banda erano più che mai vivi e fecondi al formarsi della resistenza" (20). Il mito della
"resistenza tradita" è un mito successivo partorito da frange resistenziali "deluse" dalla
piega degli avvenimenti presa nel dopoguerra. Molti militanti di base (soprattutto comunisti) si
sentirono "traditi" dai propri dirigenti quando Togliatti amnistiò la maggior parte dei criminali fascisti
lasciando in carcere i partigiani che erano accusati come criminali comuni per azioni antifasciste (21). Un altro aspetto
interessante da analizzare, poiché valuta gli avvenimenti da una diversa angolazione,è
quello di considerare la lotta partigiana nella sua globalità come una grande "esperienza libertaria "
collettiva, al di là della colorazione politica dei vari resistenti (un po' come si sono interpretati in tempi
più recenti i movimenti del '68 e del '77). Stimolante a questo proposito sono gli articoli di Paolo Gobetti: "E'
difficile descrivere la gioia di
trovarsi in giro per le montagne; con un fucile in mano, in un mondo in cui non esiste più
un'organizzazione statale, in cui non esiste più il potere (che è sempre degli altri) e non esiste
perché
non lo conosci più, e sai che puoi prendertelo come vuoi, purché tu sia deciso,abbia coraggio e
vada
d'accordo con gli altri; appunto ti senti vicino ad altri giovani che credono come te alla possibilità di
costruire qualcosa che vada meglio, che istituzionalizzi la mancanza di potere, e di distruggere anche
l'ultima traccia di un passato che non è mai stato tuo" (22). Queste tesi, senza nulla togliere
all'entusiasmo dell'autore per le proprie esperienze giovanili di lotta
(a cui è difficile sottrarsi), pur interpretando correttamente lo spirito delle varie adesioni individuali alla
lotta partigiana, non sono sufficienti a spiegare come mai successivamente la maggioranza di questi
"giovani" ribelli non abbiano conservato questo modo di sentire, accettando supinamente tutte le svolte
e i "tradimenti" dei vari dirigenti. Forse il fardello delle ideologie è in grado di affossare ogni tentativo
di vivere (sempre per usare le parole di Gobetti) "un viaggio senza domani nell'utopia". Come afferma Bianconi "Gli
antifascisti militanti traevano impulso e motivo per la lotta antifascista
proprio dalla loro estrema qualificazione: il fascismo li aveva condannati, imprigionati, confinati non
solo perché anti, ma per il loro essere comunisti, socialisti, giellisti, anarchici" (23). Gli anarchici
lottarono contro il fascismo fin dal suo nascere e continuarono imperterriti fino alla sua
sconfitta e oltre. Non a caso, quando il 30 agosto del '57 a Barcellona la polizia franchista uccide in un
agguato il
guerrigliero anarchico Jose Luis Facerias, in un altro componente della "banda" arrestato il giorno
precedente viene identificato l'anarchico italiano Goliardo Fiaschi, combattente partigiano nella
formazione Michele Schirru e giunto appositamente in Francia per combattere il fascismo a fianco dei
compagni spagnoli. (1)
A Carrara nel dopoguerra, per la forza del loro numero, gli anarchici riuscirono
a imporsi sul piano locale e incisero
sul territorio soprattutto con la costituzione di diverse cooperative di partigiani (vedi Gino Cerrito Gli
anarchici nella
resistenza apuana, Pacini Fazzi, Lucca 1984) (2) Diversi partigiani anarchici rifiutarono medaglie e onorificenza "ufficiali" per azioni di
eroismo (3) Sul problema relativo alle carenze teoriche
dell'anarchismo in Spagna e sui tentativi di uscire dall'impasse di C. Berneri,
vedi Nico Berti Sull'anarchismo di Berneri e il problema del revisionismo in Camillo Berneri nel 50°
anniversario
della morte, Ed. Archivio famiglia Berneri, Pistoia 1986 (4) I pochi anarchici che per sfuggire alle persecuzioni fasciste ripararono in Russia, morirono poi nei
lager staliniani (vedi
Giorgio Sacchetti Otello Gaggi vittima del fascismo e dello stalinismo, Ed. Biblioteca Franco
Serantini, Pisa 1992 e
C. Jacquier L'Affaire Francesco Ghezzi. La vie et la mort de un anarche-syndacaliste italien en
URSS in Annali
dell'Istituto Milanese di Storia e Resistenza del Movimento Operaio, n.2 1993) (5)
Congiura che dura tutt'oggi da parte di numerosi storici del movimento operaio
(vedi Marcello Zane Le dimenticanze
di Clio in Rivista storica dell'anarchismo BFS, Pisa 1995, anno 2 n.1) (6)
In La resistenza sconosciuta, op. cit. (7)
a cura di Francesco Natali Bakunin l'anarchico che sfida tutte le
polizie del mondo Mondadori, Verona 1974 (8) "Diamoci la mano, figli della nazione italiana! Diamoci la mano fascisti e comunisti, cattolici e
socialisti, uomini di
tutte le opinioni. Diamoci la mano e marciamo fianco a fianco per strappare il diritto di essere cittadini di un paese
civile quale è il nostro" (P. Togliatti in Stato Operaio agosto 1936 - nello stesso mese
anarchici e giellisti italiani
prendevano posizione sul fronte aragonese e il 28 riportavano la prima vittoria militare a Monte Pelato
respingendo
l'attacco di preponderanti forze fasciste protette da autoblindo) (9) Errico Malatesta Pagine di lotta quotidiana vol. II Ed. del Risveglio, Ginevra 1935
(reprint a cura del movimento
anarchico italiano, Carrara 1975 (10) Su Berneri, oltre a C. Berneri nel 50° anniversario della morte, cit. vedi Atti del
convegno di studi su C. Berneri
(Milano 9 ottobre 1977) cooperativa tipolitografica editrice Carrara 1979 - Francisco Madrid Santos C.
Berneri un
anarchico italiano archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1985 - Numerosi sono gli scritti di Berneri; per quel
che riguarda
i temi trattati vedi Pietrogrado 1917 Barcellona 1937; scritti scelti di C. Berneri, Sugar Milano 1964.
C. Berneri
Epistolario inedito 2 vol. ed. archivio Famiglia Berneri Pistoia 1980-84 - C. Berneri
Mussolini normalizzatore e
Delirio razzista, ed. Archivio famiglia Berneri Pistoia 1986 (11)
P. Togliatti, Opere vol. III Roma 1973 pag. 663 e seguenti (citato da
Gigi di Lembe in L'Europa tra guerra di stato
e guerra di classe in L'antifascismo rivoluzionario, op. cit.) (12)
"Gli anarchici, numerosi al principio, ma con tendenza a diminuire perché
le loro fila non si rinnovavano più in
Italia..." Altiero Spinelli Gli antifascisti in galera in Lezioni sull'antifascismo (13) Sul differente modo di porsi di fronte alle direttive dei propri
leaders degli anarchici italiani e spagnoli abituati ad
una più rigida "disciplina organizzativa", vedi Claudio Venza Tra rivoluzione e guerra: libertari
italiani nella Spagna
degli anni Trenta in La resistenza sconosciuta, op. cit. (14)
vedi Gigi di Lembo, op. cit. (15) La resistenza sconosciuta, op. cit. - Leonardo Bettini
Bibliografia dell'anarchismo vol. I, Cp editrice, Firenze 1972 (16) Ogni rivoluzione, oltre agli aspetti "esaltanti", presenta sempre degli aspetti "sgradevoli", quasi
sempre taciuti dai
protagonisti nel timore di sminuire il valore dell'evento. Sul problema delle fucilazioni durante la lotta partigiana,
vedi
le testimonianze di Nuto Revelli e Guido Quazza nel film Le prime bande di Paolo Gobetti, riportate
anche nella
sceneggiatura ne Il nuovo spettatore, Torino novembre 1983 (17)
Marco Rossi, op. cit. pag. 98 e segg. (18)
La resistenza sconosciuta, op. cit. (19)
vedi cap. I nota 5 (20) Ugo Fedeli Il ventennio, quaderni del Centro Culturale Olivetti,1960 - vedi anche
Franco Della Peruta
L'insurrezione: la teoria, la tradizione, l'attuazione in L'insurrezione in Piemonte op.
cit. (21) Come è il caso dei partigiani anarchici
Belgrado Pedrini e Giovanni Mariga di Carrara arrestati nell'immediato
dopoguerra e liberati solo negli anni Settanta (22) Paolo Gobetti prefazione alla sceneggiatura di Prime bande, op. cit. (23) P. Bianconi, op. cit. pag 14
|