Rivista Anarchica Online
L'esempio cileno
Gentile Guglielmo Piombini, condivido con lei e con Pietro Adamo il sentirmi
appartenente a quella variegata galassia che è definita
o spesso si autodefinisce libertaria. Ciò che purtroppo non posso condividere con entrambi è una
solida
conoscenza storica dell'anarchismo e una buona formazione in campo economico. Leggendo il suo articolo
("A" 218, pagg. 17-20), non solo mi sono reso conto di non possedere una
sistematica conoscenza storica del Movimento Anarchico, ma pure di disconoscerne alcune tendenze
attuali del pensiero che a questi fa riferimento. Fino ad ora ero al corrente delle teorie iper liberiste di
Milton Friedman e della sua scuola, meglio conosciuta come la scuola di Chicago, ma ignoravo in
assoluto che affondasse le sue radici nel pensiero anarco-individualista e se ne considerasse, in qualche
modo, erede o debitrice. Pertanto ho letto con interesse e curiosità il suo contributo, così come
ho
cercato di intendere alcune delle sue affermazioni comparandolo col documentatissimo articolo di
riposta di Adamo. Per le ragioni che citavo all'inizio, non sono in condizioni di inserirmi nel dibattito
teorico innestato dai vostri scritti, in cambio vorrei citare alcune realtà da me conosciute direttamente,
che mi paiono relazionate coi temi in discussione. Il Cile è uno dei paesi in cui è stata
applicata la formula di M. Friedman, con la partecipazione ed il
coinvolgimento diretto, sia a livello di disegno e pianificazione che di applicazione operativa, di
esponenti della scuola di Chicago, meglio conosciuti come Chicago Boys. L'applicazione dei loro
modelli è alla base di ciò che si conosce come "miracolo cileno", ovvero una crescita economica
quasi
esponenziale, che vede il Cile ai primi posti nel mondo per quanto riguarda la crescita del prodotto
interno lordo (si parla di 9%) e delle esportazioni. A differenza dei vicini Argentina e Brasile devastati
da inflazioni a spirale, svalutazione, calo della produzione e delle esportazioni, il Cile gode di una
accettabile stabilità monetaria e vive un vero boom produttivo e dei consumi interni. I risultati sul PIL
sono stati così sorprendenti da spingere parecchi paesi a studiare il caso cileno per applicarlo a casa
propria. Ultimi ma non ultimi, una delegazione composta da una trentina di assessori economici russi
inviati da Yeltsin per scoprirne i segreti, copiare modi e metodi per poi trasferirli ai paesi dell'ex Unione
Sovietica. Ora, se molti hanno cercato di copiare il modello per applicarlo altrove, nessuno è riuscito
a trarne risultati anche solo accettabili o incoraggianti. I più sono giunti alla conclusione che senza le
premesse cilene la metodologia fosse inapplicabile o non fornisse comunque i risultati auspicati. Quali
sono allora quelle condizioni sine qua non che hanno fornito terreno fertile al germogliare delle
teorie
economiche della scuola di Chicago? I Chicago Boys furono invitati dalla Junta (la giunta militare
presieduta dal generale Pinochet) pochi mesi dopo il golpe che abbatté il governo democraticamente
eletto di Salvador Allende, il tempo sufficiente per consentire alle truppe dell'esercito di "normalizzare"
la situazione del paese. Non sarò certo io qui a ricordare in cosa consistette la cosiddetta
"normalizzazione". La metodologia di Friedman e dei suoi allievi volta a risanare il debito pubblico e
a riattivare l'economia aveva un tallone d'Achille: l'altissimo costo sociale ed economico che avrebbero
dovuto pagare le classi meno abbienti durante la realizzazione del processo. Infatti, il costo sostenuto
dal proletariato cileno durante i primi anni dell'applicazione della formula liberista è misurabile in
termini di sofferenze fisiche e morali, di perdita di potere politico reale e di qualità di vita. Poi,
l'apologia della libertà di mercato e del libero imprenditore cominciò a dare i propri frutti, quelli
che
da ogni parte del mondo, appunto, si vanno a studiare. La chiave magica del miracolo cileno, ciò in
definitiva che la rende unica e non trapiantabile, è da ricercarsi nell'azione repressiva della dittatura
militare che eliminando ogni conflittualità sociale, massacrando o facendo emigrare tutti quanti fossero
individuabili come antagonisti al progetto in atto, consentì l'applicazione delle riforme economiche.
Vorrei aggiungere inoltre una informazione che a volte si omette citando il "miracolo cileno", ovvero
come a seguito delle riforme neo-liberiste, sia andato pressoché distrutto il più antico sistema di
salute
pubblica dell'America latina, si sia declassato un efficiente sistema di educazione pubblica e gratuita
e si siano acutizzate le condizioni di povertà (ora anche di miseria, pressoché sconosciuta nella
storia
delle classi subalterne in Cile) di grandi frange della popolazione urbana e rurale. Studi effettuati di
recente stimano il numero di persone che vivono in situazione di povertà non inferiore ai cinque
milioni. E' questo a cui si fa riferimento quando si parla di capacità di autoregolazione del
mercato? Gli avvenimenti politici che recentemente hanno scosso il Messico sono una prova del fatto che
ciò che
può funzionare nei paesi del nord non necessariamente si verifica in quelli del terzo mondo. Negli
ultimi anni anche il Messico aveva entusiasticamente accolto la ricetta neo-liberista e le statistiche
economiche lo davano già fuori dal sottosviluppo, proiettato a luminosi destini al fianco dei suoi nuovi
partner economici nel Trattato di Libero Commercio: Stati Uniti e Canada. Tutto è andato a gonfie vele
fino a quando la rivolta degli indios in Chiapas non ha riportato tutti alla realtà e l'intero castello delle
meraviglie si è sgonfiato come un soufflé estratto troppo presto dal forno. Le popolazioni
indigene, così
come famiglie di piccoli e piccolissimi agricoltori (delle quali gran parte ha donne come capofamiglia),
che spesso vivono di economia di sussistenza, erano stati destinati a scomparire, inurbandosi per
mescolarsi al proletariato contadino o riciclandosi verso l'economia di mercato. Almeno così era stato
programmato e disegnato nei piani di sviluppo degli economisti neoliberali che assessoravano il
governo. Senza troppo preoccuparsi se la "sana autoregolazione del mercato" distruggesse antiche forme
culturali o condannasse enormi fasce della popolazione alla miseria e alla disgregazione. "Sei indios,
contadino, non sei concorrenziale, devi sparire, sai l'ha detto il mercato...". Per fortuna anche in Messico
esistono osti e conti da pagare. Anche prefigurando il libero mercato in una società senza stato,
assisteremmo probabilmente nei paesi post-industriali al fiorire degli interscambi di prodotti, know how
e informazioni e in Burkina Faso alla liberalizzazione commerciale di galline e qualche capra. Il tema
dell'equità di rapporti Nord-Sud è un problema di ieri e di oggi che ricerca una soluzione
nell'immediato
futuro. Non riesco ad immaginare come il mercato saprebbe risolverlo, senza ricorrere, ovviamente,
all'uomo buono per natura. Cosa ne sarebbe di quell'enorme fascia di popolazione mondiale (più di un
miliardo) attualmente tagliata fuori dall'economia di mercato, su che basi economiche poggerebbe il
proprio sviluppo e soprattutto, a costo di quale asservimento alle "libere" leggi di mercato imposte dal
Nord? Lei parla nel suo articolo delle inviolabilità del diritto di proprietà privata, quale
diritto naturale, come
una delle chiavi di volta nelle teorie anarco-capitaliste e nella società da queste prefigurata. Inoltre
sostiene che tutti i servizi sarebbero gestiti in base alla libera contrattazione tra i gruppi quando questi
ne richiedessero e fossero in grado di pagarne i servigi. Questo pensato in una prospettiva europea
suona ragionevole, nonché allettante. Ma a chi sia stato dato assistere alla rimozione di un cadavere di
un bambino (leggi niño de la
calle o garoto de rua) dal marciapiede dove giaceva assassinato e della
successiva lavatura delle macchia lasciata inevitabilmente dal suo sangue sul selciato e
contemporaneamente di cogliere gli sguardi fin troppo eloquenti o addirittura i commenti dei pacifici
commercianti o dei benpensanti del quartiere, sorgono seri dubbi su come potrebbe funzionare il soviet
dei bottegai. Gli squadroni della morte come servizio alla comunità? A questo rispetto mi permetto di
citarle un brano di D.A.F. de Sade, scritto pochi anni dopo la rivoluzione. De Sade probabilmente non
era un conoscitore dei sistemi economici, ma di certo un grande libertario: "Non voglio qui attaccare
o distruggere il giuramento di rispetto alla proprietà che ha appena pronunciato la nazione; ma mi sia
permesso esporre alcune idee sull'ingiustizia di tale giuramento. Qual è lo spirito di un giuramento
pronunciato da tutti gli individui di una nazione? Non è per caso quello di mantenere una perfetta
eguaglianza tra i cittadini, e quello di sottomettere tutti egualmente alla legge che protegge la proprietà
di tutti? Allora dunque: vi domando se vi pare giusta la legge che ordina a chi non ha nulla di rispettare
chi ha tutto". Per questo brano tratto da "La filosofia nel boudoir" nel capitolo intitolato "Francesi, per
essere repubblicani ancora uno sforzo", perdonerà la qualità casalinga della traduzione. Mi
è sembrato di capire che uno dei ruoli principali che rivestirebbero le persone nel nuovo ordine di
cose sia quello di consumatore. Il consumatore, lei sostiene a più riprese, sarebbe maggiormente difeso
e tutelato in una società in cui operassero le leggi del libero mercato, che automaticamente
selezionerebbe a favore del consumatore ciò che fosse meglio per quest'ultimo. Non ha le conoscenze
sufficienti per sostenere o confutare questa tesi. Sono convinto invece che l'analisi dei meccanismi
sociali sia stata rivoluzionata dal pensiero di Guy Debord, in special modo per quanto riguarda due
scritti: La società dello spettacolo e Commentari. Debord sostiene che il
dominio ha modificato la
propria ubicazione e mutato le proprie forme, passando dal meccanismo di produzione del capitale alla
rappresentazione spettacolare dello stesso. O meglio, citando l'autore: "Lo spettacolo è il capitale
a un
tal grado di accumulazione da divenire immagine". Mette anche l'accento su ciò che si intende per
tempo libero e tempo liberato, lavoro e consumo: "Ciò che è sempre nuovo nel processo
di produzione
delle cose non si ritrova nel consumo, che resta il ritorno allargato di ciò che è sempre lo stesso.
Poiché il lavoro morto continua a dominare il lavoro vivo, nel tempo spettacolare il passato domina
il presente". Oppure: "Per ridurre i lavoratori allo stato di produttori e consumatori 'liberi' del
tempo-merce, la condizione preliminare è stata l'espropriazione violenta del loro tempo.
Il ritorno spettacolare
del tempo è diventato possibile solo a partire da questo primo spossessamento del produttore".
Insomma, se la prospettiva prefigurata dalle teorie anarco-capitaliste consiste nel chiedermi di abdicare
al vetero ed insoddisfacente ruolo di cittadino, per trasformarmi in compagno-consumatore, gentilmente
ringrazio per la vostra cortese offerta, ma sono spiacente di comunicarvi che la vostra merce non
risponde alle nostre attuali esigenze. Mi sento vicino a quella corrente dell'anarchismo che si definisce
sindacalista o collettivista voglio
pertanto ringraziarla per i produttivi dubbi e inquietudini che ha voluto sottopormi col suo articolo.
D'altro canto un altro dubbio m'assale: se le idee da lei espresse sono le stesse di coloro che tracciano
le strategie economiche in Messico e Cile, dove saranno i punti in comune tra la mia e la sua visione
del reale e la direzione e i modi verso cui modificarlo? Ho deciso pertanto che se pensieri filosofici
come quello che lei espone e che quei signori mettono in pratica si possono definire anarchici o
libertari, mi metterò al più presto alla ricerca di definizione o terminologie diverse con cui
rappresentare
le mie convinzioni che sento, radicalmente, distanti da quelle. E' mia speranza non aver frainteso concetti e
riferimenti da lei espressi, se così fosse, la prego di
correggermi fornendomi ulteriori chiarimenti e delucidazioni. Distinti saluti
Attilio Angelo Aleotti (Coronado - Costa Rica)
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