Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 223
dicembre 1995 - gennaio 1996


Rivista Anarchica Online

O anarchismo o capitalismo

Leggo con molto stupore su "A" 218, un lungo articolo, di ben 4 pagine dal titolo "Per l'anarco-capitalismo" a firma Guglielmo Piombini. Tale articolo contiene, oltre ad una serie di affermazioni abbastanza sconcertanti per faciloneria e superficialità, e ad una bella infarinata di luoghi comuni vetero-liberisti, l'affermazione che vi sarebbe una versione dell'anarco-individualismo, denominata anarco-capitalismo, e che questa corrente sarebbe più coerente, più "scientifica" e più realistica del filone anarchico-socialista e cooperativo.
Ora, io non voglio negare a nessuno di definirsi come vuole, e anche se volessi non potrei, e se Craxi si è definito socialista, Berlusconi dice di rappresentare gli onesti e via discorrendo, allora anche una persona un po' confusa sul significato della parola anarchia può definirsi anarchico. Tuttavia credo di avere il diritto di spiegare alcune cose al signor Piombini.
La parola anarchia significa mancanza di gerarchia, di potere, di dominio, e non semplicemente mancanza di stato. Non bisogna quindi commettere l'errore di qualificare come anarchica qualsivoglia teoria anti-statalista (o presunta tale). Può benissimo esistere una società senza stato ma con un dominio, per esempio quello di un santone che decide su tutto e tutti. In tale caso non si può parlare di società anarchica. Ora, un sistema senza stato ma con una struttura produttiva di tipo capitalistico, non rappresenta un tipo di società anarchica, ma semplicemente il desiderio di qualche monopolista che vorrebbe dominare la società più di quanto già gli riesca.
E questo per un motivo molto semplice, e cioè che il capitalismo è una forma di potere, di dominio, di gerarchia. Il fatto che si basi sulla proprietà privata e su quello che viene chiamato mercato non lo rende migliore di altre forme di potere, statali o religiose che siano.
La cosiddetta libertà di mercato non corrisponde necessariamente alla libertà umana. Basta leggere le cronache di questi giorni che riportano i casi di donne licenziate perché si sposano, per rendersene conto. L'anarchia è il contrario dell'autorità e il capitalismo è una forma di autoritarismo nel campo economico, e di conseguenza politico e ideologico.
Come è stato brillantemente sintetizzato in una recente opera dedicata al pensiero anarchico "non si possono abolire le classi senza abolire lo Stato, abolire lo Stato senza abolire la Chiesa, abolire la Chiesa senza abolire ogni principio di autorità; è una logica, quella dell'autorità, che non è possibile spezzare se non opponendole quella della libertà".
Una società anarco-capitalista è quindi priva di senso per il semplice fatto che non può esistere, perché se c'è il capitalismo vuol dire che esiste una minoranza che domina, sfrutta e condiziona gli altri. Che poi questa minoranza abbia bisogno di uno stato, cioè di una organizzazione che esercita il legittimo (o che si presume tale) monopolio della violenza, allo scopo di proteggerla e sostenerla, è cosa che va da sé.
Il problema è che Piombini, e con lui i cosiddetti anarco-capitalisti, hanno una visione molto semplicistica, unilaterale e antistorica dello stato. Secondo loro lo stato è nato da qualcuno che ha deciso di vivere senza lavorare estraendo il surplus con le tasse. L'essenza dello stato starebbe quindi nelle tasse. In realtà, come già detto precedentemente, l'essenza dello stato risiede nel monopolio della violenza, non nella tassazione. Per esempio, lo stato albanese non faceva pagare le tasse, ma questo non significa che non fosse uno stato, ma che semplicemente, controllando la produzione, poteva estrarre il surplus direttamente dal controllo dei mezzi di produzione, esattamente come fanno i capitalisti laddove la proprietà è privata. "Genocidio, bagni di sangue, guerre, crisi economiche, confische, schiavitù, carestie" tutto questo sarebbe colpa dello stato, secondo quanto dichiara uno dei filosofi citati da Piombini. Ma è proprio sicuro che la borghesia e le altre classi dominanti che si raccolgono sotto le ali protettrici (per loro) del governo siano del tutto immuni da colpe? (...)

Paolo Scarioni (Milano)