Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 228
giugno 1996


Rivista Anarchica Online

La fattoria degli animali
di Cristina Valenti

Il Teatro Due Mondi, con la regia di Alberto Grilli, rivisita il classico di Orwell. E ci regala nuove emozioni

Il manifesto dello spettacolo mostra tre figure in tight nero, panciotto bianco e papillon, con eloquenti teste di maiale impiantate sui colletti inamidati. Uno stringe un calice in mano, un altro rivolge gli occhi affilati davanti a sé e alza una mano con l'indice puntato. Sullo sfondo, le pareti di un salone di rappresentanza, con arazzi dalle cornici dorate e profili di stucco.
Ce l'immaginiamo così, l'epilogo della storia raccontata da Orwell: gli animali della fattoria spiano attraverso la finestra della casa colonica e vedono Napoleon e gli altri maiali che brindano ai nuovi rapporti di amicizia con gli uomini delle fattorie vicine. E, mentre fissano la scena, sembra loro che qualcosa di strano stia accadendo. Che cosa c'era di mutato nei visi dei porci?... Che cos'era che sembrava dissolversi e trasformarsi?... Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.
La «breve estate» della Fattoria degli Animali si concludeva in quel brindisi, con il quale anche l'ultimo dei «comandamenti» rivoluzionari veniva infranto.
L'«Animalismo», il grande sistema di idee che aveva sostenuto la rivolta contro il signor Jones e sul quale avrebbe dovuto sorgere la nuova società dell'uguaglianza e della solidarietà, era stato ormai stravolto e riscritto in ogni suo punto dalla classe dei burocrati suini. Napoleon e gli altri maiali, sostenuti e protetti da un esercito di cani, non avevano esitato a reprimere nel sangue le voci di dissenso, contravvenendo al «comandamento» secondo il quale un animale non avrebbe mai ucciso un altro animale; e quindi si erano installati nella casa padronale usando i letti come giacigli, esattamente come i nemici uomini, e avevano adottato anche la posizione eretta e gli abiti di questi, fino a convertirsi persino al consumo degli alcolici. L'apologo è fin troppo chiaro: il nuovo ordine imposto dai maiali, ai quali era stato affidato il lavoro di propaganda e organizzazione della rivoluzione, ha progressivamente ricostruito una struttura autoritaria e gerarchica che riproduce in tutto e per tutto il vecchio sistema di disuguaglianze e privilegi. Al capitalismo privato del signor Jones si sostituisce il capitalismo di stato: il sogno autogestionario è infranto e la Fattoria degli Animali torna a chiamarsi, per decisione di Napoleon, Fattoria Padronale.
Lo spettacolo del Teatro Due Mondi, per raccontare tutto quello che c'è stato in quel tempo di mezzo, fra l'abbattimento della vecchia Fattoria Padronale e il ricostituirsi della nuova, si propone come una pausa, uno spazio sottratto alla cancellazione operata da vecchi e nuovi strumenti di persuasione, un luogo di resistenza contro i vari tentativi di falsificazione della storia, un momento in cui riappropriarsi della memoria rintracciandone le radici, scavandone i reperti, risvegliandone le voci, le parole, le canzoni. Perché la storia della Fattoria degli Animali è quella di un sogno infranto, fra una fattoria padronale e l'altra, ma è anche il racconto di un'impresa straordinaria. Un pugno di animali si sottrae allo sfruttamento dell'uomo, lo sconfigge e lo scaccia nell'eroica e ìmpari battaglia del Chiuso delle Vacche, poi distrugge fruste, cavezze e catene e inaugura una nuova forma di organizzazione fondata sui principi dell'«Animalismo», dimostrando di saper gestire equamente le risorse disponibili, sottraendo i ritmi produttivi alla logica del profitto, progettando la costruzione di un grande mulino a vento che avrebbe garantito ritmi di lavoro più accettabili e maggiore prosperità per tutti, e affidando ogni decisione all'assemblea degli animali, finché...
Il teatro è di per sé un momento di pausa. Chiede agli spettatori una sospensione delle normali logiche di verosimiglianza e costruisce universi metaforici dove sogni, memorie, visioni possono trasformarsi in azioni e gesti concreti e, reciprocamente, interi mondi possono essere allusi ed evocati attraverso un'immagine, un suono, un dettaglio. Così il teatro può aspirare ad essere per eccellenza luogo dell'anti-nostalgia, per usare l'espressione di un grande attore rivoluzionario del passato: nostalgia, cioè, per quello che non è stato, e che avrebbe potuto andare diversamente. All'anti-nostalgia, coltivata come imperativo della memoria e come monito per l'avvenire, Orwell ha dedicato la sua opera: Omaggio alla Catalogna, 1984 e La fattoria degli animali, libri che possono essere letti, in questo senso, come una sorta di trittico.
L'imperativo e il monito di Orwell sono presenti nello spettacolo dei Due Mondi che, per questo, non è rappresentazione di una vicenda fantastica, o di un sogno, ma è evocazione di una storia. La cosa è anche dichiarata, all'inizio e alla fine. Un attore si rivolge agli spettatori tracciando la cornice del racconto: all'umanità non sono valsi i milioni di libri e la vasta opera degli artisti, dei filosofi e dei poeti, se è vero che esistono ancora le guerre e l'odio fra la gente. Per trarre profitto dalla propria storia occorre ascoltare e cercare di ricordare. Un velo bianco, trasparente e prezioso, si abbassa quando il rito di evocazione ha inizio, per poi rialzarsi alla fine, con un nuovo messaggio impresso, così che il racconto continui il suo ciclo, e chi è stato chiamato ad ascoltare conservi e tramandi un pezzo di memoria.
Chiamati in scena (e congedati in fine) dal personaggio-cornice, gli attori attraversano la platea cantando una vecchia ninna nanna abruzzese, Dollidina, che introduce al tempo sospeso del sonno, ad immagini fragili e vaghe come chimere, che possono però avere la forza inarrestabile e travolgente dell'idea se sognate collettivamente. Gli attori si tolgono le scarpe e parte degli abiti per restare con succinti indumenti neri che valgono da costumi neutri e sottolineano il lavoro di evocazione anziché di interpretazione realistica. Dietro al velo, posate su un tavolo, sono allineate le bianche riproduzioni degli animali. Qualcosa fra i modelli anatomici e i plastici di un museo naturalista. Ogni attore prende in mano un animale e il concerto delle voci ha inizio. Come sfogliando un vecchio album di ritratti, gli attori ci mostrano quelle sembianze, ce le avvicinano, danno loro voce e ci chiedono di ascoltare. Come i volti impressi in certe raccolte di foto o le figure disegnate sulle tavole dei cantastorie, così le sagome degli animali reclamano che la loro storia sia raccontata. Il cantastorie se ne sta su un palchetto laterale a commentare, descrivere, sottolineare le vicende evocate attraverso la narrazione parallela delle sue canzoni. Canzoni della tradizione popolare e politica, alcune delle quali arrangiate e riscritte per adattarsi alla storia degli animali. Quella di apertura è composta sull'aria di Sante Caserio di Pietro Gori, che è servita da base a tutto il repertorio tradizionale dei cantastorie. Seguono due canzoni socialiste di inizio secolo, Il feroce monarchico Bava e Son cieco e mi vedete, la prima riarrangiata per chiamare a raccolta gli animali e spronarli alla conquista della fattoria, la seconda eseguita nella versione originale quando, ridotti alla fame, gli animali decidono definitivamente di rivoltarsi. Ad Animali d'Inghilterra, l'inno della fattoria, corrispondono nello spettacolo due canzoni, composte sulle musiche di Susanna mett'in vesta, la versione romagnola di un canto delle mondine, e Siam del popolo gli arditi, canzone anarchica degli anni venti.
È con l'inserimento di queste canzoni della tradizione anarchica e socialista che lo spettacolo ricorda la rivolta degli animali per collocarla nella vicenda storica delle lotte sociali: una vicenda che ha affidato la sua epopea all'ampia narrazione poetica dei canzonieri, e quindi alla trasmissione orale della memoria. Al mondo del cantastorie si contrappone la Televisione degli Animali, voluta da Napoleone come strumento di costruzione del consenso: in apposite fasce orarie vengono mandate in onda le telefonate degli animali, che si pronunciano in toni apologetici sulla vita nella Fattoria. L'informazione di regime contraddice quello che gli animali sanno, vivono e ricordano, finché il ricordo dubita di se stesso e gli animali dubitano della propria esperienza e delle proprie conoscenze. Le manifestazioni celebrative si moltiplicano con «dimostrazioni spontanee», parate, declamazioni di poesie e gare di bandiere che devono servire a far dimenticare agli animali le privazioni e la fame.
Allora, cosa resta della Fattoria degli Animali, ora che non ha neppure più questo nome? Tutto sembra tornato come prima della gloriosa rivoluzione, ma tutto è diverso in realtà, e lo sarà finché gli animali ricorderanno e finché qualcuno farà in modo che la cancellazione e la dimenticanza non abbiano il sopravvento. La memoria resta, effimera ma viva, nel tempo sospeso dello spettacolo, e parla attraverso le azioni che gli attori prestano agli animali evocandone le imprese. Gli attori mostrano, in termini teatrali, il funzionamento della società nuova. Il loro corpo dà spessore e forza collettiva alla vicenda degli animali. Per tutto lo spettacolo, anche quando le cose si mettono al peggio e si profila, molto chiaramente, la sconfitta del modello autogestionario e l'avvento della tirannia suina, continua il concerto di voci e canzoni degli animali e continua la loro danza libera e selvaggia epperò perfettamente accordata e rigorosamente scolpita nelle complesse figurazioni d'insieme. Le azioni degli attori hanno la forza e la bellezza, la levità e l'impatto della creazione collettiva e non possono non ricordare il precedente più illustre al proposito: il corpo teatrale del Living Theatre. Un gruppo di attori capaci di dar vita a un corpo collettivo attraverso le libere interpretazioni individuali. Allo stesso modo si integra e si armonizza sulla scena il lavoro creativo degli attori dei Due Mondi: voci differenti che si fanno coro; abilità e caratteristiche del tutto personali che si fanno corpo. La comunità degli animali ha acquistato una vita teatrale, dimostrando di poter funzionare come collettivo. Inoltre, rinunciando all'interpretazione naturalistica, gli attori non riproducono le movenze dei vari animali, ma inventano piuttosto una sorta di linguaggio universale, attraverso il quale è l'intero popolo degli animali che si esprime e ritrova la voce dei suoi antenati, liberi dal giogo dell'uomo. Gli attori mostrano le effigi degli animali domestici e prestano loro un corpo, ne liberano la forza primigenia - che l'uomo credeva di aver soffocato in secoli di schiavitù - e la dotano di ali: la fanno librare in volute e ritmi liberi, sensuali e ribelli, e la alzano in canzoni, in suoni, in voci che dalla fattoria rispondono al richiamo della foresta.
Gli animali hanno cancellato la differenza fra scena e platea, si sono avvicinati agli spettatori e li hanno chiamati a testimoni facendoli entrare nel cerchio rituale dell'evocazione. Di tutto questo, qualche cosa resterà, anche se Napoleone si appresta a brindare alla nuova amicizia con gli uomini, nella casa padronale. Infatti, proprio nello stesso momento, la canzone del cantastorie racconta di un sogno che la dittatura suina non è stata in grado di estirpare: quando sventolano le bandiere e viene sparato in aria un colpo di fucile non è ai trionfi di Napoleone che pensano gli animali: a riempire i loro cuori è ancora il vecchio sogno, la grande idea di un mondo nuovo e tutti uguali, nella repubblica degli animali (la musica è quella della canzone anarchica delle Quattro stagioni).
Forse stanno scrutando questa minaccia, gli occhi aguzzi del maiale, nella sala del brindisi, forse quel dito puntato indica qualcosa di pericoloso che si prepara, là all'orizzonte...
Così la storia continua: la trasmissione del ricordo è affidata agli spettatori, gli attori attraversano un'altra volta la platea cantando Dollidina e sul palco si è alzato un nuovo velo, con la scritta ABBASSO NAPOLEONE / TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI / VIVA LA RIVOLUZIONE. I contenuti sono passati di là dal velo del sogno infranto e aspettano nuovi eredi.