Rivista Anarchica Online
Il piacere della lotta? Sebben che siamo donne...
di Emanuela Scuccato
In occasione della recente pubblicazione del fascicolo relativo all'incontro sul
Sottosopra rosso del gennaio 1996
dal titolo "E' accaduto non per caso", la cui riflessione si incentrava sulla fine del patriarcato, sabato 12 aprile si
è tenuto a Milano, nella sala consiliare della zona 1, un dibattito pubblico organizzato dalla redazione
della rivista
di politica Via Dogana - rivista che fa capo alla milanese Libreria delle Donne - sul tema: "Politica
senza
professione". Come può la politica prima, cioè la politica delle relazioni e del
partire dal sé, ampiamente sperimentata
nell'ambito del movimento femminista, agire la sua radicalità nei confronti di una politica cosiddetta
seconda,
quella dei Prodi e dei D'Alema per intenderci? Come è possibile "rompere l'ordine simbolico del fallo",
uscire
dall'"univocità del desiderio", "far emergere la differenza"? - questi i quesiti fondamentali sui quali la
filosofa
Luisa Muraro focalizzava, in apertura di serata, l'attenzione degli intervenuti, moltissime donne e qualche
uomo. Laddove alcune "vedono una complementarità - ambedue le politiche sono necessarie - io vedo
un conflitto e un
terreno di lotta", tornava ad affermare Lia Cigarini, già coautrice del Sottosopra rosso e tra
le promotrici del
dibattito. "Bisogna tenersi sul piano della realtà al massimo", "si tratta di andare allo scontro, di
aggredire, di lottare", "io
sono attirata dalla lotta, il piacere è in bilico", "la pratica è portare un elemento dinamico nella
realtà tutta",
facevano eco alcune delle femministe presenti in sala. Ed è proprio sulle parole conflitto
e lotta, piacere e piacere della lotta che si è appuntata infine gran parte della
discussione. Se, infatti, il bisogno di dare finalmente corpo al proprio desiderio in tutti gli ambiti - sociale,
culturale e politico
-, e di farlo qui ed ora dicendo basta! una volta per tutte all'estenuante politica del compromesso,
alla misera
logica "del coltivare il proprio campicello" insinuandosi negli interstizi della politica tradizionale, come
sottolineava la Muraro, veniva sostanzialmente sentito e condiviso da tutte le partecipanti, il linguaggio usato per
indicare quella che non si può ancora, a mio avviso, definire una strategia veramente ragionata e
progettuale, il
confliggere cioè, ha indubbiamente lasciato più d'una perplessa. A maggior
ragione quando si tenga conto dell'estrema attenzione che il pensiero femminista ha sempre riservato
al linguaggio, non soltanto smascherandone la pretesa universalità, ma anche, e soprattutto, riplasmandolo
spesso
a propria misura. Se dunque la parola è sempre sostanza, per quale ragione mutuare un linguaggio
guerresco da chi ha eletto la
guerra a sistema, anche in politica? vien fatto allora di chiedersi. Il termine lotta, infatti, non
pertiene forse ancora una volta alla logica maschile? e non presuppone forse di nuovo
un'idea di mondo dicotomo, dove se non si è vincitori si è per forza dei vinti? Osservava la
Muraro che "la realtà è conflitto e che se si vuole ottenere qualcosa bisogna lottare". Ora,
anche volendo sorvolare per il momento sulla questione linguistica e accettando, come qualcuna suggeriva
con aria di sufficienza, di relegarla tra le questioni in fondo secondarie, quest'idea di scontro frontale
tra politica
prima e politica seconda mette alla buonora sul tavolo tutta una serie di problemi con
i quali il multiforme
movimento femminista deve, a questo punto, necessariamente misurarsi, mettendo in luce, e affrontandole, anche
le proprie contraddizioni. Per esempio: se per lottare ci vogliono un progetto e una organizzazione, quale o
quali progetti concreti si intende
sostenere tramite la lotta? E per il desiderio di quali donne, visto che, come spesso si insiste, le
donne non sono
tutte uguali? Insomma, in questo scontro, chi rappresenterebbe chi? A proposito poi
dell'organizzazione, quelle che si propongono per davvero di agire il conflitto in termini di lotta
come contano, realisticamente, di gestirsi? in maniera gerarchica? Chi, in questo caso, comanderebbe
chi? E ancora: è giocoforza che per lottare ci si doti di strategie e strumenti per
realizzarle. Se per le strategie si ricade
inevitabilmente nel discorso precedente - chi decide? -, un altro grosso problema è rappresentato dalla
faccenda
degli strumenti. Come ci si muoverà per raccogliere consensi e appoggio al fine di vincere le proprie
battaglie? con la stessa
spregiudicatezza, per usare un eufemismo, dei professionisti della politica? E chi finanzierà, infine,
tutto questo? Domande, sono solo alcune domande terra terra, alle quali i professionisti della politica, quasi
tutti maschi, sono
abituati a rispondere con la moneta spicciola delle ideologie, con la sicumera di chi ha alle spalle millenni di
consuetudine con il potere, con la sopraffazione, con l'ipocrisia che non esita per esempio a camuffare l'infamia
dell'intervento italiano in Albania da "assunzione di responsabilità"... Vogliono davvero le donne
agire il conflitto in quest'arena nella quale abbiamo rappresentato, almeno fino a poco
tempo fa, al massimo un trofeo per i vincitori? Siamo sul serio arrivate al punto da pensare che non sia
possibile agire efficacemente la differenza se non nei
luoghi e nei modi designati di volta in volta dai diversi poteri? a questo siamo arrivate? Quando qualcuno,
un uomo, ha proposto alle donne presenti in sala di discutere dell'Albania e delle donne che
hanno deciso di prendere parte, a latere, alla cosiddetta "missione umanitaria" al di là dell'Adriatico, solo
Luisa
Muraro ha raccolto l'invito. Ma ormai non c'era più tempo, la sala consiliare era stata prenotata da
Gianfranco
Fini, che sull'Albania, invece, le idee ha dimostrato di averle ben chiare. Eccome
Bibliografia Sottosopra rosso "E' accaduto non per caso", gennaio 1996. "Politica senza
professione", atti dell'incontro sul Sottosopra (Entrambe le pubblicazioni sono reperibili presso
la Libreria delle Donne, via Dogana 20123 Milano).
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