Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 237
giugno 1997


Rivista Anarchica Online

Il coraggio dell'utopia
di Maria Matteo

Spezzano Albanese è un paese di diecimila abitanti adagiato su una collina ai cui piedi si stende la piana di Sibari: nelle giornate limpide in lontananza balugina lo Jonio ed è possibile ammirare la placida maestosità del massiccio del Pollino. Gli abitanti sono di antica origine albanese, gli eredi di una popolazione che abbandonò le terre d'Albania in seguito all'invasione turca. Qui negli ultimi vent'anni l'impegno costante e tenace del locale gruppo anarchico ha reso possibile la nascita di una Federazione Municipale di Base che rappresenta in Italia uno dei più efficaci esempi di comunalismo, ossia di creazione di uno spazio pubblico non statale ove i cittadini, fuori e contro la logica della delega e della democrazia si autoorganizzano per far fronte ai bisogni ed ai problemi del paese. Nessuna amministrazione comunale può più permettersi di fare il buono ed il cattivo tempo a Spezzano: la continua e vigile presenza della Federazione Municipale ha in questi anni garantito la piena agibilità politica delle piazze, delle strade e dei locali pubblici ed è altresì riuscita ad ottenere importanti risultati in tema di occupazione, servizi, tutela della salute.
Dal 25 al 27 aprile in occasione del XXII Congresso della Federazione Anarchica è convenuto a Spezzano albanese un folto stuolo di anarchici in rappresentanza di quasi tutti i gruppi, le individualità e le Federazioni locali della FAI: vi era inoltre un discreto numero di osservatori, provenienti dall'Italia e dall'estero.
Il congresso si è celebrato in un clima positivo di confronto e collaborazione e le differenze, che pur ci sono e rappresentano non un limite ma una ricchezza all'interno del tessuto federale, non solo non hanno generato fratture ma si sono rivelate elemento fecondo per l'elaborazione di una sintesi corposa ed efficace del dibattito congressuale. Un dibattito che peraltro era iniziato nei due convegni preparatori di Torino e Livorno, rispettivamente dedicati a due temi importanti quale quello delle trasformazioni dello stato e della produzione in questa transizione di fine millennio e quello inerente al ruolo ed alla forma di un'organizzazione anarchica ai nostri giorni.
Sia nelle lunghe e partecipate sessioni del congresso sia nel confronto informale che i seducenti sapori della tavola calabrese non hanno certo mancato di facilitare, si è tentato di delineare il profilo di un'insieme collettivo che, pur nell'intransigente perseguimento dei propri obbiettivi, nel tentativo di costruire una società di liberi ed eguali, riesce tuttavia a confrontarsi in maniera efficace con un mondo in rapida evoluzione, le cui trasformazioni sociali e culturali sono tali che talora a malapena se ne riescono a scorgere le possibili implicazioni.
Solo tre anni orsono il XXI congresso della FAI si svolse a Milano pochi giorni dopo la vittoria elettorale di una compagine di destra al cui interno stavano gli eredi del fascismo, tale vittoria sancì definitivamente la fine della prima repubblica, quella nata dalla Resistenza e che quindi sulla discriminante antifascista era sorta e si era sviluppata. Il congresso di Milano si concluse il 25 aprile, data in cui il popolo di sinistra diede vita ad un'oceanica manifestazione, che in quel contesto assumeva la forte valenza di riappropriazione simbolica di un'identità collettiva che l'ascesa del partito di Fini al governo pareva mettere in discussione. Da allora sono trascorsi solo tre anni ma molta acqua è passata sotto i ponti: nel '96 l'ascesa al governo di un'alleanza di centro sinistra al cui interno era anche Rifondazione comunista faceva di fatto cadere la forse meno esplicita ma non per questo meno forte discriminante anticomunista. In realtà, come è ormai del tutto evidente ai più, in questo triennio ha governato senza soluzione di continuità un Partito Unico le cui interne articolazioni si sono rivelate più sul piano dello stile che su quello ben più rilevante dei contenuti. L'adozione di misure di contenimento della spesa pubblica, la politica delle privatizzazioni, il sostanziale e progressivo smantellamento del sistema di garanzie sociali, la legislazione restrittiva nei confronti degli immigrati, l'aumento delle spese militari, la marcata subalternità culturale alla Chiesa cattolica ne sono stati i segni distintivi più espliciti.
Viviamo tempi duri: chi riteneva che negli anni '80 si fosse toccato il fondo evidentemente non poteva prevedere quel che ci attendeva ai giorni nostri. Il clima di normalizzazione che quindici anni orsono aveva progressivamente pervaso ogni ambito sociale dopo l'ingloriosa fine della grande stagione di lotte che tra la metà degli anni sessanta e la fine dei settanta aveva attraversato, modificandole profondamente, culture politiche, appartenenze di classe e di genere, attitudini esistenziali, in quest'ultimo scorcio del secolo e del millennio si è tradotto in una sempre più accentuata riduzione della partecipazione popolare alla vita pubblica. Negli anni '80 abbiamo assistito ad un ritrarsi in una dimensione privata che quando riemerge sulla scena pubblica dà corpo ai mai fugati fantasmi del razzismo, della xenofobia, del nazionalismo più becero.
La fine delle grandi narrazioni, il contestuale affermarsi a livello planetario dell'universalismo della merce, rendono i percorsi individuali tanto più differenti sul piano immediatamente materiale quanto più simili su quello culturale. Il riemergere ed il consolidarsi di localismi e particolarismi, l'integralismo religioso nelle sue varie versioni da quella islamica a quella cattolica sono i più rilevanti fenomeni reattivi e reazionari che una tale condizione vieppiù induce. "Nel nostro paese la vita sociale è permeata da un crescente senso di insicurezza, determinato dalla rottura di equilibri per lungo tempo consolidati. Tale diffuso senso d'insicurezza diviene il vettore potente della richiesta d'ordine che emerge in vasti strati sociali. Ne sono coinvolti sia i ceti medi che quelli popolari, che in questi anni hanno visto infrangersi un modello di relazioni sociali che aveva retto dal dopoguerra. Il restringersi dello stato sociale e la profonda trasformazione dell'ambito lavorativo ne sono i segni più evidenti. L'erosione di garanzie consolidate non ha, peraltro, quei caratteri coerenti e univoci che forse consentirebbero l'emergere ed il rafforzarsi di una conflittualità sociale diffusa ma si configura come fenomeno estremamente articolato sia per aree geografiche che per settori e persino per fasce d'età.
Un devastante senso d'insicurezza è l'inevitabile corollario di una situazione in cui non vi sono più punti di riferimento. L'insicurezza si amplifica nell'ambito metropolitano in cui più forte è il processo di disgregazione e le appartenenze sono sempre più labili."(1)
In questo contesto gli anarchici possono svolgere un ruolo cruciale, poiché sono da sempre portatori di una cultura teorica e materiale che vive e si sviluppa nella continua ed inesausta tensione tra scelta etica ed impegno politico e sociale, tra propensione all'effettualità nel qui ed ora e progetto di radicale trasformazione sociale, tra rispetto e valorizzazione delle differenze ed attitudine alla costruzione di un percorso collettivo. Un noto canto anarchico, più volte echeggiato nelle serate che hanno seguito i lavori del congresso della FAI ricorda che "ovunque uno sfruttato si ribelli, noi troveremo schiere di fratelli" ed esprime in modo semplice ma efficace il senso profondo della scelta e della militanza anarchica che non si configura mai come l'attività separata e scissa dal corpo sociale, appannaggio di professionisti della politica ma tenta sempre di svilupparsi all'interno delle lotte sociali, a fianco di chi lotta per affermare la propria dignità umana, per difendersi dallo sfruttamento e dall'oppressione.
La pratica federalista, mutualista ed autogestionaria costituisce uno dei pochi antidoti alla frammentazione ed alla disgregazione sociale, poiché diviene terreno concreto e non meramente ideale in cui si sperimentano percorsi di solidarietà, cooperazione e lotta in cui ciascuno può ricostruire un percorso identitario che, lungi dall'appiattirsi sulla perversa logica mercantile, rende desiderabile e possibile un diverso modo di organizzazione sociale.
Nelle tre dense giornate di Spezzano Albanese i compagni presenti al congresso hanno ribadito "la validità di un'organizzazione viva e visibile che non abbia un centro che dirami ordini alla sua periferia, di un'organizzazione intesa quale laboratorio collettivo in cui ogni struttura ed ogni singola individualità fungano al tempo stesso da centro e da periferia con il fine di insieme analizzare, elaborare, comunicare, costruire e praticare il programma rivoluzionario anarchico per iniziare ad edificare nel qui ed ora, insieme ai dominati e dunque all'interno di tutte le realtà di base sindacali, comunaliste, culturali, alternative, autorganizzate ed autogestionarie che nel sociale si esprimono, una società nuova sulla base degli obbiettivi di intervento che l'anarchismo sociale ed organizzatore saprà di volta in volta darsi nel presente storico" (2).
L'aumento degli aderenti alla Federazione Anarchica (numerose sono state le nuove adesioni anche in occasione di quest'ultimo congresso) in questi ultimi anni mi pare sia il miglior segnale della vitalità di un'organizzazione
che pur tra non poche difficoltà è riuscita ad essere punto di riferimento per molti di coloro che si riconoscono in una concezione sociale dell'anarchismo.
Gli aderenti alla FAI sono impegnati sul terreno del sindacalismo di base, della lotta antimilitarista, della solidarietà sociale e del mutualismo, dell'autogestione, dell'opposizione all'invadenza clericale e per l'autodeterminazione femminile, della pratica municipalista e dell'internazionalismo, e su questi temi si è articolata la mozione conclusiva di un congresso che è stato certamente positivo sia sul piano dell'approfondimento concettuale che dell'elaborazione progettuale.
Spero che per questa volta i lettori di "A" vorranno perdonare i mio entusiasmo, anche perché in periodi di Partito Unico è meglio "lasciare il pessimismo per tempi migliori".

(1) Le citazioni sono tratte dal documento elaborato, discusso ed approvato a larga maggioranza dai partecipanti al congresso di Spezzano Albanese..
(2) ibidem