Rivista Anarchica Online
Piccole donne uccidono
di Emanuela Scuccato
E' libertà per le donne avere accesso al servizio militare o addirittura chiedere la costituzione di un
"esercito
femminile"?
L'anno scorso, la "professora di storia delle donne" americana Bonnie Morris
pubblicava sulla rivista Off our
backs un breve saggio sui rilievi e le riflessioni formulate da una cinquantina di giovani universitarie
nell'ambito
del corso "Donne e guerra" da lei tenuto nel 1993 presso la St. Lawrence University. Stimolate dal dibattito
allora assai vivace "sulla scelta dell'esercito americano di vietare a gay e lesbiche di
indossare l'uniforme e la questione correlata delle molestie sessuali nei confronti delle donne che prestano il
servizio militare", ma soprattutto "furiose per l'apparente apatia degli uomini politici" in relazione allo stupro
sistematico delle donne musulmane in Bosnia, tra il 1992 e il 1993, come metodo di "pulizia etnica", le allieve
della Morris si sarebbero "assolutamente convinte che in quel momento avrebbe potuto invece scoccare l'ora della
donna guerriera". Per "smantellare le fabbriche dello stupro" si sarebbe dovuto senz'altro approntare un
"esercito di donne", armate
e ben addestrate, da paracadutare direttamente sui campi teatro degli orrori - era la proposta dalle partecipanti al
corso. E quasi tutte si erano dichiarate "pronte a dare la loro vita" per questo. "...quando il mio lavoro
riporta a galla la questione di una voce femminile nella politica globale", scriveva la
Morris al termine del suo intervento, "io ripenso con sofferenza e gratitudine a quelle cinquanta donne che
perlomeno erano pronte a fare la differenza in Bosnia". La prima cosa che ho provato, una volta lette queste
parole, è stato un senso di sconfitta. Con questo banale e
insipiente saggio la "professora di storia delle donne" Bonnie Morris confermava ampiamente quello che la
femminista americana Robin Morgan va da tempo denunciando: la monopolizzazione cioè del
femminismo da
parte di accademiche considerate sicure dall'establishment americano e lo scollamento della teoria
femminista
dalla sua "esperienzialità, il fatto che essa nasce dal cuore e dalle viscere, dalla vita e dalla realtà".
Allo sconforto ha fatto però seguito la riflessione. Ho pensato che certamente un'accademica che
si occupa di storia delle donne non poteva per esempio ignorare
il fondamentale lavoro sullo stupro della sua connazionale Susan Brownmiller, edito in Italia da Bompiani nel
1976 col titolo "Contro la nostra volontà", vero caposaldo bibliografico per chiunque conti di affrontare
seriamente questo tema. Anche in relazione alla guerra. Puntualissimo, il saggio della Brownmiller
documenta infatti come lo stupro delle donne dei vinti abbia sempre
rappresentato un comune denominatore di tutti i conflitti della Storia, dalle guerre di religione a quelle
rivoluzionarie. "Il corpo di una donna violentata diventa un campo di battaglia rituale, un terreno per la parata
trionfale del
vincitore", scrive Susan Brownmiller. "L'atto compiuto su di lei è un messaggio trasmesso da uomini
ad altri uomini: una vivida prova di vittoria per
gli uni e di sconfitta per gli altri". Per quale ragione dunque la Morris aveva voluto fare del problema dello
stupro etnico in Bosnia un caso isolato
quando, proprio in qualità di storica femminista, avrebbe dovuto essere ampiamente in grado di mostrare
alle sue
studentesse i nessi tra stupro e guerra, guerra e potere, potere e violenza? "La cosa più importante
è che non conosciamo a sufficienza la nostra storia. Se non conosci la storia, non sai un
beneamato niente, ma se conosci la tua storia, hai un senso di te stessa, di chi sei..." ha detto Kate Millett, l'autrice
di un'altra opera capitale del femminismo d'oltreoceano, "La politica del sesso". Avere un senso di se stessi
nella Storia, di chi si è, o anche "partire dal sé", come preferiscono dire oggi alcune
femministe, è il solo modo di evitare di ricadere in certe trappole che non si finisce mai di eludere, tanto
sono
astutamente tese. Imbracciare un fucile, creare un "esercito femminista", come proponevano le allieve della
Morris, poteva
effettivamente essere la soluzione al problema della Bosnia, nel 1993, dell'Albania oggi, domani di chissà
dove? Ma che cos'è la pace? é soltanto assenza di guerra? "... una definizione più
ampia del termine abbraccia molto di più del concetto di assenza di conflitto diretto tra
stati: comprende fattori come la distribuzione della ricchezza nei singoli paesi", afferma Birgit Brock-Utne,
studiosa di scienze sociali e autrice del bellissimo saggio, con introduzione di Elisabetta Donini, "La pace
è
donna". E allora, anche solo tenendo presente questa prima riflessione propostaci dalla Brock-Utne, come
si può pensare
di risolvere con le armi problemi così complessi, come appunto la distribuzione delle ricchezze, che
implicano
invece un radicale cambiamento di rotta dell'economia mondiale? Del resto, come sappiamo, la guerra stessa
è un fattore di importanza strategica nell'ambito del modello
economico capitalista imperante. E sappiamo anche molto bene come, delle diverse ideologie, l'economia sappia
egregiamente servirsi per imporre i suoi disumani valori. Se è vero inoltre, come viene evidenziato
ormai da più parti, che il movimento femminista e il movimento per
la pace, entrambi nella loro poliedricità, sono certamente accomunati dalla medesima ricerca per
l'elaborazione
e la sperimentazione di nuove pratiche di vita che permettano il superamento, mediante il dialogo, di ogni genere
di conflitto, a partire da quello tra i sessi, è altrettanto vero che questi due movimenti sono ancora,
purtroppo,
delle teste d'ariete. "... Le donne, così come sono capaci di amore profondo, sono anche capaci di odio
profondo. Esiste la violenza
del sangue, ma anche quella terribile, di chi tace sedendosi alla stessa tavola per trent'anni", ha scritto su
Il
manifesto nell'agosto 1995 Alessandra Bocchetti, una delle fondatrici del Centro culturale Virginia Woolf
di
Roma. A dire, cioè, che la logica del conflitto, se pure caratterizzante più o meno tutto
l'universo maschile (v. per
esempio la competitività e la gerarchizzazione nel mondo del lavoro, ma anche l'immaginario stesso),
troppe volte
si alimenta della acquiescenza femminile, quand'anche l'acquiescenza non diventi complicità
manifesta. "L'emancipazione dovrebbe aiutare la donna ad essere umana nel vero senso della parola", scriveva
su Mother
Earth, la rivista da lei fondata nel 1906, la femminista e anarchica Emma Goldman. E denunciava:
"Un'emancipazione puramente esteriore ha fatto della donna moderna un essere artificiale... E'
vero che il movimento per i diritti femminili ha spezzato molte vecchie catene, ma ne ha anche forgiate di nuove.
Il grande movimento per la vera emancipazione non si è trovato di fronte a una massa di donne capaci
di guardare
la libertà dritta negli occhi". E allora mi chiedo ancora una volta: è libertà per le
donne impegnarsi per avere accesso al servizio militare o
addirittura chiedere la costituzione di un "esercito femminista" per affrontare problemi come lo stupro, che sono
in realtà connaturati a un collaudatissimo sistema per l'asservimento delle coscienze tramite meccanismi
che fanno
leva sull'odio e sulla paura? Quando, infine, si riconosca "il carattere mistificatorio di tutte le ideologie,
perché attraverso le forme ragionate
di potere (teologico, morale, filosofico, politico), hanno costretto l'umanità ad una condizione inautentica,
oppressa e consenziente", come ha lucidamente messo in rilievo la fondatrice del gruppo di Rivolta
Femminile,
Carla Lonzi, nel suo fondamentale saggio del '70, "Sputiamo su Hegel", allora l'unica vera possibilità per
le
donne di esercitare un ruolo davvero rivoluzionario nella Storia resta, a mio avviso, ancora quella indicata ne "Le
tre ghinee" da Virginia Woolf. "... il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra", rispondeva nel 1938
la scrittrice inglese a chi le chiedeva
tre ghinee in favore di una associazione antifascista, "non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri
metodi,
ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi. Non è di entrare nella vostra associazione, ma di
rimanere
fuori pur condividendone il fine. E il fine è il medesimo: affermare "il diritto di tutti - di tutti gli uomini
e di tutte
le donne - a vedere rispettati nella propria persona i grandi principi della Giustizia, dell'Uguaglianza e della
Libertà".
Off our backs (pubblicazione femminista americana) A, rivista
anarchica aprile '96 (Dossier Stupro) Contro la nostra volontà di Susan
Brownmiller (Bompiani, 1976) La politica del sesso di Kate Millet (Tascabili Bompiani,
1979) Kate Millet: bisogna ruggire e ringhiare a cura di Anselma dell'Olio in FEMMINISMO
(Piccola Biblioteca
Millelire, Stampa Alternativa 1996) La pace è donna di Birgit Brock-Utne (Altrisaggi,
Edizioni Gruppo Abele, 1989) Vedi inoltre la ricchissima
bibliografila sulla pace allegata Il manifesto 23 agosto 1995 (Rif. Alessandra
Bocchetti) Anarchia femminismo e altri saggi di Emma Goldman (La Salamandra,
1976) Sputiamo su Hegel e altri scritti di Carla Lonzi (Rivolta Femminile, 1974) Le
tre Ghinee di Virginia Woolf (Universale Economica Feltrinelli, I classici, 1992)
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