Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 237
giugno 1997


Rivista Anarchica Online

Piccole donne uccidono
di Emanuela Scuccato

E' libertà per le donne avere accesso al servizio militare o addirittura chiedere la costituzione di un "esercito femminile"?

L'anno scorso, la "professora di storia delle donne" americana Bonnie Morris pubblicava sulla rivista Off our backs un breve saggio sui rilievi e le riflessioni formulate da una cinquantina di giovani universitarie nell'ambito del corso "Donne e guerra" da lei tenuto nel 1993 presso la St. Lawrence University.
Stimolate dal dibattito allora assai vivace "sulla scelta dell'esercito americano di vietare a gay e lesbiche di indossare l'uniforme e la questione correlata delle molestie sessuali nei confronti delle donne che prestano il servizio militare", ma soprattutto "furiose per l'apparente apatia degli uomini politici" in relazione allo stupro sistematico delle donne musulmane in Bosnia, tra il 1992 e il 1993, come metodo di "pulizia etnica", le allieve della Morris si sarebbero "assolutamente convinte che in quel momento avrebbe potuto invece scoccare l'ora della donna guerriera".
Per "smantellare le fabbriche dello stupro" si sarebbe dovuto senz'altro approntare un "esercito di donne", armate e ben addestrate, da paracadutare direttamente sui campi teatro degli orrori - era la proposta dalle partecipanti al corso.
E quasi tutte si erano dichiarate "pronte a dare la loro vita" per questo.
"...quando il mio lavoro riporta a galla la questione di una voce femminile nella politica globale", scriveva la Morris al termine del suo intervento, "io ripenso con sofferenza e gratitudine a quelle cinquanta donne che perlomeno erano pronte a fare la differenza in Bosnia".
La prima cosa che ho provato, una volta lette queste parole, è stato un senso di sconfitta. Con questo banale e insipiente saggio la "professora di storia delle donne" Bonnie Morris confermava ampiamente quello che la femminista americana Robin Morgan va da tempo denunciando: la monopolizzazione cioè del femminismo da parte di accademiche considerate sicure dall'establishment americano e lo scollamento della teoria femminista dalla sua "esperienzialità, il fatto che essa nasce dal cuore e dalle viscere, dalla vita e dalla realtà".
Allo sconforto ha fatto però seguito la riflessione.
Ho pensato che certamente un'accademica che si occupa di storia delle donne non poteva per esempio ignorare il fondamentale lavoro sullo stupro della sua connazionale Susan Brownmiller, edito in Italia da Bompiani nel 1976 col titolo "Contro la nostra volontà", vero caposaldo bibliografico per chiunque conti di affrontare seriamente questo tema. Anche in relazione alla guerra.
Puntualissimo, il saggio della Brownmiller documenta infatti come lo stupro delle donne dei vinti abbia sempre rappresentato un comune denominatore di tutti i conflitti della Storia, dalle guerre di religione a quelle rivoluzionarie.
"Il corpo di una donna violentata diventa un campo di battaglia rituale, un terreno per la parata trionfale del vincitore", scrive Susan Brownmiller.
"L'atto compiuto su di lei è un messaggio trasmesso da uomini ad altri uomini: una vivida prova di vittoria per gli uni e di sconfitta per gli altri".
Per quale ragione dunque la Morris aveva voluto fare del problema dello stupro etnico in Bosnia un caso isolato quando, proprio in qualità di storica femminista, avrebbe dovuto essere ampiamente in grado di mostrare alle sue studentesse i nessi tra stupro e guerra, guerra e potere, potere e violenza?
"La cosa più importante è che non conosciamo a sufficienza la nostra storia. Se non conosci la storia, non sai un beneamato niente, ma se conosci la tua storia, hai un senso di te stessa, di chi sei..." ha detto Kate Millett, l'autrice di un'altra opera capitale del femminismo d'oltreoceano, "La politica del sesso".
Avere un senso di se stessi nella Storia, di chi si è, o anche "partire dal sé", come preferiscono dire oggi alcune femministe, è il solo modo di evitare di ricadere in certe trappole che non si finisce mai di eludere, tanto sono astutamente tese.
Imbracciare un fucile, creare un "esercito femminista", come proponevano le allieve della Morris, poteva effettivamente essere la soluzione al problema della Bosnia, nel 1993, dell'Albania oggi, domani di chissà dove?
Ma che cos'è la pace? é soltanto assenza di guerra?
"... una definizione più ampia del termine abbraccia molto di più del concetto di assenza di conflitto diretto tra stati: comprende fattori come la distribuzione della ricchezza nei singoli paesi", afferma Birgit Brock-Utne, studiosa di scienze sociali e autrice del bellissimo saggio, con introduzione di Elisabetta Donini, "La pace è donna".
E allora, anche solo tenendo presente questa prima riflessione propostaci dalla Brock-Utne, come si può pensare di risolvere con le armi problemi così complessi, come appunto la distribuzione delle ricchezze, che implicano invece un radicale cambiamento di rotta dell'economia mondiale?
Del resto, come sappiamo, la guerra stessa è un fattore di importanza strategica nell'ambito del modello economico capitalista imperante. E sappiamo anche molto bene come, delle diverse ideologie, l'economia sappia egregiamente servirsi per imporre i suoi disumani valori.
Se è vero inoltre, come viene evidenziato ormai da più parti, che il movimento femminista e il movimento per la pace, entrambi nella loro poliedricità, sono certamente accomunati dalla medesima ricerca per l'elaborazione e la sperimentazione di nuove pratiche di vita che permettano il superamento, mediante il dialogo, di ogni genere di conflitto, a partire da quello tra i sessi, è altrettanto vero che questi due movimenti sono ancora, purtroppo, delle teste d'ariete.
"... Le donne, così come sono capaci di amore profondo, sono anche capaci di odio profondo. Esiste la violenza del sangue, ma anche quella terribile, di chi tace sedendosi alla stessa tavola per trent'anni", ha scritto su Il manifesto nell'agosto 1995 Alessandra Bocchetti, una delle fondatrici del Centro culturale Virginia Woolf di Roma.
A dire, cioè, che la logica del conflitto, se pure caratterizzante più o meno tutto l'universo maschile (v. per esempio la competitività e la gerarchizzazione nel mondo del lavoro, ma anche l'immaginario stesso), troppe volte si alimenta della acquiescenza femminile, quand'anche l'acquiescenza non diventi complicità manifesta.
"L'emancipazione dovrebbe aiutare la donna ad essere umana nel vero senso della parola", scriveva su Mother Earth, la rivista da lei fondata nel 1906, la femminista e anarchica Emma Goldman.
E denunciava: "Un'emancipazione puramente esteriore ha fatto della donna moderna un essere artificiale... E' vero che il movimento per i diritti femminili ha spezzato molte vecchie catene, ma ne ha anche forgiate di nuove. Il grande movimento per la vera emancipazione non si è trovato di fronte a una massa di donne capaci di guardare la libertà dritta negli occhi".
E allora mi chiedo ancora una volta: è libertà per le donne impegnarsi per avere accesso al servizio militare o addirittura chiedere la costituzione di un "esercito femminista" per affrontare problemi come lo stupro, che sono in realtà connaturati a un collaudatissimo sistema per l'asservimento delle coscienze tramite meccanismi che fanno leva sull'odio e sulla paura?
Quando, infine, si riconosca "il carattere mistificatorio di tutte le ideologie, perché attraverso le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico), hanno costretto l'umanità ad una condizione inautentica, oppressa e consenziente", come ha lucidamente messo in rilievo la fondatrice del gruppo di Rivolta Femminile, Carla Lonzi, nel suo fondamentale saggio del '70, "Sputiamo su Hegel", allora l'unica vera possibilità per le donne di esercitare un ruolo davvero rivoluzionario nella Storia resta, a mio avviso, ancora quella indicata ne "Le tre ghinee" da Virginia Woolf.
"... il modo migliore per aiutarvi a prevenire la guerra", rispondeva nel 1938 la scrittrice inglese a chi le chiedeva tre ghinee in favore di una associazione antifascista, "non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi. Non è di entrare nella vostra associazione, ma di rimanere fuori pur condividendone il fine. E il fine è il medesimo: affermare "il diritto di tutti - di tutti gli uomini e di tutte le donne - a vedere rispettati nella propria persona i grandi principi della Giustizia, dell'Uguaglianza e della Libertà".

Off our backs (pubblicazione femminista americana)
A, rivista anarchica aprile '96 (Dossier Stupro)
Contro la nostra volontà di Susan Brownmiller (Bompiani, 1976)
La politica del sesso di Kate Millet (Tascabili Bompiani, 1979)
Kate Millet: bisogna ruggire e ringhiare a cura di Anselma dell'Olio in FEMMINISMO (Piccola Biblioteca Millelire, Stampa Alternativa 1996)
La pace è donna di Birgit Brock-Utne (Altrisaggi, Edizioni Gruppo Abele, 1989) Vedi inoltre la ricchissima bibliografila sulla pace allegata
Il manifesto 23 agosto 1995 (Rif. Alessandra Bocchetti)
Anarchia femminismo e altri saggi di Emma Goldman (La Salamandra, 1976)
Sputiamo su Hegel e altri scritti di Carla Lonzi (Rivolta Femminile, 1974)
Le tre Ghinee di Virginia Woolf (Universale Economica Feltrinelli, I classici, 1992)