Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Avventori attesi
Il termine del primo atto di Mercadet l'affarista - scritta da Honoré de
Balzac nel 1839 e rappresentata fino ai
nostri giorni con i soliti "adattamenti riduttivi" che, nell'alleggerirla, la privano di gran parte del suo antico potere
corrosivo -, il protagonista, riferendosi ad un amico scomparso da tempo, invocato e atteso nei momenti di
difficoltà, dice che "tutti hanno il loro Godeau, un falso Cristoforo Colombo". Godeau, alla francese, ho
sempre
pensato che potesse essere il prototipo del più noto, e successivo, Godot teatrale - quello di
Aspettando Godot
-, quello che l'irlandese Samuel Beckett mise in scena nel 1953. I Godeau e i Godot, sul palcoscenico, non
appaiono mai - anche se il primo, a differenza del secondo, dicono, alla fine arriva. Se ne parla, sono oggetto di
discorso e destinatari di investimenti affettivi che, gradualmente, assurgono al formato di grandi e di massimi
valori, ma non hanno nulla a che fare con la carne e con le ossa dei comuni mortali che si macerano nella loro
attesa. La metafora della persona che deve arrivare e non arriverà - salvezza, riscatto, rivoluzione,
compenso -
s'ispessisce, ovviamente, se la variabile del tempo scandisce inesorabilmente l'attesa; se, cioè, chi attende
ha
vincolato la propria sorte al deperibile. Per esempio non solo alla propria carne ed al proprio contorno, ma anche
a quelli di un pranzo, la cui qualità è notoriamente proporzionale al rispetto della cronometria
- e per la cottura
e per la degustazione. Sia in Big night che in Nuvole in
viaggio i ristoratori attendono spasmodicamente gli avventori. Il primo è stato
ambientato da Stanley Tucci nell'America degli anni Quaranta e parla di due fratelli abruzzesi che si dividono
il ruolo di cuoco e di direttore, mentre il secondo è stato ambientato da Aki Kaurismäki in una
Finlandia d'oggidì
che, per mestizie e desolazioni sociali, ricorda dannatamente l'oltrecortina di un tempo. La coppia, qui, è
costituita
da una moglie e da un marito, ma quel che importa, in entrambi i casi, è soltanto la forza di un legame
- più simile
a quello che univa la signora Mercadet al marito in Balzac che a quello che unisce Estragone a Vladimiro in
Beckett. Siamo quasi al capolinea. Fagocitati dal capitalismo vorace, si accorgono di non avere più
chances. Uno degli eroi
di Tucci, il bel fratello sciupafemmine, decide infine di accondiscendere, di venire a patti con la spicciola
corruzione quotidiana pur di salvare il ristorante. L'America è fatta così: è inutile offrire
un risottino fatto a regola
d'arte, quando il criterio del successo è l'apparenza. Si fanno carte false per ottenere che un cantante
famoso
benedica il locale con la sua presenza - e si conta sul meccanismo imitativo che, conseguentemente, dovrebbe poi
muovere le masse di avventori -, ma, queste carte false, spesso, restano in mano ai piccoli spacciatori. Gli
integerrimi di Kaurismäki, invece, scendono alla svelta tutti i gradini della scala sociale e la puntata sul
ristorante
è già un bene caduto dal cielo. Ma in entrambi i casi siamo vicini al rendiconto finale, l'attesa si
fa lunga e il
pranzo rischia di andare a male. Come nel passaggio da Balzac a Beckett, l'atteso in un caso arriva e nell'altro
no - in un caso la "grande notte" non finisce più e nell'altro le nuvole erano soltanto "di
passaggio". Opere delicatamente calibrate per struttura narrativa e pazientemente architettate nell'impianto
visivo (Tucci più
americanamente patinato, Kaurismäki dipinge di poppartistici contrasti umanità e cose
modernamente povere),
si tratta in entrambi i casi di appassionati apologhi sull'etica del lavoro. I due fratelli abruzzesi litigano sul modo
in cui giungere al risultato: mantenendo alta la stima di sé, facendo del proprio meglio, o chiudendo un
occhio
e narcotizzando la coscienza. La coppia finlandese rifiuta il sussidio di disoccupazione, esige orgogliosamente
la propria partecipazione ad un ciclo produttivo che tende ad espellerli. E' questione di dignità,
innanzitutto. E,
al contempo, sono in gioco le condizioni stesse della convivenza civile. Una società che non dà
lavoro è una
barbarie. Nell'attesa degli avventori - nell'attesa di quel segnale che decreta un futuro o la fine della storia -,
l'unico antidoto all'angoscia è la fierezza di un dovere rispettato e adempiuto. Il timballo è
riuscito alla
perfezione, tutte le pietanze sono pronte, il personale è al suo posto: chi, eventualmente, decide di non
arrivare,
se ne assume tutte le responsabilità.
P.s.: I due fratelli di Big night tentano l'avventura americana discendendo da una
famiglia di ristoratori. Uno si
chiama Primo, l'altro Secondo. Ad ulteriore dimostrazione del fatto che un lavoro, nelle condizioni storiche
opportune, disegna intorno a sé un intero sistema ideologico. P.p.s.: Ilona e Lauri, i due che si
ritrovano sotto le Nuvole in viaggio, hanno rispettivamente 38 e 48 anni. Troppo
vecchi, gli si dice, per pretendere di trovar lavoro. Anche queste sono notizie interessanti sulla prossima
rivoluzione. P.p.p.s.: Balzac non poteva aver letto Il genio incompreso di Federico
Di Trocchio (1997, Mondadori). Se
l'avesse potuto leggere, non avrebbe fatto ricorso alla metafora del "falso Cristoforo Colombo" per indicare un
atteso scopritore di tesori lontani. Infatti, dalla scrupolosa ricostruzione di Di Trocchio, non ci vengono soltanto
confermati i noti errori tecnici e scientifici del navigante genovese, ma ci vengono rivelati, ahinoi, anche i suoi
torbidi e dissennati progetti connessi alla riuscita della sua impresa. Sembra che, preda di crisi mistiche, cercasse
"l'oro del Cypango" (ovvero del Giappone) per "finanziare una grande crociata per riconquistare la Terrasanta"
(pag. 16).
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