Rivista Anarchica Online
Il Chiapas e noi
di Giordano Cotichelli
Turismo rivoluzionario, assemblee popolari, nazionalismo, esercito, ecc.: una chiacchierata a tutto tondo con un
compagno di ritorno da quattro mesi in Chiapas
Alessandro Simoncini è un compagno anarchico di Ancona che sta
realizzando una tesi sullo zapatismo, quella
che lui chiama un ipertesto su cd rom dei comunicati dell'EZLN. Per questo ha passato più di quattro mesi
in
Chiapas, la scorsa estate, durante il 1° Incontro Intergalattico contro il Neoliberismo, e lo scorso mese di
dicembre. Come compagni del Centro Studi Libertari "L. Fabbri" di Jesi (AN), gli abbiamo chiesto la sua
testimonianza su ciò che sta accadendo in Chiapas. Ne è venuta fuori un'intervista-chiacchierata
che qui di
seguito riportiamo.
Impressioni della tua permanenza in Chiapas. Positive, soprattuto durante
l'Incontro Intergalattico contro il neoliberismo dell'estate scorsa. L'impatto emotivo
è stato grande nel trovarsi insieme ad altre migliaia di persone diverse dal punto di vista culturale,
politico, sociale
e nazionale. Tutti con l'entusiasmo di dialogare, scambiarsi esperienze, in un luogo, come la Selva Lacandona,
per niente agevole, e circondati dall'esercito. In questo è stato eccezionale il lavoro preparatorio degli
indigeni,
che hanno retto benissimo l'impatto della visita di migliaia di stranieri, sia dal punto di vista logistico, che da
quello umano, trattando sempre tutti, dal personaggio famoso all'ultimo degli sconosciuti, con lo stesso rispetto,
entusiasmo ed affetto.
Si può parlare di turismo rivoluzionario? Per alcuni certamente. Sono
quelli che arrivano senza conoscere la realtà zapatisa, con l'unico scopo di vedere
e conoscere Marcos, il mito. In genere stanno lì due o tre giorni, contenti di aver parlato con un tizio
incappucciato. Poi qualcuno se ne va, incapace di sopportare la lontananza dalle comodità occidentali.
Altri
restano, cercando di rendersi utili, di aiutare gli zapatisti. Ma in questo molti si sentono in grado di fare delle
critiche, di sputare sentenze, di dare degli insegnamenti. Con le loro certezze ideologiche, e soprattutto l'arroganza
occidentale, pretendono di insegnare come si fa una rivoluzione ad una comunità che ha resistito agli
spagnoli
per centinaia di anni, o come si dovrebbe coltivare un orto o costruire una casa. Una visione paternalista, se non
colonialisa, anche se nascosta da idee rivoluzionarie. Io, bianco, evoluto, moderno, posso insegnare qualcosa. E'
l'ottica che fa di Marcos un mito, tutto occidentale, perchè bianco e parla una lingua occidentale. Mentre
Marcos
non è alro che "un'interfaccia" mediatico della realtà. Uno strumento della comunità per
comunicare all'esterno
la propria cultura, la propria lotta e la propria storia. Se così non fosse, quella di Marcos sarebbe
purà retorica.
Al contrario, per fortuna, c'è chi arriva per capire, conoscere, aiutare, prima ancora di giudicare ed
"insegnare".
In merito all'EZLN, l'esercito zapatista, qual'è il suo ruolo, la sua tipologia. E' l'esercito
con generali,
colonnelli cui siamo stati abituati, l'esercito popolare che l'iconografia marxista leninista ci ha fatto
conoscere, o che? Rispondo indirettamente. Durante una delle molte feste degli zapatisti, mentre
noi "osservatori" eravamo attratti
dalla presenza di molti miliziani incappucciati, questi, ballavano e ridevano tranquillamente insieme agli altri.
Non ostentavano il loro status di "soldati", quello che insomma noi chiamiamo il fascino della divisa. Anche
perchè, incappucciati o meno, guerriglieri, insurgentes, o campesinos, il loro status è sempre lo
stesso: quello di
individui facenti parte della comunità. L'EZLN è l'espressione delle comunità indigene
che sono riuscite ad
organizzare in dieci anni la loro difesa armata dagli attacchi del governo messicano, dei proprietari terrieri, delle
guardias blancas. Accusare l'EZLN di militarismo sarebbe accusarli di fare una guerra perdente in partenza, vista
la stragrande superiorità di mezzi ed uomini dell'esercito messicano. L'EZLN non è certo una
struttura gerarchica
come si potrebbe pensare, non è un potere a parte. La Comandancia dell'EZLN ha capacità
decisionale solo
durante le operazioni militari, ma lo svolgimento, l'inizio, la fine di queste è deciso dall'assemblea
generale delle
varie comunità in discussioni che possono durare settimane (all'interno si parlano almeno cinque lingue
diverse).
L'EZLN non domina le comunità, non impone "tasse di guerra", per il semplice fatto che il 99% degli
zapatisti
fanno parte delle comunità stesse. Un giorno li vedi incappucciati durante un incontro, il giorno dopo li
vedi
lavorare nei campi. Manca un vero e proprio senso dell'autorità militare, perchè manca all'interno
della stessa
comunità. A questa visione di vita collettiva si sono dovuti adattare gli esterni, quell'1% di zapatisti, come
Marcos, che provenivano da realtà, lotte urbane, sindacali, ed altro, diverse da quella chiapaniega.
Arrivati nelle
comunità Maya con l'intenzione di "importarvi" la loro ideologia rivoluzionaria, sono stati invece
convertiti alle
abitudini, alla lingua, alla democrazia diretta, superati dalla pratica millenaria delle comunità Maya.
C'è chi dice che questa democrazia diretta è fittizia in quanto nella pratica
assembleare certe figure, certi
comportamenti comunque dominano sempre. Una questione che da sempre, del resto viene dibattuta
all'interno dello stesso movimento anarchico. Io ho assistito alle riunioni delle comunità.
Dalla mattina alla sera tutti parlavano, finchè non si arrivava ad una
decisione unanime. Si esce fuori da un puro formalismo assembleare, tipico dell'occidente, dove si cerca di
convincere tutti a pensare e a fare allo stesso modo. Gli zapatisti non vogliono che tutti diventino come loro, che
prendano a modello la cultura maya. Affatto, quando affrontano il dialogo lo fanno in modo schietto, senza
mirare a conquistare posizioni di forza. E' l'applicazione di ciò che loro chiamano: "la palabra verdadera":
la
parola sincera. Essa è tale nel momento in cui viene espressa, e non è strumento di
prevaricazione, di inganno,
di indottrinamento ma di genuino dialogo e confronto per arrivare ad un risultato comune. Sembra di essere
retorici dicendo che la menzogna, la calunnia, la falsità o le lusinghe sono elementi del tutto estranei al
linguaggio
indigeno, ma stando nelle comunità ci si accorge che è così. Il dialogo viene esaltato
dall'abitudine all'ascolto
dell'altro. E' l'assenza nella pratica del linguaggio di qualsiasi forma di autoritarismo. A differenza di quelle
occidentali, dove c'è una visione soggettiva del linguaggio, nelle lingue maya prevale una dimensione
intersoggetiva. La semplice frase " Io ti parlo", viene tradotta in: "Io parlo, lui ascolta". Non c'è
più un soggetto
che compie un'azione ed un "oggetto" che la subisce, ma due soggetti attivi posti in relazione fra loro. Del
resto, all'interno della comunità stessa, l'autorità dei capi è fortemente vincolata dal
mandato assembleare
che viene loro dato. L'assemblea riconosce loro delle capacità maggiori rispetto agli altri, e questo
coincide con
la richiesta di una maggiore assunzione di responsabilità e di impegno nei confronti della
comunità. Nel caso
prevalga la cattiva fede, il tornaconto personale, la tua figura di capo non è più al servizio
collettivo, e la comunità
non fa altro che rinnegarti.
Si può quindi dire che c'è uno spirito libertario nella gestione della
comunità? Sì, se la vogliamo vederla con i nostri occhi, il modello libertario
è quello che si avvicina di più alla gestione
comunitaria degli zapatisti. Non ci sono dogmi, linee prestabilite, ma viene data importanza al dialogo fra uguali,
senza privilegi particolari.
Torniamo a Marcos, la cui mitizzazione rivela la concezione che si ha della delega, del
personaggio, del
leader da seguire. Sì, i media della nostra società vedono e registrano solo
Marcos, il leader bianco, che riesce a dominare e
manipolare centinaia di migliaia di indios. In realtà non è così. In Chiapas sono abituati
da secoli a lottare. Gli
spagnoli hanno impiegato 176 anni per conquistarlo. Poi, nei trecento anni successivi, hanno dovuto affrontare
più di 120 sollevazioni, fatte senza il bisogno della guida di nessun "Marcos". Marcos è uno
strumento della
rivoluzione zapatista, non il suo leader. Inoltre continuare a parlarne, svia il discorso e porta verso forzate
interpretazioni. La realtà è che in Chiapas è in atto una rivoluzione dove tutti sono
partecipi e protagonisti di una
lotta per l'emancipazione collettiva ed individuale. Sempre per chiarirci le idee, tra le
accuse mosse agli zapatisti ci sono anche quelle di essere dei nazionalisti
manipolati da un vertice costituito da maoisti e cattolici della teoria della liberazione. In merito
al discorso del vertice, vale quanto detto prima per Marcos. C'è certamente, fra gli zapatisti una
minoranza più politicizzata di estrazione marxista. Quell'1% citato prima. Ma la presenza di "militanti"
di
professione è un elemento fisiologico di tutti i movimenti rivoluzionari, l'importante è che
ciò non porti alla
gerarchizzazione della lotta, alla formazione di veri e propri quadri o strutture di partito. Ed in questo gli indios
del Chiapas stanno dimosrando molto più di noi occidentali, una certa maturità politica. Non per
nulla, tra gli
obbiettivi dell'EZLN, non c'è la presa del potere, non c'è quell'ottica avanguardista che ha fatto
fallire decine di
rivoluzioni nel mondo. Per quello che riguarda poi la presenza di influenze religiose sugli zapatisti, mi sembra
che l'atteggiamento della chiesa di Roma verso i religiosi che appoggiano, simpatizzano o quanto meno dialogano
con l'EZLN, sia emblematico. Il Vaticano, in risposta alle persecuzioni poliziesche verso due gesuiti, colpevoli
solo di solidarizzare con le comunità contadine, in una zona non controllata dall'EZLN, ha fatto chiudere
un paio
di centri culturali ed ha censurato i religiosi coinvolti. Infine, per quello che riguarda il nazionalismo è
vero che
gli zapatisti usano la bandiera messicana e l'inno nazionale, ma questo va visto in un contesto totalmentte diverso
da come ce lo immaginiamo noi. Un contesto nazionale dove convivono a livello istituzionale miti e
contraddizioni di vario genere. Zapata è un eroe nazionale al pari di Carranza, il generale che lo ha fatto
ammazzare. La rivoluzione stessa è un mito istituzionale, non a caso i due maggior partiti, di destra e di
sinistra
si definiscono rivoluzionari, il primo "istituzional", al poere da più di settanta anni, l'altro democratico.
Inoltre
il mito della patria in Messico, come in tutta l'America Latina, non è lo stesso di quello che abbiamo noi.
La patria
è il territorio da difendere dall'arroganza del potere che appoggia il colonialismo delle multinazionali,
americane
soprattutto. Non dico che questo possa essere condivisibile, ma non è certo assimilabile al nazionalismo
europeo
che invade, comquista, e distrugge. Al nazionalismo che, per rifarsi all'attualità, butta a mare gli
albanesi. Del resto diverse cose dello zapatismo sono criticabili a mio avviso, ma in un'ottica che considera
sempre il fatto
che in Chiapas ci sono degli sfruttati, degli esseri umani che stanno lottando per la loro vita. Si dovrebbero usare
argomenti diversi che non il maoismo, il militarismo, il nazionalismo, o che altro. Se vai da uno zapatista a
parlargli di maoismo, leninismo, anarchismo, quello ti guarda e non capisce di che cosa stai parlando. Se qualcuno
si scandalizza per il "nazionalismo" degli zapatisti, pensi un attimo alla "enne" della C.N.T. spagnola.
E' vero anche, se ci vogliamo soffermare sui particolari, che qualche bandiera rosso-nera si
è vista in
Chiapas. Sì, questo è un particolare che agli anarchici, eterni innamorati, non
è sfuggito. Del resto il perchè di questo è
scritto su uno dei primi comunicati degli zapatisti: " Noi abbiamo assunto la bandiera rosso-nera perchè
è quella
della gente che lotta in Messico", in ricordo delle bandiere che si innalzavano durante scioperi, occupazioni di
fabbriche e di terre nel Messico del passato.
Un messaggio per i libertari di tutto il mondo? Non è questo il punto,
anche perchè si correrebbe il rischio di considerare la lotta zapatista come una nuova
intifada da contendere, sul piano ideologico e politico, ai residui movimenti leninisti. Il messaggio da cogliere,
a mio avviso, è che da parte dei paria della società, in Chiapas, o in qualsiasi altro posto, nell'era
del neoliberismo
e della globalizzazione, ribellarsi è giusto. E questo viene reso ancora più efficace sul piano
politico in quanto
espressione di una comunità solidaristica di esseri mani. Un senso della comunità, un vivere e
lottare collettivo
che forse, da noi nel primo mondo, si è perso, che forse una volta ancora permaneva in quella che veniva
definità
"coscienza di classe".
Qual'è la situazione attuale in Chiapas, e l'importanza in merito alla preparazione del
2° Incontro
Intergalattico per l'umanità e contro il neoliberismo. La situazione in Chiapas è
molto brutta attualmente. Giorno per giorno si registra sempre più una maggiore
militarizzazione del territorio. In tutta l'area, specie in quella non controllata dagli zapatisti sono aumentati gli
arresti, le uccisioni, i massacri, ad opera delle forze governative o degli eserciti privati dei proprietari terrieri. La
presenza continua di stranieri solidali con gli zapatisti è ceramente un deterrente per far sì che
la situazione non
precipiti in modo tragico e definitivo. E in questo, anche il 2° Incontro Intergalattico ha la sua funzione:
più se
ne parla della questione del Chiapas, meno possibilità ci sono che questa sia dimenticata e brutalmente
repressa. Ecco perchè al 2° Incontro, che si dovrà tenere la prossima estate in Europa questa
volta, a Barcellona credo, è
necessaria la massima pubblicità e partecipazione. E' da considerarlo come un luogo politico fuori da
etichette
partitiche e ideologiche, sensa sponsor di alcun tipo, che sul piano della autogestione e delle lotte, vuole mettere
in collegamento fra loro i vari frammenti che si oppongono all'era della globalizzazione e del pensiero unico
neoliberista. In questo considero importante l'eventuale presenza del movimento anarchico, visibile e partecipata,
utile non solo alla causa zapatista, ma soprattutto per definire, capire, analizzare ruoli e percorsi su cui basare la
lotta politica alle soglie del terzo millennio.
Dalle tue parole si capisce che sarai anche a Barcellona, quindi. Non
mancherò, e considero che se questa chiacchierata ha avuto la funzione di fare un quadro elementare della
situazione, altre ne seguiranno con ulteriori elementi di analisi e di dibattito.
P.S. Questa è l'intervista realizzata, in un'ora e mezzo circa, a notte fonda e dopo aver visto insieme
per
l'ennesima volta il film "Terra e libertà" di K. Loach. Qualcuno si chiederà se l'ora tarda e lo stato
emotivo
abbiano influito su quanto detto. Indubbiamente.
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