Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 237
giugno 1997


Rivista Anarchica Online

"Anarco-capitalismo"? botta...

Cari amici di "A",

Vi scrivo nella duplice veste di antico lettore della vostra rivista (ricordo ancora gli articoli, per me tanto importanti, di storia del pensiero anarchico di "Mirko Roberti", pubblicati nel 1976), nonché di convinto anarco-capitalista. Mi spiace che dopo le incursioni dei miei complici Guglielmo Piombini e Carlo Lottieri, e dopo le risposte di Pietro Adamo, abbiate fatto cadere un dibattito, che appariva promettente.
Il fatto è che l'anarco-capitalismo è in realtà anarchia tout court, senza aggettivi, una volta stabilito che tutte le relazioni volontarie sono legittime, e che all'interno di un'ipotetica società anarco-capitalista non vi sarebbero modi di vita e di organizzazione sociale illegittimi, purché su base volontaria e consensuale. Per contro, è da tempo che nutro dubbi sul vostro anarchismo. Voi sostenete, in polemica con noi (scusate il "noi" e il "voi") che l'individuazione delle relazioni di dominio è operazione molto più sottile di quanto noi, che ci "limitiamo" a combattere la coercizione fisica, non riteniamo.
Senonché il fatto che voi non disponiate di un criterio di demarcazione altrettanto forte, fa sì che, in realtà, non disponiate di criterio alcuno, con conseguenti rischi di confusione e di sbandamento. E così, non solo non vi ho mai visto scrivere una parola contro la schiavitù della tassazione, ma addirittura leggo sovente sulla Rivista attacchi agli evasori fiscali ! In base a quale logica un anarchico dovrebbe preoccuparsi delle sorti della finanza pubblica ? Mistero.
Ciò detto, veniamo al punto: l'articolo di Filippo Trasatti su Walter Block, pubblicato su "A" n. 3/97 (Il lavoro nobilita il bambino). Sfido chiunque a leggere l'articolo senza sapere la rivista da cui è tratto, e capire che è stato scritto da un anarchico. Un articolo identico avremmo potuto trovarlo tranquillamente sull'Unità o sull'Espresso, ma anche su Famiglia Cristiana o sul Secolo d'Italia (o, se preferite, sul Diorama letterario di Tarchi). Vittime del senso comune? Anche l'uso dell'espressione cosiddetto "anarcocapitalista" riferito a Rothbard sembra appartenere a costumi che vi dovrebbero essere estranei. Ognuno si autodefinisce come vuole, altrimenti dovremmo parlare di un Marx "cosiddetto" comunista, di un Hitler "cosiddetto" nazionalsocialista e di un Malatesta "cosiddetto" anarchico. Com'è "detto" Trasatti? Non so. Andrò comunque per cenni.
a) Il mercato. A voi, e a Trasatti in particolare, la parola fa orrore e rivendicate sempre il vostro essere "fuori dal mercato". Forse minacciate con la violenza i vostri acquirenti, o essi sono liberi di comprare o no la rivista? Se sono liberi, questo è il "mercato", punto e basta. Vendere la rivista alle manifestazioni anarchiche è un atto di mercato della più bell'acqua, come lo è comprare un cilum alla fiera di Senigaglia. A meno che non confondiate "mercato" con "supermercato".
b) La privatizzazione. Trasatti ironizza sulla privatizzazione dell'aria, che a suo dire gli anarco-capitalisti sostengono. Ridicolizzare le tesi altrui è una tecnica della cattiva retorica nota da 2.500 anni. Mi limito a poche osservazioni. Ogni volta che respira, Trasatti privatizza l'aria che immette nei polmoni, in quanto la sottrae, suo malgrado, all'uso comune. Purtroppo per lui, gli uomini sono divisi fisicamente gli uni dagli altri, sicché possono soddisfare i propri bisogni solo privatizzando i beni di cui necessitano. In base ai principi libertarian, l'inquinamento dell'aria è una lesione dei diritti di proprietà altrui, anzitutto della proprietà del corpo. Se riflettesse su questi punti, il nostro autore troverebbe meno ridicolo lo spunto che lui stesso ci ha fornito.
c) Gli indifendibili. Non è chiaro dall'articolo che cosa pensi il suo autore dei vari indifendibili difesi da Block. Che dite dello "spacciatore" ? O del "falsario" ? Il problema è, come detto, che non disponete di alcun criterio di giudizio, che non sia il troppo vago solidarismo che sembra unirvi ormai a tutto l'arco costituzionale, da Bertinotti a Fini, passando per Bindi e Casini.
d) Il lavoro minorile. Trasatti sceglie la strada della facile indignazione, ma non risponde al punto fondamentale, sollevato da Rothbard prima che da Block: a che età un individuo diviene padrone di sè stesso. Rothbard e Block dicono: quando dimostra con i fatti tale autoproprietà. Che cosa può dire di diverso un anarchico coerente ? Che la maggiore età la fissa lo stato ? E le battaglie "contro la famiglia" (Stampa Alternativa), per il diritto di scappare di casa, dove sono finite ? Che poi il minore, una volta uscito di casa, vada a lavorare, vi fa problema ? Boh ! Lo sfruttamento minorile, invece, non c'entra nulla con il discorso di Block, se per "sfruttamento" intendete qualunque forma di riduzione in schiavitù. Insomma, anche qui pessima retorica: gli anarco-capitalisti ? Mangiano i bambini.
e) Block conservatore. Il colpo da maestro Trasatti lo sferra collegando arbitrariamente il discorso sul lavoro minorile alla postfazione, con la quale Block dichiara, a distanza di anni, di aver maturato posizioni da "conservatore morale". Cavoli di Block. Per il resto, egli conferma per intero le proprie posizioni libertarie; conferma che mai e poi mai invocherebbe la forza della coercizione per colpire prostitute e loro collaboratori, compravenditori di sostanze psicotrope, vecchi bisbetici che non vogliono farsi espropriare la casa per assegnarla a grande imprese (da noi: a cooperative edilizie), e così via. Non vi basta ? Ancora boh !
Con affetto

Fabio Massimo Nicosia
Presidente dell'Associazione di Cultura Libertaria Murray N. Rothbard
(Milano)

".... e risposta"

Caro Nicosia,
ciascuno, dice giustamente, si sceglie la propria etichetta e non è giusto utilizzare un'espressione come "cosiddetti" per mettere in dubbio o screditare un'identità.
Touché. Le si potrebbe rispondere che fa la stessa cosa ponendo in corsivo il "nostro" anarchismo. In realtà il "noi" e il "voi" tra virgolette andranno benissimo come criteri di demarcazione seppur rozzi, anche se qui parlo esclusivamente a nome personale per quanto mi compete.
La gamma di opzioni disponibili è in effetti piuttosto ampia: si dicono anarchici sia quelli che proclamano "le tasse sono un furto", sia quelli che preferiscono ribadire che "la proprietà è un furto". Questioni di scelte che però non sono certo indifferenti. Etichette a parte, a me sembra che talvolta, pur usando le stesse parole, si stia parlando di due cose completamente diverse. Non credo che si voglia giocare con il senso delle parole, ma allora mi chiedo come mai, da dove venga tanta difficolatà di discriminazione tra cose cosç diverse. Lei ci accusa di non avere criteri forti di demarcazione, ma ho forti dubbi sul suo di criterio se davvero non riesce a distinguere tra la fiera autogestita in cui si vende "A" e il mercato finanziario internazionale; oppure tra la privatizzazione di una cosa prodotta e la "privatizzazione" di qualcosa che non è, né potrebbe, né dovrebbe essere di nessuna persona, perché appartiene a tutti, come il cielo, il mare, l'aria.
Era la stessa indistinzione che criticavo in Block e che gli permetteva di mettere sullo stesso piano i diversi personaggi, semplicemente sulla base della loro esclusione dalla società, delle proibizioni a cui venivano sottoposti.
Questa equiparazione è sostenuta dal principio di indifferenza del mercato e degli scambi. Non importa ciò che si fa e in che contesto: tutte le relazioni umane possono essere descritte in termini di scambi sul mercato (Block, p.7).
E' proprio questo dominio dell'economico, questa sua pervasività che va seguita e criticata; questo "orrore economico" che vive e si riproduce nella pura indifferenza è per me, e credo per molti in questa rivista, uno dei principi fondamentali d'inquietudine che motivano la ricerca, l'attività, la rivolta.
Lo scopo centrale del mio pezzo, che evidentemente non è apparso del tutto chiaro, non era tanto mettere in ridicolo Block, che in realtà consiglio come ottima palestra per argomentazioni e confutazioni( e che continuo a trovare disgustoso e intelligente insieme), quanto mettere in discussione una connessione che a mio parere non è affatto arbitraria (come lei pensa), ma sostanziale: il presunto amoralismo del mercato (non quello della fiera autogestita di Pietrasanta, sia ben chiaro) ha implicita una morale dei forti che può poi essere declinata in modo diverso, per esempio in senso antiproibizionista libertario o moralista conservatore. In Block, versione prima e seconda, trovavo riuniti alla perfezione i due aspetti all'apparenza contrapposti e ho cercato di metterli in luce.
Queste molteplici versioni, ma qui il discorso si fa ampio, si basano dal punto di vista teorico su alcuni vostri postulati libertari, e sul vostro individualismo metodologico che io non condivido affatto.
Riprendiamo il caso per me importantissimo del bambino e della sua libertà.
La regola individualistica, alla von Mises, prescrive di mettere tra parentesi quelle entità collettive come "classe", "popolo", direi anche "anarchia", e di riferirsi agli individui come unico vero fondamento dell'azione sociale: "la società non esiste che nelle azioni degli individui". Questo "individuo" è una costruzione sociale e culturale al pari delle sunnominate entità e, nella vostra versione, si caratterizza come individuo oeconomicus. Il che però crea qualche difficoltà con il bambino che non lo è ancora, o almeno non prevalentemente. Allora quando un bambino diventa individuo adulto, cioè soggetto libero di scambiare, qualunque cosa purché non violenza e su base volontaria, e dunque individuo oeconomicus tout court? La risposta di Rothbard, che Block riprende, è: quando è in grado di lavorare e di mantenersi da solo. La metafora utilizzata è appropriata: diviene "padrone" di se stesso, fa qualcosa per affermare la "proprietà" di se stesso. Che cosa si può dire di diverso? Tantissime cose che posso condividere in diversa misura. Che il bambino è libero quando è in grado di dire "no" e di sostenerlo con la ragione e con i fatti. Oppure quando diventa maturo sessualmente ed è in grado di riprodursi. Oppure quando va nella casa comune dei kibbutz e comincia sì a lavorare, ma senza dover essere sfruttato secondo le "leggi del mercato". Oppure quando stabilisce una relazione consensuale affettiva con un maggiore che non sia suo genitore ecc. ad libitum.
Chi dice che i bambini non debbano lavorare? Non certo gli anarchici che negli esperimenti pedagogici hanno spesso puntato sull'educazione integrale, di tutte le facoltà, sull'esercizio di molteplici lavori in laboratori autogestiti.
Ma qui sta il punto e la differenza nel mio e nel vostro modo di vedere: a voi basta che l'individuo lavori per dichiararlo libero, a me no. A voi basta che il bambino se ne vada di casa e trovi un impiego per dichiararlo uguale all'adulto, a me no. A voi basta che l'individuo dica sì per dichiaralo libero, a me no. Io vorrei che la bambina indonesiana invece di cucire scarpe Nike per un dollaro al giorno, facesse altro per essere libera.
Il mio anarchismo (sempre permanentemente in crisi, nel senso letterale della parola) si nutre della possibilità di dire sì e no, di autodeterminazione e di rivolta, di mutuo appoggio e di egualitarismo, di storia e di lotte collettive, di speranza e dolore. In questo cammino travagliato incontro altri che anarchici non sono, che sento assai più vicini di voi. Lo so, sono "ecumenico" più di quanto molti compagni potrebbero mai accettare. Ma non riesco proprio a tollerare quelli predicano la libertà, in un mondo orribile, affacciandosi a parlare dal balcone del loro castello.
Un saluto,

Filippo Trasatti