Rivista Anarchica Online
Nato per morire
di Maria Matteo
Non vi è nulla di indecoroso nel donare gli organi di un morto, ma...
La vicenda è nota: a Torino nasce un bambino privo di cervello cui i medici
non attribuiscono alcuna possibilità
di sopravvivenza. La notizia che i genitori, pur consapevoli della grave malformazione del feto, avessero deciso
di far nascere ugualmente il bambino, non avrebbe certo avuto gli onori delle cronache né avrebbe
scatenato un
gran dibattito se non si fosse altresì appresa la loro intenzione di donare gli organi del
figlio. L'opinione pubblica si è immediatamente divisa tra chi riteneva giusta la decisione,
perché dava una speranza di
vita ad un altro bambino e chi, invece, riteneva crudele far nascere un figlio al solo scopo di donarne gli organi.
In ogni caso i genitori di Gabriele, il bambino anencefalico, hanno chiarito che la loro è stata una scelta
obbligata,
perché la religione cattolica di cui sono seguaci vieta il ricorso all'aborto. Non mi è facile
entrare nel merito di scelte che, da qualunque punto di vista le si esamini, risultano sempre
difficili e dolorose, tuttavia, pur nel doveroso sentimento di umana pietà che certi fatti non possono
mancare di
suscitare, è tuttavia doveroso fare alcune considerazioni. Credo che tutti sappiano che le nostre
decisioni difficilmente si configurano come scelte tra il bianco ed il nero,
tra quel che è giusto e quello che non lo è: il più delle volte il quadro che ci si disegna
innanzi presenta varie
nuances di grigio e spesso vaste zone d'ombra. Se è talora arduo districarsi tra i grigi, ancor più
complesso è
affrontare le zone d'ombra, ossia scegliere quando i termini della scelta non sono chiari. Quel che entra in gioco
è non di rado una nozione che pone più problemi di quanti non ne risolva: mi riferisco all'idea
di limite, un'idea
che assume in sé sia una valenza temporale, sia fisica, sia morale. La breve vicenda umana del
piccolo Gabriele si condensa all'interno di due diverse concezioni di limite. In primo
luogo la sua stessa nascita: i genitori, da buoni cattolici ritengono che una vita inizi con il concepimento e quindi
anche breve o vissuta in condizioni di gravissimo disagio non possa essere distrutta. Non mi pare in questa sede
necessario sottolineare come una tale concezione, per quanto ammantata da motivazioni umanistiche, possa
frequentemente risultare foriera di scelte dalle conseguenze atroci. Un anencefalico ha spesso una vita breve e
assai dura, una vita che occorre chiedersi se valga la pena d'esser vissuta. Abbiamo qui introdotto una diversa idea
di limite: quella per la quale non si nega il valore della vita ma lo si inserisce in una differente cornice culturale.
In base ad essa la procreazione non si riduce ad un mero far nascere ma assume anche la responsabilità
di fare il
possibile perché la nuova vita che si pone in essere sia degna d'esser vissuta. Se tuttavia la storia di
Gabriele fosse
racchiusa in quest'arco di considerazioni non vi sarebbe nulla di nuovo od eclatante: quel che le ha conferito il
crisma dell'eccezionalità è stato apprendere che era stato fatto nascere, sebbene privo di cervello,
per donare i suoi
organi. Personalmente non trovo in ciò nulla di scandaloso o d'eroico: se osservata con distacco la scelta
appare
in tutto razionale, improntata ad un non insano buon senso. Nondimeno proprio su questo punto si sono scatenate
appassionate discussioni.
Stridente contraddizione Mi permetterò per il momento di prescindere
dal fatto che ciò abbia suscitato lo scandalo delle associazioni che
si oppongono alla pratica dell'espianto, limitandomi a sottolineare come quel che ha colpito non sia stata tanto
la dinamica dei fatti quanto l'intenzionalità che vi era sottesa. Mi spiego: se avessimo appreso che i
genitori di
Gabriele avevano deciso di donarne gli organi dopo la sua morte, la notizia non avrebbe superato le dimensioni
del trafiletto nella cronaca cittadina, quel che l'ha resa eclatante è stato che i genitori avessero deciso la
donazione
prima della sua nascita. Può sembrare una mera questione di sfumature ma in realtà c'è
di più: c'è il fatto che
Gabriele sia stato fatto nascere solo perché doveva morire. Certo è possibile che nella costruzione
della notizia
sia intervenuta qualche forzatura giornalistica, tuttavia è indubbio che il nascere per la morte del loro
figlio fosse
del tutto evidente per i genitori. Il senso della sua vita si è quindi racchiuso tutto nella sua morte. Ci
troviamo
quindi di fronte ad una stridente contraddizione: un feto non viene abortito perché la vita è un
valore in sé ma il
bambino che nasce vale solo perché morendo potrà far vivere altri. Difficile non evocare la
potente metafora
cristiana dell'agnello sacrificale, di Gesù che nasce per morire e muore per far nascere, difficile, almeno
per me,
non avvertire un forte disagio. So bene che un'etica della responsabilità non può che considerare
positivo l'esito
dell'intera vicenda, tuttavia non posso esimermi dal pensare di trovarmi di fronte ad una scelta giusta pensata in
modo sbagliato. Gabriele, neonato senza cervello, senza coscienza, privo di tutto quel che fa un essere umano se
non la forma esteriore, aveva tuttavia diritto come ogni altro essere umano alla speranza, ad un futuro che, per
quanto breve, fosse suo, magari solo nello spazio di un vagito o di una fugace carezza. Non vi è nulla di
indecoroso nel donare gli organi di un morto ma è indecente considerare un vivo alla stregua di una banca
d'organi.
Anarchismo ed etica La vicenda di Gabriele evidenzia alcuni nodi problematici
importanti ed in primo luogo il fatto che il latente
contrasto tra etica della convinzione ed etica della responsabilità dia luogo ad un'irrisolta tensione
all'interno della
quale si staglia l'orizzonte problematico d'un approccio libertario all'etica. L'etica della convinzione si costituisce
intorno ad un nucleo assiologico forte, tanto più forte in un'ottica laica in quanto fondato su null'altro che
la scelta
di chi lo pone in essere in quanto tale. Per tale etica quel che conta è la coerenza del nostro agire con i
princìpi
cui si ispira. L'etica della responsabilità si preoccupa di stabilire che non solo i nostri atti siano conformi
ai valori
cui pretendono di ispirarsi ma che il nostro agire non finisca anche involontariamente col produrre effetti negativi.
Chi agisce immette nella propria azione un duplice contenuto, poiché da un lato pone in essere dei valori,
dall'altro produce degli effetti che non necessariamente corrispondono alle intenzioni. Entra in ballo quindi non
solo la necessità della coerenza tra mezzi e fini ma anche la valutazione degli effetti della propria azione
nel
processo decisionale che precede ogni scelta. Ogni agire è al contempo pregno di senso e foriero di
conseguenze. La produzione di significati non è meno
rilevante dei risultati raggiunti. Per questo motivo assume rilievo il fatto che la scelta di donare gli organi di
Gabriele sia stata compiuta prima della sua nascita e non dopo la sua morte. L'effetto è il medesimo ma
profondamente differente è il senso. Morire è destino comune ma nessuno vive per morire come
un pollo in
batteria, per ciascuno il senso della propria vita appartiene alla vita stessa, a quello che, in libertà, riesce
a farne. Non mi dispiace che gli organi di Gabriele siano stati espiantati dopo la sua morte ma mi addolora
che la sua vita,
per quanto minima, per quanto priva di coscienza, sia stata mutilata della sua dignità.
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