Rivista Anarchica Online
Una politica col cuore?
di Hakim Bey
Nella prefazione all'edizione italiana di "Millennium" - che qui riproduciamo - Bey spiega l'evoluzione
del suo pensiero
Questo libro usa la parola "rivoluzione", ma io per primo resto tuttora spaventato
dal termine. La
rivoluzione implica una strategia, al contrario dell'"insurrezione" o della "rivolta", concetti che
implicano l'esistenza di una tattica. A sua volta, la strategia comporta ideologia, unificazione, catena
di comando - una totalità che attraversa tutto il processo e che per la sua stessa struttura può
sfociare
nell'oppressione; le tattiche, al contrario, possono sfuggire a questo esito perché sono situazionali,
flessibili nella risposta, fluide, temporanee, spinte da desideri empirici (questo momento, questo
territorio) piuttosto che da imperativi categorici. E' possibile immaginare una rivoluzione senza la
burocratizzazione dell'interpretazione, una rivoluzione di emergenze organiche invece che una tirannia
del puro? Questo libro nasce dall'esperienza del dolore, legato ad eventi accaduti negli ultimi cinque o sei
anni,
eventi apparsi attraverso i segnali della cessazione e della scomparsa. Il soffocamento del movimento
e del "movimento", l'implosione della storia nella stasi del Capitale - questo è stato il fondale di quel
dolore. Il primo piano resta diverso per ciascuno di noi. Ma anche coloro che tra noi vivono sulla
schiena della bestia (piuttosto che nel suo ventre, o sotto i suoi artigli) possono testimoniare tutta una
serie di perdite empiriche. La sessualità, per esempio, ha iniziato rapidamente a scomparire "nella
rappresentazione", lontano dalla
"vita quotidiana". Il neopuritanesimo è comparso anche nei ranghi schiantati del "movimento", gli ideali
della liberazione sessuale sono stati tacitamente abbandonati, la sensualità è svanita nella
pubblicità con
una rapidità che avrebbe lasciati attoniti anche Foucault o Benjamin. Una scomparsa generale che
è
avvenuta all'interno dei media - dentro Internet, per esempio, che si è rivelata essere nient'altro che
l'ennesima seducente versione dello schermo (quando sento la parola "interattività" adesso, la mano mi
corre alla pistola) - nei cd, cd-rom, seicento canali tv, videocamere, "multimedia". "Nei paesi in cui la
prostituzione è proibita, ogni casa diventa bordello". Il dolore di queste assenze avrebbe potuto
esprimersi con rabbia - anche nel desiderio di "un po' di
vendetta" (come scrive da qualche parte Nietzsche), ma invece si è mascherata nell'apatia e nella noia.
(Qui parlo di ciò che ho visto con i miei occhi; il vostro punto di osservazione non è
necessariamente
uguale al mio). Un blocco, l'accidia - un dolore sordo, un dolore provocato dal vuoto piuttosto che dalla
violenza e dal tradimento - non il dolore della Bosnia, per esempio, ma a modo suo, ugualmente reale
a sufficienza. Nel tentativo di esplodere nella rabbia (rabbia come minimo!) questo libro è forse un atto
di disperazione. Quale potrebbe essere il destino della "zona temporaneamente autonoma" nel nuovo mondo
del
"pancapitalismo"? Da un lato, la TAZ deve restare tattica valida - perché la TAZ è "naturale"
(come
la forma del corpo) e semplicemente continuerà ad accadere, a dispetto di tutto. Dall'altro, però,
anche
questo movimento naturale viene minacciato dall'accelerazione della stasi, dall'implosione delle "merci"
nell'Immagine globale. L'"umano" stesso è minacciato dalla sussunzione aziendale multinazionale della
biosfera. La TAZ (e tutte le altre tattiche degli anni Ottanta) devono essere riteorizzate,
ricontestualizzate; le politiche del "desiderio e del piacere" costituiscono il fenomeno che dev'essere
"salvato" da una simile operazione - una disperata azione di retroguardia, forse, ma nondimeno una
necessità tattica. Il presente testo attraversa rapidamente tutte quelle tattiche degli anni Ottanta che
appaiono ancora
valide, per rifare (o almeno ripensare) quelle che hanno fallito o sono addirittura scomparse. L'apparente
collasso generalizzato nella numisfera (l'atmosfera virtuale del puro scambio) richiede una certa
"riscoperta della politica" - non verso la presa del potere, ma semplicemente in difesa della vita e
dell'immaginazione. Coloro che hanno criticato Zone temporaneamente autonome come "forme di fuga"
potrebbero
apprezzare questo nuovo libro per delle ragioni sbagliate. Hakim Bey, diranno, ha "riscoperto la
politica" e ha abbandonato l'"edonismo egoistico" degli anni Ottanta. Nel mentre, coloro che avevano
accolto la TAZ come sorta di "soluzione definitiva" potrebbero rifiutare quest'opera per ragioni
sbagliate, pensando, o sentendo che Hakim Bey stia cercando di tradirli verso l'ideologia. Ammetto che
la mia stessa ambivalenza si aggiunge al problema di tali errati timori. Questo libro è stato concepito
come esperimento, come base di discussione, non come dichiarazione finale su alcunché. Il significato
di un libro può certamente sfuggire al proprio autore, ma nella misura in cui posso interpretare il mio
stesso lavoro, lo vedo come continuazione della teoria della TAZ, non come il suo
abbandono.
Meccanismo più efficiente Se negli Stati
Uniti c'è troppo poca politica (se non addirittura zero), forse potremmo dire che in Italia
ce ne sia troppa. Nella mia breve visita sono rimasto profondamente impressionato dal mondo
alternativo delle case occupate e dei centri sociali - ma anche allarmato dalla minaccia più ovvia al loro
futuro, che potrebbe essere definita come "tolleranza repressiva". Ho udito quest'espressione per la
prima volta qualche anno fa in Olanda, dove il governo è riuscito a disinnescare il movimento delle
occupazioni legalizzandole e addirittura sovvenzionandole. Negli Stati Uniti chiamiamo questo processo
"volontarismo" (il nuovo slogan dei clintonisti), significa
che i privati cittadini devono prendere in mano le redini allentate del controllo sociale. Gli stati-nazione
stanno privatizzando la "sfera pubblica" e le ONG rappresentano il futuro dell'oppressione sociale.
L'"umanitarismo e la filantropia" devono adesso diventare responsabilità del "volontariato" - i buoni
che lavoreranno gratis - anche nelle case occupate e nei centri sociali che ospitano e curano
tossicodipendenti e disadattati. I regimi "socialdemocratici" dal volto umano che stanno arrivando al
potere in Europa costituiscono semplicemente il meccanismo più efficiente per l'implementazione del
globalismo e dell'ordine del giorno "neoliberista". Come risponderanno i centri sociali a questo volto
sorridente, alla manciata di denaro profferta? E' una questione politica. L'Italia deve affrontare anche il
problema del regionalismo. La secessione potrebbe rappresentare una
tattica praticabile per contrastare il globalismo, ma chiaramente la destra radicale ha compreso questa
possibilità prima e più rapidamente dei resti della sinistra. In Millennium ho
immaginato la possibilità
di una particolarità antiegemonica, una "differenza rivoluzionaria" che rimarrebbe radicalmente aperta
a ogni altra diversità - base possibile per una specie di anarco-federalismo. In Italia ho scoperto che
queste idee erano state pensate contemporaneamente da un gruppo di radicali gravitanti attorno a "Radio
Sherwood" di Padova e che già stavano lavorando a questo tipo di esperimento che definisco come
"zapatismo urbano". Tutto questo è già sfociato in azioni militanti e non posso contenere al mia
simpatia verso questo nuovo inizio."Politica"? Sì, senza dubbio...ma almeno qualcosa si muove. Il
vecchio anarchismo, il nuovo anarchismo; il vecchio comunismo, il nuovo comunismo; fordismo e
postfordismo; il tentativo continuato di riciclare varie posizioni avanguardiste, anche a prezzo di una
"trasgressione negativa" che rischia di collassare nell'abisso dell'antiumano - questi sono tutti problemi
politici, ma non appartengono solo all'Italia. Forse questo paese rappresenta un "terreno di prova" per
la nuova realtà? Ho imparato moltissimo in Italia - e una delle cose che ho appreso è che la
politica
stessa resta il più doloroso dei problemi. I sufi amano descrivere il loro percorso come "una strada
col cuore". E' possibile per noi considerare
l'emergere (o almen la massimalizzazione del potenziale per questo apparire) di una "politica del
cuore"? Potrebbe esistere una cosa simile? Possiamo parlare nuovamente di emozione de
d'immaginazione? Esiste un'"etica" che possa essere sentita e immaginata? Davvero non so. Ma mi
sembra che valga la pena pensarci sopra. Una politica del cuore... Credo di poter immaginare alcune possibili
parti di questo progetto. Rigetta la purezza e abbraccia
l'impurità, offre una critica dell'Immagine come difesa dell'Immaginazione, è pronta a
riappropriarsi del
potere dell'immaginario dalla bancarotta della reazione romantica, si oppone alla tirannia della
mediazione con le tattiche del non visto e si contrappone all'oppressione della scomparsa con la forza
della presenza. Alcuni di questi temi sono qui sviluppati. Altri dovranno attendere i prossimi libri. Al
livello più basilare, possiamo già discernere almeno due lineamentipositivi di questa "politica
del
cuore": il primo, l'opposizione serrata all'infelicità, e il secondo, l'azione in favore delle "libertà
empiriche". La storia stessa chiarirà queste forme. L'unica cosa che so per certa è che un
progetto simile può solo iniziare dal punto dove ci si trova al
momento. Questo significa far politica con amici. In Italia, per me, questo significa soprattutto quegli
amici che hanno resa possibile l'edizione di questo libro - ed è a loro che dedico questa prefazione. Il
libro stesso resta...un invito.
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