Rivista Anarchica Online
Indietro tutta! Parola di Bey
di Pietro Adamo
Alla ricerca di nuove strategie di "sopravvivenza", nel recente Millennium.
Dalle TAZ alla rivoluzione
(Shake 1997) Hakim Bey ha proposto - nella sua usuale vena provocatrice e consapevolmente
eterodossa - di elaborare nuove teorie del "nazionalismo" e della "religione", valori non usualmente
associati all'ethos libertario. Qui - come in altri luoghi altrettanto eccentrici nell'immaginario
antagonista - è forse possibile trovare nuovi strumenti, nuove motivazioni e nuova linfa per
un'"opposizione" necessariamente diversa dal passato. Il Bey si dichiara apertamente perplesso di fronte
alla situazione: se in precedenza era stato possibile concepire l'esperienza della TAZ come momento
di rivolta e di affermazione esistenziale in un panorama variegato e "poroso", il crollo del muro di
Berlino e del comunismo reale ha consegnato il mondo nella sua interezza al paradigma
"pancapitalista", che afferma in primo luogo la propria unicità e generalità. In altre parole, la
vittoria
del modello del capitale globale ha ristretto gli spazi di manovra delle culture alternative: non possiamo
più accontentarci di proclamare la vittoria momentanea dell'"io" attivo, e di eleggere a nostra tattica la
ripetizione indefinita di questo peculiare momento, dobbiamo invece prepararci a combattere per
"posizioni strategiche di vita o di morte (p. 49). Da qui il ritorno alla Rivoluzione (con la maiuscola):
il Bey rispolvera il concetto condendolo con gli usuali materiali del suo trademark (dal sufismo a
Bachtin, passando per il millenarismo e l'antropologia clastresiana), finendo con il riproporre una
nozione di impegno volutamente vaga, ma chiaramente risituata (rispetto a TAZ) in una differente zona
dell'immaginario. Laddove "l'oppressione assume la forma simultanea e addirittura paradossale
dell'unicità e della "separatezza", scrive, non resta che il ricorso a "differenza e presenza" (p. 46),
intendendo una "presenza" anche "politica". Nel libro si intravede una peculiare sequenza logica: dalla
necessità della Rivoluzione - data dalle nuove condizioni del Capitale (anche questo con la maiuscola)
- a quella dell'impegno "politico" (inteso come "presenza" contrapposta alla "tattica della scomparsa"
della TAZ), per giungere a nuove forme di "lotta". Il modello generale è quello degli zapatisti, mentre,
per quanto riguarda l'Occidente, mi pare che il nostro guardi a quella zona d'ombra tra le organizzazioni
"che lavorano alla luce del sole in favore di scopi de facto rivoluzionari" e il cosiddetto "illegalismo"
(p. 49). Ciò che resta da fare, e questo potrebbe essere il compito di una TAZ trasformata in "zona
permanentemente autonoma", sarebbe unire questa galassia di gruppi in nome di un nuovo "mito
organizzativo", una nuova "propaganda", una nuova "coscienza rivoluzionaria trasformativa capace di
trascendere la separatezza in quanto istituzionalizzazione riformista e sclerosi ideologica" (p. 49).
E'possibile realizzare quest'unione senza ricadere nella gerarchia e nel verticalismo tipici di tutto ciò
che è implicito nel concetto di rivoluzione? Il Bey di TAZ aveva chiaramente affermato che tra la
"rivoluzione" in senso classico e l'ethos libertario esisteva uno scarto incolmabile; quello di Millennium
pare avere dubbi maggiori. Non casualmente, sin dall'introduzione all'edizione italiana (qui riprodotta)
l'autore presenta una serie
di cautele. Ma il dilemma - del libro - e i dubbi - nostri - restano. E si presentano anche in un altro
modo, oltre a quello sopra illustrato. L'intera impresa di Millennium poggia su un presupposto
continuamente reiterato: "Abbiamo esposto le ragioni per credere che il crollo del comunismo implichi
il trionfo del suo solo oppositore, il capitalismo; che secondo la propaganda globale neoliberista esiste
un solo mondo adesso; [...] A queste condizioni, tutto ciò che un tempo costituiva una terza
possibilità
(neutralità, desistenza, controcultura, il "terzo mondo", ecc.) deve adesso collocarsi in una nuova
situazione. Non c'è più alcun 'secondo', come può esserci un 'terzo'? Le 'alternative' si
sono
catastroficamente ristrette. Il Mondo Unico si trova adesso nella posizione di schiacciare tutto ciò che
un tempo sfuggiva al sua abbraccio estatico; grazie alla sfortunata distrazione di una guerra
essenzialmente economica contro l'impero del male. Non c'è una terza via, non esiste più
né/né" (p. 67).
E quindi la locuzione "né capitalista, né comunista" non ha più senso. Ma quando mai,
vorremmo
chiedere a Bey, lo ha avuto? Non credo siano in tanti gli anarchici a considerarsi una "terza forza" tra
capitalismo e comunismo. Al contrario, il nucleo stesso della critica anarchica al mondo tardoindustriale
si fonda sul riconoscimento dell'identità di fondo tra mondo occidentale e comunismo reale, entrambi
- sia pure con ovvie e notevoli differenze - fondati su strutture antiegualitarie e antilibertarie (che nel
secondo caso giungono sino al totalitarismo). Ed era proprio questo l'assunto di fondo della "zona
temporaneamente autonoma": il progetto di esistenza/resistenza/desistenza esposto in TAZ si
confrontava con il mondo globalizzato dell'informazione mediale, dell'irregimentazione/soddisfazione
dei bisogni e dei desideri, della mercificazione dell'utopia, proponendo un modello di
sollevazione/rivolta che conferiva uno specifico senso esistenziale all'azione antagonista senza
precipitarla nel baratro dell'impegno tradizionale della veterosinistra (ammesso che di sinistra ce ne sia
qualche altro tipo). Il Bey non sembra aver sopportato bene gli ultimi anni del trionfo della retorica
neoliberista; come uno dei tanti comunisti invecchiati male - e non è questione d'età - della
vecchia
Europa, non ne scorge la "porosità" (tanto maggiore che in passato) e sembra incapace di decodificarne
le capacità (auto)mitogenetiche, quasi prendendo sul serio sia le allucinazioni sulla Grande Teoria
Unificata sia quelle sul Pensiero Unico. In Millennium pare mancare proprio ciò che
emergeva con tanta
forza dal calderone di TAZ: la fiducia nella variegata azione dei libertari, nella sua struttura composita,
flessibile e propagandistica, che non avesse come controparte un mondo da salvare, da cambiare
radicalmente seguendo un qualche progetto resistenziale definito, ma un mondo da manovrare, adattare,
plasmare, qui e là, prima, durante e dopo, seguendo la logica (e il capriccio) della creatività e della
consapevolezza (anti/post)rivoluzionaria.
|