Rivista Anarchica Online
I conti con Camilla
di Emanuela Scuccato
Una giornalista tra impegno civile e tensione etica. Ricordo di Camilla Cederna
Detesto le commemorazioni ufficiali. Mi disgusta quel tirarsi i morti vicino,
afferrandoli per la manica della
giacchetta. Quel trasformarli in cammei da esibire al mignolo della propria identità politica. O culturale.
O chissà
cos'altro. Ma ho detestato ancor più il comportamento di Massimo De Carolis - democristiano negli anni
'70 e
'80, forzitaliota oggi - quando lo scorso novembre, a Milano, ha ingaggiato la sua battaglia personale per impedire
che il consiglio comunale, da lui presieduto, ricordasse in aula, all'indomani della morte, la giornalista e scrittrice
Camilla Cederna. L'ho detestato perché si è trattato di un gesto arrogante. Un gesto meschino.
Un gesto vile. Come commentare, inoltre, la proposta di istituire un premio alla memoria della giornalista
scomparsa, da
bilanciare "con lo stesso premio a una presunta 'parte avversa'", per esempio Gemma Capra, la vedova del
commissario Calabresi? Se fosse stata ancora in vita, Camilla Cederna ne avrebbe certo tratto uno dei suoi
impareggiabili pezzi: leggiadro
e spietato. La trama di un tale capolavoro di idiozia sarebbe stata messa in luce dalla giornalista milanese con
garbo. Anzi,
con garbata pignoleria. "Io ho sempre avuto una grande mania della notizia, anche delle informazioni minute,
che tutte insieme
restituiscono, come dire? L'aria di un tempo", mi disse Camilla Cederna quando la incontrai per una intervista
radiofonica nel 1986. L'aria di un tempo... Dame ed anarchici, "lati deboli" e carriere di presidenti. Nuovi
ricchi. Nuove mafie. "... Puoi descrivere queste persone come un entomologo descrive le formiche, quasi
catalogando dei
comportamenti, dei linguaggi, delle forme, delle abitudini, dei particolari". Quando la vidi per la prima volta,
Camilla Cederna stava scrivendo a penna su un quadernone, assisa in mezzo
a una piccola corte che si spendeva a fornirle notizie, informazioni, pettegolezzi per quel reportage su Vigevano
che era venuta a fare. Mi colpirono gli occhi. Vivissimi. Vigili. E, mi sembrò, canzonatori. "...
un'altra dote che bisogna avere per essere osservatrici di costume è, oltre all'ironia naturalmente, anche
una
certa autoironia, la capacità di sapersi prendere in giro da sé per non fare delle cose troppo
pensose o troppo...
profonde", mi disse ancora. Ironia ed autoironia... Cose troppo pensose o troppo profonde... Era questa
la stessa "signora del giornalismo" che aveva scritto Pinelli. Una finestra sulla strage (1971),
Sparare
a vista. Come la polizia del regime Dc mantiene l'ordine pubblico (1975), Giovanni Leone. La
carriera di un
presidente (1978)? Era questa la stessa "signora del giornalismo" che per avere non solo pensato, ma
anche scritto, quello che erano
in molti a sapere, si era venuta a trovare in un mare di guai? "... Ma arriva il '68. Arriva Piazza Fontana,
Camilla cui piace tanto piacere, non compiace più nessuno e accetta
d'essere impopolare. Perde molti amici borghesi, è dileggiata, minacciata, processata." (Silvana
Ottieri). "Lei ci rimise tutti i gioielli di famiglia, perché chi le aveva garantito che una certa
informazione era esatta e
documentabile, non si presentò a testimoniare a suo favore nel processo per calunnia intentatole dai
Leone."
(Adele Cambria) Sì, questa signora ancora molto affascinante che avevo davanti era proprio quella
"signora del giornalismo" che
aveva avuto il coraggio nell'Italia democristiana, omertosa, degli anni Settanta, di far scoppiare qualche
bubbone. "Mezzanotte è passata da poco, ma è difficile dormire dopo una giornata come
quella del 15 dicembre 1969, dopo
il funerale delle vittime della Banca dell'Agricoltura. Come se tutta quell'angoscia fosse entrata nelle ossa insieme
a una nebbia mai vista che rendeva bassissimo il cielo e nero il mezzogiorno". Comincia così il suo
libro-inchiesta sui fatti di Piazza Fontana, comincia dall'angoscia che Camilla Cederna non
riesce a scrollarsi di dosso, che le impedisce di dormire. "Il tuo Pinelli è un libro pieno di furore e
di pietà, in cui a un mondo di corrotti e corruttori se ne contrappone un
altro, di vittime che ancora oggi aspettano giustizia [...]. Vengono in mente dei versi di Heine: '... Ogni tanto si
sente uno scoppio. Sarà una fucilata? Forse è un amico che hanno abbattuto.'", scrive Grazia
Cherchi ne Il mondo
di Camilla. Ma la preoccupazione per quel che stava succedendo nella vita politica italiana, quell'ormai
quotidiana escalation
della tensione, l'angoscia, risalivano già a qualche tempo addietro. "La mia prima firma la deposi su
un foglio volante in una giornata ventosa di settembre [del 1969 n.d.r.], a
Milano, quando durante uno sciopero della fame di alcuni anarchici che protestavano per l'ingiusta carcerazione
dei loro compagni (il gran gioco non era ancora cominciato), vidi abbattersi ad ondate successive contro di loro
gruppetti dei più noti e muscolosi funzionari della questura d'allora". E di quei "più noti e
muscolosi funzionari della questura d'allora", Camilla Cederna faceva poi anche i nomi e
i cognomi: "... erano cinque uomini fra cui i commissari Pagnozzi e Zagari, il vicequestore Luigi Vittoria, e il
più
ginnasticato ed elastico di tutti, precisamente il bruno Calabresi, dal ciuffo denso e il colletto dolcevita."
"Forse era un'ingenuità credere che nei palazzi del potere si desse ascolto alle proteste dei cittadini
[...].", scriveva
ancora la giornalista. "Invece in quegli anni s'è visto come lo stare in trincea dei firmatari cronici
abbia avuto la sua efficacia (vedi
Valpreda, processo Pinelli, appello per la ricusazione del giudice Biotti)". A ventotto anni dalla strage di
Piazza Fontana, la sera dell'11 dicembre 1997, il signor Giuliano Ferrara chiariva
finalmente dagli schermi televisivi che responsabile di quella carneficina fu lo Stato. "Lo Stato fa delle stragi
perché ha una logica diversa, un'etica diversa da quella vostra, persone normali. Lo Stato
ha semplicemente un'altra morale". Questo il senso di quella trasmissione televisiva, lapidariamente sintetizzato
da Luciano Lanza, autore di Bombe e segreti - Piazza Fontana 1969, in occasione della
presentazione, il 12
dicembre scorso all'Iperspazio di Milano, del dossier di "A rivista anarchica" su quei tragici eventi. Camilla
Cederna non c'era già più quando il signor Giuliano Ferrara tirava fuori qualche scheletro
dall'armadio
italiano e si prodigava a dar conto della Verità. Naturalmente di Stato.
Quella frase di Balzac Ma restano le sue pagine, di ben altro spessore morale
rispetto a quest'odierna messinscena televisiva. Scriveva nel '71 la giornalista milanese: "Pinelli è
infine un simbolo che va al di là del suo tremendo destino. 'La
prova che la giustizia non è uguale per tutti: da una parte lo stato coi suoi baluardi da difendere, dall'altra
un
cittadino senza diritti [...]. I baluardi dello stato non si toccano, la magistratura non si discute [...], la polizia
è al
di sopra di ogni sospetto, va coperta, va giustificata...". L'avvocato Luca Boneschi, il difensore degli anarchici
incarcerati per le bombe dell'aprile '69, ha affermato che
"la verità giudiziaria sulla morte di Pinelli oggi non mi interessa più [...]. Era chiaro allora ed
è chiaro ora che la
pista anarchica è stata un'invenzione che serviva a coprire la pista nera e i servizi segreti". Credo che
se fosse ancora viva Camilla Cederna condividerebbe l'amarezza che l'avvocato Luca Boneschi, suo
amico e prezioso collaboratore, ha palesato nel corso del suo intervento all'Iperspazio di
Milano. "L'importante è capire il senso della storia e trarne degli insegnamenti [...]. Valpreda ha fatto
tre anni di carcere
preventivo, di cui tre mesi di cella d'isolamento", ricordava ancora Boneschi. Sì, credo che queste
parole Camilla Cederna le comprenderebbe bene. Ma se è vero che durante la causa-Leone,
mentre l'Accusa le si scatenava contro, la giornalista milanese prendeva appunti per un galateo che le era stato
commissionato, non c'è dubbio che per lei continuerebbe a valere come un imperativo categorico quella
frase di
Balzac che ripetè più volte. E scrisse, anche: "Si comincia a vedere il male e a tollerarlo. Poi si
comincia con
l'approvarlo e si finisce col commetterlo". La giornalista Adele Cambria racconta che Camilla Cederna non
fu mai femminista, "prima di tutto perché la
debolezza delle donne [...] era stata negli anni del suo esordio e formazione [...] troppo irresistibile materia da
'presa in giro', e poi perché la sua vita privata, intima, è sempre rimasta custodita sotto una
campana di vetro, anzi
di cristallo, tersa ma impenetrabile". Se la scrittrice milanese avesse letto il libro Nel cuore della bestia
- Storie personali nel mondo della musica
bastarda, magari per documentarsi su un altro pezzo di storia italiana, questa volta musicale, penso che
avrebbe
pienamente sottoscritto il senso di questo passaggio: "... guai a non mettersi a fuoco nel mirino di chi ti legge, guai
a non dichiararsi. Definizioni, etichette, ruoli e regole da rispettare [...]. La realtà è più
sottile...". Forse non era femminista. Certo proveniva da un ambiente sociale borghese. Non si
dichiarò mai anarchica. "La realtà è più sottile" infatti. "Io ho sempre
scelto di non sposarmi, di non convivere lungamente", mi rispose a sorpresa la scrittrice milanese
quando un pò scherzosamente le chiesi di svelare un suo piccolo "lato debole". "Insomma, non
è che sono una santarellina... Però ho deciso di fare sempre cose brevi o sennò di non
convivere
mai. Ho sempre pensato che sarebbe stato la distruzione di un ménage. Anche perché ero molto
indipendente,
amavo molto il mio lavoro". E poi, con il consueto garbo, aggiunse: "Ho scelto la libertà e non mi
sono mai pentita, perché se in questo periodo
avessi dei figli sarei molto triste. Molto affannata".
Agra verità Riascoltando la sua voce incisa sul nastro mentre parla con
tenerezza della madre, Ersilia Gabba, dei fratelli e di
quel padre che confezionava per loro libri e giochi "fatti tutti a penna con l'inchiostro di china o ad acquarello";
mentre racconta della sua difficoltà a scrivere anche se tutti le dicono sempre che "scrivi come parli";
riascoltandola mentre civetta a proposito della sua bellezza giovanile o mentre torna improvvisamente seria
affermando che Grazia Cherchi "secondo me è l'unico critico che dice la verità... Certe volte agra.
Non con quella
mafia che hanno i critici in generale verso gli scrittori, che guai a parlarne male...", riascoltandola mi viene in
mente un pugno di versi: Il vento della sera/ spiana tutto/ forma/ deforma l'arena/ in strie uguali/ che mi fanno
ricordare il mio ventre. E' tutto qui, racchiuso in questa immagine che la poetessa messicana Maria Guerra
modula scabra, eppure dolce,
"quell'indicibile che è la mortalità dell'uomo". Ma Maria Guerra torna al centro, torna al
ventre. Alla vita. Ciò che soltanto ci appartiene. Torna a quelle "strie uguali" che intrecciano dolore
e gioia in un disegno unico, irripetibile. Camilla Cederna era nata a Milano il 21 gennaio 1911. Laureatasi
in Lettere, fu tra i fondatori con Arrigo
Benedetti, nel '45, del settimanale "L'Europeo". Nel '58 passò all'"Espresso" dove restò fino al
1980, quando
prese a collaborare con "Panorama". "Tu mostri certamente ciò che un uomo può compiere,
ma dal fatto che tu, un uomo, lo abbia fatto, non discende
assolutamente che lo possano fare anche altri, pure uomini: tu l'hai compiuto soltanto in quanto Unico fra gli
uomini e in ciò resti unico", scrisse nel 1844 Max Stirner. Mi sembrano le parole più
appropriate per non congedarci dalla memoria di Camilla Cederna.
Bibliografia Enrico Bonerandi, Borsa
di studio per Camilla in "la Repubblica" del 19.12.1997, Cronaca Milano; Silvana
Ottieri, Prefazione a Il mondo di Camilla (1980); Adele Cambria, Lezioni di stile
in "Noi Donne", dicembre 1997; Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla
strage, Feltrinelli, Milano, 1971; Grazia Cherchi, Interventi ne Il mondo di Camilla
(1980); Camilla Cederna, Perché firmo sempre in De gustibus, Arnoldo Mondadori
Editore, Milano, 1986; Luciano Lanza, Bombe e segreti - Piazza Fontana 1969,
Elèuthera, Milano, 1997; Stefano Giaccone e Marco Pandin, Nel cuore della bestia - Storie
personali nel mondo della musica bastarda,
Cooperativa Editrice Umanità Nova - Editrice Zero in condotta, Milano, 1996; Maria Guerra,
Dove duole il tempo, Edizioni Fahrenheit 451, Roma, 1995; Franco Melandri, L'anarchia
della comunità, in "A rivista anarchica", dicembre '97 / gennaio '98; Max Stirner,
L'UNICO e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 1979.
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