Il tuo è un libro sostanzialmente programmatico: inserisci
il municipalismo libertario in un contesto storico e offri suggerimenti
concreti per la pratica. Quali frangenti politici ti hanno soprattutto
spinto a scriverlo proprio adesso?
In quanto dimensione politica dell'ecologia sociale (il cui
corpo teorico è stato elaborato da Murray Bookchin fin dagli
anni cinquanta) il municipalismo libertario è una politica libertaria
di rivoluzione politica e sociale. Esso ha un contenuto teorico
e pratico rivolto alla costruzione di un movimento rivoluzionario,
il cui ultimo fine è il raggiungimento di una società fatta
di uguaglianza, giustizia e libertà. Il mio libro non vuole
essere altro che un'articolazione di queste idee, che sono già
state esposte altrove da Bookchin.
Per riassumere per i lettori che non lo conoscono, il municipalismo
libertario aspira alla creazione di una vita politica per comunità
autogestite a livello comunale: il livello di paese, di quartiere,
di cittadina o grande centro urbano. La vita politica prenderebbe
forma in istituzioni di democrazia diretta: assemblee cittadine,
assemblee popolari o riunioni urbane. Dove queste istituzioni
sono già presenti, è possibile ampliarne il potenziale e la
forza democratica in esse sottesa; dove esistevano un tempo,
possono essere riportate in vita; dove non c'erano, andrebbero
create da zero. Al loro interno, comunque, il popolo, o meglio
i cittadini, potrebbero gestire le faccende delle proprie comunità
in prima persona, invece di affidarsi alle élite statali, arrivando
alle decisioni politiche attraverso processi di democrazia diretta.
Per affrontare i problemi che travalicano i confini del singolo
comune, i comuni democratizzati di una data regione formerebbero
una confederazione e invierebbero i propri delegati a un consiglio
confederale. La confederazione non sarebbe uno Stato, perché
dipenderebbe integralmente dalle assemblee cittadine. I delegati
inviati da queste assemble e avrebbero solo la facoltà di presentare
le delibere delle rispettive assemblee; agirebbero esclusivamente
su mandato e sarebbero facilmente revocabili.
Con lo sviluppo del movimento municipalista libertario, man
mano che sempre più comuni si democraticizzano e si confederano
in questo modo, le confederazioni acquisterebbero la forza sufficiente
per costituirsi come potere alternativo, che alla fine entrerebbe
in concorrenza con lo Stato-nazione. A quel punto seguirebbe
uno scontro, oppure tutta la cittadinanza abbandonerebbe il
vecchio sistema per il nuovo, in grado di assicurare a ognuno
il totale controllo sulla propria esistenza, enucleando da sé
il potere della Stato-nazione. Nello stesso tempo i comuni strapperebbero
il controllo della vita economica alle grandi imprese private,
espropriando gli espropriatori. A quel punto sarebbe possibile
dare vita a una società razionale, libertaria, ecologica, in
cui il potere strutturale sarebbe in mano alle assemblee di
democrazia diretta, animate da una cittadinanza attiva e vivace.
Il mio libro delinea i passi concreti con cui sarebbe possibile
formare un movimento capace di creare questa democrazia diretta
e sottolinea il ruolo fondamentale di un gruppo preparato di
persone impegnate che, grazie allo studio collettivo e a campagne
nelle elezioni locali costruisca un movimento, diffondendo queste
idee nelle rispettive comunità.
Di un libro del genere c'era bisogno da molto tempo e mi spiace
soltanto che non l'avevamo pronto quando lavoravamo insieme
nella Left Green Network. Quanto servisse lo si capisce dal
fatto che, solo poche settimane dopo la pubblicazione, i compagni
di altre parti del mondo si organizzavano per tradurlo in cinque
lingue europee e oggi si sta decidendo di tradurlo in molte
altre.
Tu collochi il municipalismo libertario nel solco della
tradizione anarchica e ne condividi le finalità antistatali
e anticapitaliste. Tuttavia, mettendo in primo piano il conflitto
tra comuni e Stato (contrapposto al conflitto tra lavoro e capitale)
ti distacchi da molte tendenze prevalenti in seno a questa tradizione.
Perché ritieni importante questa rottura?
Prima permettimi di chiarire che Bookchin non contrappone affatto
il municipalismo libertario al conflitto capitale-lavoro. Anzi,
la sua intenzione è quella di allargare la lotta di classe collegandola
al conflitto comune-Stato; introducendo nelle formulazioni della
lotta di classe elementi che attraversano le classi (soprattutto
rispetto al domi nio gerarchico e alle dislocazioni ecologiche).
Vuole poi dare alla lotta di classe una base di democrazia diretta
che si fondi su una cultura politica e civile di autogestione.
Il municipalismo libertario è un tentativo di portare la lotta
di classe sul terreno dei conflitti civili accanto a quello
dei conflitti sindacali e di lavoro. La cosa, i n realtà, non
è tanto strana: dopo tutto gli scontri di classe rivoluzionari,
storicamente, hanno sempre trovato una base nei comuni. Le rivolte
di Parigi del 1848 e del 1870-71 hanno visto gli scontri svolgersi
sulle barricate nei quartieri. Nella Pietroburgo Rossa del 1917,
come nella Barcellona del 1936-37, la presenza di forti culture
urbane nei quartieri è stata fondamentale per le rispettive
rivoluzioni.
Nella tradizione anarchica, il conflitto comune-Stato risale
almeno al 1836, quando uscì il libro di Proudon sul federalismo
che auspicava la nascita di una federazione di comuni autonomi.
Bakunin ha ripreso questa prospettiva e l'ha messa al centro
dei programmi redatti nel decennio 1860-1870. In quegli stessi
anni queste idee si diffondevano tr a gli oppositori di Napoleone
III e della sua politca accentratrice in Francia. Così, nel
1871, quando la Prussia sconfisse la Francia e il governo napoleonico
crollò, queste stesse idee erano già presenti e ispirarono la
Comune di Parigi che sorse dalle rovine del Secondo Impero.
Dopo poche settimane di vita la Comune andò incontro a una fine
disastrosa, eppure molti radicali (e non solo quelli avversi
allo Stato, ma anche Marx per un certo tempo) s'ispirarono al
suo audace esempio e considerarono la federazione di comuni
autonomi il modello politico adatto per una società libera e
autogestita. Alla fine di quel decennio, l'idea passò nei programmi
della federazione del Jura, che ve deva nella federazione di
comuni un elemento integrante della società post-rivoluzionaria.
Il municipalismo libertario prende spunto dal comunalismo storico,
nella versione anarchica come in quella marxiana, come pure
alla sua tradizioni concreta nella storia rivoluzionaria, a
partire dalla Rivoluzione Francese del 1789. Nello stesso tempo,
gli fa fare dei passi in avanti. Mentre le prime teorie attribuivano
ai comuni sostanzialmente le funzioni amministrative e di erogazione
di "servizi pubblici" affidando il potere decisionale alle società
operaie (la cui federazione doveva essere parallela a quella
dei comuni federati), il municipalismo libertario concepisce
il comune come uno strumento di democrazia diretta che ha il
controllo sull'economia. E, mentre gli anarchici comuna listi
pensavano che le masse avrebbero formato spontaneamente i comuni,
dopo che lo Stato fosse crollato per qualche altra via, il municipalismo
libertario prevede una fase di transizione rivoluzionaria durante
la quale la federazione dei comuni si afferma come potere alternativo
contro lo Stato-nazione.
Quello che voglio dire è che la tradizione comunalista, di cui
il municipalismo libertario è uno sviluppo, non è affatto estranea
alla tradizione anarchica, anzi è presente fin dall'inizio.
Gli anarchici si sono distinti dalle altre componenti presenti
nel solco della tradizione socialista, in quanto sottolineano,
fra l'altro, l'importanza , per una strategia rivoluzionaria
complessiva, delle controculture e delle contro-istituzioni.
Qual è, secondo te, il rapporto tra questi tentativi e la battaglia
tesa a creare istituzioni politi che radicali di democrazia
diretta come quelle di cui parli nel tuo libro?
È stato di grave pregiudizio per il movimento anarchico
e per la sinistra in generale il fatto che negli ultimi tempi
si sia data tanta importanza al cambiamento culturale a spese
del cambiamento politico, al punto che oggi questa tendenza
ha messo in ombra addirittura la teoria politica. Con ciò non
voglio dire che il lavoro culturale sia destit uito di significato
politico, ma che non sta in piedi da solo: deve rappresentare
un aspetto di un più ampio movimento politico. L'arte, la cultura,
le espressioni individuali non intaccano l'ordine sociale esistente,
perché di per sè sono facilmente assorbibili e mercificabili.
Infatti l'alienazione e il dissenso che un'opera d'arte radicale
r iesce a esprimere in certe occasioni la rendono più facilmente
vendibile, come tutto ciò che fa provare il brivido del proibito.
Senza un movimento politico che si opponga alla mercificazione
in quanto tale (e quindi al capitalismo) oltre che al dominio
gerarchico, anche l'arte si trasforma troppo facilmente in merce.
È noto come la controcultura degli anni sessanta si sia
corrotta trasformadosi in nostalgiche operazioni di marketing
e in spiritualità New Age, con ampi sbocchi commerciali, mentre
la pubblicità più accorta ne ha assorbito i contenuti di sensibilità
(vedi la recente antologia Commodity Your Dissent). Per
fare qualche esempio, la "rivoluzione" dei Beatles è oramai
sfruttata per vendere le scarpe da ginnastica e il negozio di
bici sotto casa mia ha in vetrina degli occhiali da sole marca
"Anarchy". All'interno del movimento anarchico c'è sempre più
la tendenza a mettere in primo piano la cultura, le manifestazioni
individuali e lo stile di vita a spese di una politica rivoluzionaria
(nel senso di autogestione di un collettivo) al punto che i
sostenitori dell'ecologia sociale hanno sentito la necessità
di distinguersi da queste tenden ze, cercando di conservare
all'anarchismo un elemento centrale di socialismo e di trasformazione
della società a livello delle istituzioni politiche e sociali
e non solo della sensibilità.
Tu affermi che per creare una società libera dobbiamo democratizzare
e allargare il campo della politica. In quest'ottica, quale
ruolo svolge la lotta antigerarchica, spesso relegata alla sfera
privata, per esempio la lotta al patriarcato o alla supremazia
dei bianchi?
Nel corso di una rivoluzione politica e sociale, non c'è dubbio
che il carattere delle persone cambia, soprattutto grazie all'esperienza
della solidarietà in una battaglia comune, nella lotta per un
ideale comune e non per interessi personali, e tutto questo
dà loro una maggiore consapevolezza in campo sociale. Nel corso
di queste esperienze, p ossiamo immaginarci che il sessismo
e il razzismo si attenuino. Ma finché sopravvivono, anche solo
come atteggiamenti mentali o nelle convenzioni sociali, i membri
della comunità (nel campo politico, nelle assemblee democratiche
dei cittadini) decideranno come affrontarli nel modo che riterranno
più opportuno.
Esiste sempre il rischio che una comunità faccia scelte politiche
che siano sessiste o razziste, ma non sarebbe razionale che
una società che si fonda sull'espletamento delle potenzialità
di tutti i suoi membri soffochi le potenzialità di qualcuno.
Uno dei principi fondamentali dell'ecologia sociale, di cui
il municipalismo libertario è la di mensione politica, è la
condanna di ogni genere di gerarchia sociale e di norma classista
e l'appello alla loro dissoluzione.
Il concetto di potenzialità attraversa tutto il tuo libro.
Tu parli di "potenziale politico del comune, di "potenzialità
esclusivamente umana" di realizzare una società razionale. e
così via. Può dirmi qualcosa di più riguardo a questo tema?
Questa domanda tocca la dimensione filosofica dell'ecologia
sociale, il naturalismo dialettico, un tema troppo complesso
che non è possibile discutere approfonditamente in questa sede:
io rimanderei i lettori interessati all'opera di Murray Bookchin,
Philosophy of Social Ecology. Mi accontenterò di dire,
in breve, che, in quanto filosofia dello sviluppo (contrapposta
a una filosofia analitica) il naturalismo dialettico concentra
la sua attenzione sui processi che si svolgono sia nell'evoluzione
naturale sia nella storia sociale, soprattutto quella che tende,
sia pure in modo ambiguo e tortuoso, e addirittura con taluni
arretramenti, verso una maggiore libertà, una più forte coscienza
d i sé e una più ampia capacità d'introspezione.
In quanto tale, il naturalismo dialettico utilizza termini che
rispecchiano i processi di sviluppo: potenzialità, emergenza,
svolgimento, crescita, attualizzazione, compimento. Mentre la
filosofia analitica presuppone la fissità, la filosofia dialettica
presuppone il movimento, non semplice kinesis, ma il movimento
che ha una direzione.
Concentrandosi sulle potenzialità di una situazione, la razionalità
dialettica ci spinge a esaminare il genere di futuro che può
emergere logicamente da quella situazione. Così, il comune come
esiste oggi contiene le potenzialità per democratizzarsi e per
diventare una componente di una società razionale. L'affermazione
di una società municipalista libertaria sarebbe il segno che
questa potenzialità si è concretizzata e attuata.
Tu lanci un appello per abbattere il capitalismo e lo Stato
e a creare una società libera, caratterizzata dalla ragione,
dalla solidarietà e dall'ethos di cittadinanza. Tuttavia, dal
modo in cui parli della colonizzazione della vita sociale da
parte del capitalismo, dell'attacco alle comunità, della dissoluzione
del politico, sembra che tu desc riva la distruzione delle forze
su cui dovremmo basare la costruzione di un'alternativa sociale.
Stando così le cose, dove trovare le forze e le idee per creare
una società libera?
La società odierna, con la sua ricerca di una gratificazione
immediata, ci invia in continuazione messaggi che dicono che
il nostro scopo è di puntare alla massima felicità individuale
nell'ambito del capitalismo, ma non offre che poco o nessun
sostegno culturale per subordinare le immediate esigenze personali
al perseguimento di finalità più grandi. Inaridisce la nostra
fantasia, impedendole di muoversi in ogni direzione e di immaginarsi
un mondo migliore, sommergendola in una marea di questioni di
sopravvivenza pratica e di consumo di oggetti e di servizi.
Ci sottrae sistematicamente quella che nei secoli passati sarebbe
stata chiamata la nostra natura migliore.
Questo sistema sociale non solo ci mercifica e di sfrutta, ma
riesce anche ad annebbiare la nostra memoria storica e a istupidirci.
Vorrebbe che ci dimenticassimo che per secoli gli uomini hanno
partecipato a tentativi di trasformazione sociale che non avrebbero
portato nessun frutto durante la loro esistenza. Non solo non
ricercavano una gratific azione immediata, ma non se l'aspettavano
nemmeno ed erano disposti a rischiare esilio e pene, capendo
che sarebbe servito per creare una società migliore.
Per questo dobbiamo renderci conto che la gratificazione immediata
del desiderio è una componente del sistema che noi combattiamo.
Dobbiamo mantenere la nostra memoria storica, opporci all'amnesia
sociale. Dobbiamo essere disposti, a un certo punto, a mettere
la causa della creazione di una società migliore al di sopra
di quella di avere una mac china per il caffè espresso sul ripiano
della cucina.
Se non troviamo la forza di resistere e di conservare i nostri
ideali, anche la nostra esistenza perderà di senso e diventeremo
banali e insignificanti. Come ha detto William James, ci capiterà
di «ripiombare nel sonno dell'inesistenza da cui eravamo momentaneamente
usciti».
Perciò dobbiamo metterci alla ricerca di persone che, come noi,
aspirano a conservare la dignità umana e che capiscono che il
problema più grave che ha di fronte a sé la nostra società non
è quello del Niño o dell'incompetenza delle baby sitter, ma
quello dello stesso ordine sociale. Noi combattiamo quest'ordine
perché non potremmo sopport are una riduzione della nostra umanità
e delle nostre migliori aspirazioni.
Marx sosteneva che il comunismo sarebbe emerso dalla maturazione
delle contraddizioni interne del capitalismo. Tu consideri la
creazione di una società municipalista libertaria un atto di
volontà o il culmine di un processo storico di più vasta portata?
È entrambe le cose. Ma non ho dubbi sul fatto che la
nostra società sia avviata a una crisi: il solo dubbio è se
la causa immediata sarà di natura sociale o ecologica. Come
ha rilevato Marx nel Capitale, le aziende capitaliste devono
massimizzare i profitti e quindi espandersi, oppure soccombere
alla concorrenza e perire: crescere o morire. Bookchin ha aggiunto
che questo imperativo mette il capitalismo in rotta di collisione
con il mondo della natura. E mentre l'effetto serra è destinato
a provocare enormi devastazioni nel prossimo secolo, la forbice
tra ricchi e poveri continua ad allargarsi. Per massimizzare
i profitti su scala globale, il capitalismo emargina interi
strati della popolazione: secondo un calcolo circa tre quinti
della popolazione mondiale.
Penso anche che dovremmo riconsiderare la tesi marxiana dell'"impoverimento".
Marx sosteneva che la logica del capitalismo portava a ridurre
i salari al livello minimo possibile; una volta che il popolo
fosse completamente immiserito, pensava, sarabbe stato spinto
a ribellarsi allo sfruttamento della borghesia. Questa previsione
non si è reali zzata, in parte perché le realizzazioni del welfare
state hanno in un certo modo ammorbidito l'impatto del capitalismo.
Ora che molti dei vantaggi dello stato sociale su cui si basa
la pace sociale vengono gradualmente cancellati, la previsione
secondo cui l'immiserimento porterà alla rivoluzione sociale
potrebbe risultare ancora valida.
Qualunque sia la causa della crisi, quando questa si sviluppa
effettivamente, produce risultati sulla società che non sono
necessariamente quelli che portano a una società razionale,
ecologica, libertaria. Il risultato potrebbe essere la dittatura,
il caos. Se la crisi deve portare all'emancipazione, è necessario
che prima di essa siano già pr esenti alcuni elementi di coscienza
dell'alternativa di liberazione.
In questo senso è importante l'intervento soggettivo. I periodi
prerivoluzionari sono in genere molto brevi. È probabile
che non ci sia mol- to tempo per fare quell'opera approfondita
e parcellizzata di formazione, indispensabile per un movimento
di liberazione. È questo il lavoro che dovremmo fare
adesso: soprattutto per costruire un movimento municipalista
libertario che mostri come sia possibile prendere in mano la
propria esistenza politica e sociale, per realizzare una società
c he consenta di riaffermare la propria umanità. C'è bisogno
d'infinita pazienza, ma lo si deve fare. Altrimenti, la crisi
che verrà produrrà una tirannia.
Di questi tempi non è facile trovare un teorico radicale
che non si sia sistemato in qualche istituto universitario.
Tu sei un'eccezione: hai di proposito scelto di tenerti fuori
dell'università. Come mai?
L'altra sera mi è capitato di leggere un passo di Bakunin,
in cui si parla della «storia di tutte le accademie». «Dal momento
in cui diventa un docente uni- versitario» scriveva Bakunin
«anche il più grande genio scientifico piomba inevitabilmente
nell'indolenza. Perde la spontaneità, l'arditezza rivoluzionaria,
quell'energia tormentata e selvaggia caratteristica del genio,
sempre tesa a distruggere i termini vecchi e cadenti e a porre
le basi dei nuovi. Senza dubbio diventa più beneducato, acqui
sta un maggiore senso pratico e utilitaristico, ma a scapito
dell'originalità. In una parola, si corrompe.» Io penso che
questo passo sia fin troppo duro. Molti docenti, di diverso
orientamento politico, cercano di avere un ruolo nella cultura
politica, scrivono libri, opere educative, articoli destinati
al vasto pubblico popolare. La ricerca che gli storici di sinistra
fanno sui movimenti rivoluzionari e sulle idee socialiste-anarchiche
è senza dubbio preziosissima per chi cerca di realizzare qualcosa
partendo da quella tradizione.
Ma per un professore universitario non è facile scrivere qualcosa
che faccia avanzare direttamente i movimenti rivoluzionari,
opere che formino e ispirino gli attivisti e gli intellettuali
rivoluzionari. All'università gran parte di quello che si scrive
serve a consolidare la propria carriera, soprattutto a dimostrare
le proprie qualità di stud iosi e di ricercatori. Scrivere qualcosa
che fa sorgere un movimento, invece, può addirittura danneggiare
la carriera. Per questo i cattedratici hanno come referenti
gli altri cattedratici e non il pubblico in generale, tanto
meno un pubblico rivoluzionario. In questo paese, l'esodo di
massa della sinistra, che ha abbandonato la vita pubblica per
le università, ha senza dubbio fatto dei danni alla cultura
politica radicale.
Parlami del tuo lavoro futuro. Hai nuovi progetti in vista
o nuovi temi che intendi analizzare?
Sono contenta di dire che The Murray Bookchin Reader,
un libro da me curato, è oggi in distribuzione negli Stati Uniti.
Al momento collaboro con Bookchin a un'antologia di interviste
e di saggi recenti che si dovrebbe intitolare Anarchism,
Marxism, and the Future of the Left e che uscirà l'anno
prossimo per i tipi della A.K. Press.
A qualcuno dei vostri lettori interesserà sapere che nell'agosto
del 1998 si terrà in Portogallo una conferenza internazionale
sul municipalismo libertario, con lo scopo di discutere e di
portare avanti le idee illustrate in questo libro e negli scritti
dello stesso Bookchin. Gli interessati possono rivolgersi agli
organizzatori, scrivendo al P.O. Box 111, Burlington, VT 05401,
USA, o a blakrose@web.net
oppure a bookchin@igc.apc.org.
Chuck Morse
(intervista pubblicata sul numero della primavera
'98 di Perspectives on anarchist theory. Indirizzo: Insitute
for Anarchist Studies, P.O.Box 7050, Albany, NY 12225, USA.
Traduzione dall'inglese di Guido Lagomarsino).
Chi è Janet
Janet Biehl è sempre andata controcorrente. Nata nel
1953 a Cincinnati, nell'Ohio, non ha partecipato ai movimenti
degli anni sessanta come molti dei suoi coetanei. Parlando
di se stessa in quel periodo si definisce una persona
senza grilli in testa.
Invece, all'inizio degli anni settanta, quando molti abbandonavano
le posizioni del radicalismo culturale, Biehl fu attirata
dai gruppi teatrali d'avanguardia come il Living Theatre
e successivamente si laureò in teatro alla Wesleyan University.
Desiderando fare l'attrice, si trasferì a New York, dove
cominciò a interessarsi delle teorie radicali e di politica.
Anche se la Nuova Sinistra apparteneva oramai al passato,
l'elezione di Ronald Reagan e il crescente disincanto
nei confronti dell'arte la spinsero a fare la scelta più
naturale.
Mentre preparava un master in scienze umane al centro
CUNY, venne a conoscenza dell'opera di Murray Bookchin
e nel 1986 frequentò l'Institute for Social Ecology.
Il lavoro di Bookchin le servì per dare un senso più completo
al suo impegno politico. Poco dopo si trasferì a Burlington,
nel Vermont, per lavorare a stretto contatto con Bookchin,
diventandone la compagna e la più stretta collaboratrice.
Oggi vive e lavora con lui e si mantiene con l'attività
di redattrice indipendente. A differenza di molt i della
sua generazione, la cui biografia è un continuo arretramento
rispetto al radicalismo giovanile, Janet Biehl si è mossa
con coerenza nella direzione opposta.
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