"... Quanti sifilitici à fatti solo lei? Mettiamo
che sono solo 40 al giorno, che codesta bella signorina accontentava,
dieci giorni 400 persone. Poi il resto, le conseguenze che vengono
dopo". (Lettera N. 13)
"... La ragazza in un giorno a N. à fatto 42 uomini,
e sfinita, al giorno dopo, viene la visita del Dottore e la
manda all'ospedale con 4 croci in più di Lue [infezione generalmente
trasmessa per contagio sessuale; sinonimo di sifilide
n.d.r.], ormai una ragazza rovinata". (Lettera N. 19)
"... una giornata speciale contai 120 clienti,
120 lavaggi, 2400 scalini saliti e scesi, e poi, come se non
bastasse (tralascio i particolari di scurrilità) alcuni clienti
quando hanno finito... ci fanno la morale e ci esortano a cambiar
vita... dobbiamo salvare l'anima, ci dicono!!! (Lettera N. 68)
Qualche volta mi capita di pensare che se alcuni
libri fossero ristampati, divulgati e magari letti, forse qualcosa
comincerebbe a cambiare. Poi invece tocco di nuovo terra e mi
rendo conto che i libri da soli non bastano, che ci vuole ben
altro. Che bisogna ricominciare a parlarne.
Per esempio di prostituzione.
I tre passi citati più sopra sono tratti da una pubblicazione
del 1955, un libro delle Edizioni Avanti! curato da Lina Merlin
e Carla Barberis. Lettere dalle case chiuse si intitola.
Ed è una raccolta di 70 testimonianze pro e contro la chiusura
dei casini corredata da una chiara appendice documentaria sulle
norme che hanno regolamentato il mere tricio nel nostro Paese
fino al 1958, nonché dal progetto di legge che la stessa senatrice
socialista Merlin presentò per la chiusura delle case di tolleranza.
Il prossimo 6 agosto saranno passati 50 anni dalla prima proposta
di legge in questo senso. Mezzo secolo. Mezzo secolo durante
il quale sono accadute molte cose. Anche il femminismo.
Ma la prostituzione continua ad esistere. Come del resto la
stessa Lina Merlin e le sue compagne sapevano bene che sarebbe
stato.
E allora perché battersi, nel '48, per chiudere le case di tolleranza?
e oggi, 50 anni dopo, perché tornare a ribadire le stesse cose:
che i casini non possono essere riaperti; che la si deve smettere,
una buona volta, con questa ipocrisia dei cosiddetti "parchi
dell'amore"; che...?
Ma quale amore? Di che amore si sta parlando quando si parla
di prostituzione? Tutte le donne che hanno scritto alla Merlin
e alla Barberis, sia quelle favorevoli che quelle contro le
Case, si sono definite dal di dentro "carne da Maciello" (Lettera
N.55).
Ci si può credere. Perché al di là della letteratura, del cinema,
dell'arte in generale, che hanno fatto spesso del bordello un
luogo "mitico", la realtà raccontata da "quelle signorine" è
ben diversa.
"Per difendere il mio intimo, il mio fondo, offrivo agli uomini
solo la scorza superficiale", rivela Firdaus, prostituta egiziana
d'alto bordo condannata a morte nel 1974 per avere ucciso il
suo protettore. (Nawal al Sa'dawi, Firdaus, storia di una
donna egiziana)
"Avevo imparato a resistere in maniera passiva, a mantenermi
intatta non offrendo niente, a vivere rifugiandomi in un mondo
tutto mio. In altre parole concedevo agli uomini il mio corpo,
ma un corpo morto, ed essi non potevano suscitare reazioni o
tremiti, né darmi piacere o pena".
Ma Firdaus rappresentava un'eccezione: lei era una prostituta
di lusso, straordinariamente lucida e consapevole di se stessa.
Nelle case di tolleranza dell'Italia del dopoguerra, politicamente
"immacolata", sulle strade dell'Italia di oggi, di tutt'altro
orientamento politico, c'erano e ci sono soprattutto donne in
mano alle multinazionali della prostituzione.
Ci sono le stesse umiliazioni di sempre, le stesse botte, lo
stesso disumano sfruttamento, lo stesso "farsi" per poter vendere
il proprio corpo senza stare troppo male. C'è anche la morte,
spesso.
In compenso c'è più scelta per i clienti: slave, nigeriane,
albanesi... E poi il top della trasgressione: i "trans".
È curioso come a rileggere vecchi libri e vecchie carte
salti sempre fuori, anche a proposito della mercificazione del
sesso, l'esercito, la guerra.
"L'origine della regolamentazione [del meretricio n.d.r.] che
data dal 1802 in Francia e fu estesa in altri paesi d'Europa
negli anni successivi, va ricercata in effetti nel presupposto
che essa rappresentasse un mezzo di profilassi antivenerea per
preservare gli eserciti", scrive Lina Merlin nella sua prefazione
alle Lettere.
E ancora nel 1913, per esempio, in pieno Futurismo -"Noi vogliamo
glorificare la guerra-sola igiene del mondo, il militarismo,
il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle
idee per cui si muore e il disprezzo della donna"-, il "Manifesto
futurista della lussuria" di V.Saint Point proclamava:
"La lussuria è pei conquistatori un tributo che loro è dovuto.
Dopo una battaglia nella quale sono morti degli uomini è normale
che i vincitori, selezionati dalla guerra, giungano fino allo
stupro, nel Paese conquistato, per ricreare la vita".
Come pecore, come maiali razziati dopo la vittoria, anche le
donne fanno parte del bottino di guerra. Quando non deciderà
di sgozzarle dopo averle violentate in tutti modi possibili,
come in Algeria, giusto per restare all'attualità, il "conquistatore"
è legittimato a marcare il territorio occupato mediante lo stupro
etnico. Che è sempre esist ito. Fino alla barbarie della ex
Iugoslavia, solo pochi mesi fa. Fino alle torture e agli stupri
delle donne indigene in Messico, mentre sto scrivendo.
Ma che cosa differenzia, nella sostanza, uno stupro etnico dalla
prostituzione pro-milizie? Una nascita?
Basterebbe leggere anche solo qualche testimonianza delle cosiddette
"donne di conforto" di tutti i Paesi dilaniati dai diversi conflitti
per rendersi conto che la radice dello stupro etnico e della
prostituzione pro-milizie è la stessa: una feroce volontà di
dominio. L'esercizio di un potere assoluto sulle donne.
Vern L. Bullough, autore di una delle poche storie della prostituzione
in circolazione nelle biblioteche pubbliche, mette in rilievo
come siano rari gli storici seri che accettano di approfondire
quest'argomento.
Ciò, sottolinea Bullough, nonostante la prostituzione sia "un'istituzione
sociale importantissima e strettamente legata alla condizione
della donna, al diffondersi delle malattie veneree, all'andamento
della natalità e a un vasto numero di problemi sociali, politici
e culturali".
Già! Come spiegare le lunghe file di auto che soprattutto di
notte percorrono a passo d'uomo i viali delle nostre città,
che transitano sulle innumerevoli superstrade alla ricerca di
una donna da "caricare". Come spiegare le case d'appuntamento
più o meno clandestine, certi locali, la strepitosa serie di
annunci sui giornali...
Ma soprattutto: come mettere in relazione questo con il '68;
con le battaglie per il diritto d'aborto; con il Movimento del
'77; con le lotte sindacali... Con il femminismo?
Di questa contraddizione - macroscopica contraddizione -, sulla
quale gli storici di solito preferiscono glissare, il film di
Carlo Mazzacurati, Vesna va veloce, è un'intensa e attualissima
rappresentazione.
Per quale ragione Antonio [l'attore A. Albanese n.d.r.], il
protagonista, che "in una prima stesura era addirittura un comunista
molto arrabbiato nei confronti del cambiamento di questi anni
nella sua area politica, che viveva da sconfitto ma con orgoglio,
da isolato che non si arrende all'idea che l'egualitarismo non
abbia più senso, che l'utopi a comunista non abbia più senso..."
(Carlo Mazzacurati), sì, per quale ragione, mi domando, per
stare con una donna, Antonio "è uno che deve pagare"?
"... deve pagare, in quanto fuori da un circuito generazionale
e sociale eccetera", dice Mazzacurati.
Eh già!
È per questo che anche molti "compagni" comprano il corpo
di una donna? per questo la pagano? perché sono "fuori da un
circuito generazionale e sociale eccetera"?
"Vesna ha una dignità superiore - come essere umano e come atteggiamento
nei confronti della volgarità che attraversa - a quella del
protagonista maschile e di tutti gli altri personaggi", afferma
ancora Mazzacurati.
E gli va dato atto che ha almeno la lucidità di ammettere che
"è chiaramente un punto di vista maschile".
Perché si tratta del solito punto di vista maschile.
Che apre una porta - Mazzacurati con grande maestria cinematografica
- senza però entrare. Senza affondare il coltello nella piaga.
Che rimuove, in sostanza.
Il Comitato etico Donna in lotta contro la prostituzione
"si ripromette di ridefinire giuridicamente la prostituzione
come stupro a pagamento e intende presentare una proposta di
legge che, vietando la prostituzione, definisca il cliente reo
nella stessa misura dello stupratore".
Non mi interessa, francamente non mi interessa porre questa
questione su un piano giuridico. Però l'idea che la prostituzione
possa essere considerata uno "stupro a pagamento" mi fa riflettere.
In definitiva, cos'è che il cliente compra da una prostituta?
Compra un diritto? compra un diritto unilaterale al piacere?
"I soldi ce li hai tu e perciò sei tu che compri ma il piacere
ce l'avrai solo tu... ", dice Manila al suo cliente. (Dacia
Maraini, Dialogo di una prostituta col suo cliente)
La prostituta non sceglie il suo cliente. Può rifiutarlo, eccezionalmente.
Ma non lo sceglie. Esattamente come la donna stuprata.
La prostituta non prova piacere.
E neanche la donna stuprata ne prova. La prostituta non può
seguire il suo desiderio. Mai.
Proprio come la donna stuprata, che è considerata un oggetto,
la prostituta deve fare quello che ha patteggiato col cliente.
Che la pagherà per questo.
L'unica differenza, dunque, sono i soldi.
"... Nei grandi centri lo sfruttamento è massimo: se una signorina
guadagna, mettiamo 10 mila lire al giorno, deve dare 5 mila
al padrone, 2500 per il vitto e l'alloggio; ma non le restano
come crede 2500 lire: da queste deve detrarre le mance, la luce,
il riscaldamento, il dottore, i supplementi ecc.. Cosa le resta?
Poco o niente! Altro che aman ti, come vogliono sostenere i
padroni!" (Lettera N. 21)
A cavallo del '900 Alfred Blaschko sosteneva che "è spettato
al diciannovesimo secolo di trasformare la prostituzione in
una gigantesca istituzione sociale". (Alfred Blaschko, Prostitution
in the Nineteenth Century).
E le ragioni di questo secondo lui, ma non soltanto secondo
lui, avrebbero dovuto essere ricercate nel "mercato competitivo",
"nella crescita e congestione delle grandi città", nell'"instabilità
del lavoro".
Aveva visto giusto.
"Nel nostro Paese, negli ultimi cinque anni, il numero complessivo
delle prostitute è aumentato del 45%", hanno reso noto le donne
greche che hanno partecipato alla due giorni di convegno delle
Donne d'Europa per l'autonomia economica contro la disoccupazione
e la precarietà, tenutosi a Milano il 30 e 31 maggio scorsi.
"Nel 1991 le prostitute greche erano il 70% contro il 30% di
straniere; nel 1996 le proporzioni erano invece del 40 e del
60%. I prezzi delle prestazioni sono calati del 25%, mentre
il reddito complessivo prodotto dalla prostituzione è cresciuto
del 70% e la clientela del 60% (i dati sono tratti da uno studio
dell'Università di Atene)".
"L'hai detto, occhio di serpente, la donna può solo decidere
se prostituirsi in pubblico o in privato, per la strada o in
casa, chiaro?", fa dire ancora a Manila la scrittrice Dacia
Maraini.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute. Ma siccome
ero intelligente, preferivo essere una prostituta libera piuttosto
che una moglie schiava", racconta Firdaus alla scrittrice e
medica Nawal al Sa'dawi.
"Tutte le donne sono in qualche modo prostitute".
È stato proprio questo uno degli assunti su cui, nei
primi anni Ottanta, alcune donne del Movimento femminista hanno
discusso a lungo.
Erano gli anni del nascente "Comitato per i diritti civili delle
prostitute" e del giornale Lucciola, cofondato da Carla
Corso e Pia Covre.
E su questo le donne del Movimento si scontrarono, anche.
Se molte ritennero giusto schierarsi dalla parte delle prostitute
sostenendone attivamente le battaglie, altre invece, pur solidarizzando,
non se la sentirono di condividere la tesi che "è pertanto solo
una questione di quantità, se essa [la donna n.d.r.] si vende
a un solo uomo, dentro o fuori del matrimonio, oppure a più
uomini". (Emma Goldman)
Il problema è complesso. Esiste una questione economica e continua
ad esistere una questione sessuale.
Le due cose si sovrappongono in modi diversi.
C'è chi, come già Pia Covre e Carla Corso, sostiene che prostituirsi
è un lavoro come un altro, che sesso e sessualità possono essere
scissi.
C'è chi, invece, non crede affatto che questo sia possibile
senza incorrere in gravissime conseguenze per il benessere psico-fisico
della donna. Chi, proprio in virtù di quanto è accaduto in questi
ultimi tre decenni, desidera e ricerca per sè una considerazione
globale, che tenga conto di tutte le componenti della persona:
corpo, mente, cuore.
Si tratta comunque sempre di livelli di discussione alti, quasi
d'élite. Infatti, "il sommerso della prostituzione, le centinaia,
le migliaia che fanno parte della prostituzione, dove davvero
il pappa vive... è una multinazionale!" (Atti del convegno Sessualità:
parliamo noi)
Ed è con questa realtà che dobbiamo confrontarci.
Nel 1948 Lina Merlin propose di chiudere le case di tolleranza
in base a tre articoli dell'allora recentissimo dettato costituzionale:
gli articoli 2, 32 e 41 [vedi riquadro].
Per quale ragione si dovrebbe oggi tornare indietro?
Lina Merlin fu deputata e senatrice del Partito Socialista,
ma i principi ideali che la ispirarono non sono forse ancora
oggi condivisibili nella sostanza, al di là delle divergenze
ideologiche?
"... L'igiene pubblica è veramente un pretesto", scrisse inoltre
Merlin facendo piazza pulita, una volta per tutte, delle false
ragioni accampate dai benpensanti contro la chiusura delle case
di tolleranza
- i "padroni" e lo Stato in queste imprese redditizie ci avevano
infatti investito un bel pò di soldi.
"Quelle due visite settimanali, fatte nella casa stessa, senza
mezzi adeguati o anche all'ambulatorio comunale per le tesserate
non ospiti delle case, non sono meglio che niente, sono
il nulla, o il peggio, poiché fingono di dare
all'inesperto, o incauto cliente, una sicurezza che il medico
serio non può dare [...]. D'altra parte, quale garanzia può
offrire la donna ai clienti che si succedono a decine in una
sola giornata?"
Eccolo lo spettro: il Contagio.
Per evitare il contagio bisognava e bisogna rinchiudere le prostitute.
Controllarle.
"Una volta venuto alla luce tanto orrore perché mandare un messaggio
di così grave impotenza alla nostra già disorientata pubblica
opinione rimettendo puramente e semplicemente in libertà questa
disgraziata vittima-killer [un'immigrata clandestina n.d.r.]?",
si domanda il giornalista Guido Bolaffi su la Repubblica dell'8
aprile scorso.
Certo è più facile fare come si è sempre fatto. È più
facile puntare il dito sulla prostituta. È lei che deve
essere punita, rinchiusa, rimandata al suo Paese d'origine.
Peccato però che questa "disgraziata vittima-killer" abbia avuto
dei clienti proprio nel nostro di Paese. Perché credo che anche
Guido Bolaffi, una volta ripresosi dallo shock della scoperta
dell'esistenza di "tanto orrore", sarà senz'altro d'accordo
che questi uomini - italiani - non sono stati violentati.
E forse anche Bolaffi, magari raccogliendo qualche notizia in
più come sarebbe peraltro auspicabile da parte di uno che fa
informazione, potrà venire a sapere che certe prestazioni a
rischio - quelle senza il profilattico - sono sempre andate
e vanno tuttora per la maggiore. È merce rara, che costa
di più.
Ma il "brivido", si sa, ha il suo prezzo.
"... la difesa della salute pubblica va diversamente organizzata...
[...] ... bisogna sviluppare il senso di responsabilità dei
propri atti", scriveva la senatrice Merlin nel '55.
Vale ancora oggi, credo.
Ed è sconsolante, molto sconsolante, constatare che possiamo
ripetere pari pari gli stessi ragionamenti che sono stati fatti
mezzo secolo fa. Che Lina Merlin metteva in relazione con la
profilassi antivenerea; che noi, 50 anni dopo, possiamo mettere
in relazione con l'AIDS. Con la disinformazione e l'ignoranza
che in entrambi i casi hanno circond ato e circondano, complice
la Chiesa cattolica, un corretto approccio ai problemi.
La questione della prostituzione è molto complessa, si diceva,
e i livelli di lettura e interpretazione del fenomeno molteplici.
Di una cosa, però, sono sicura. Che proprio perché "responsabile
per la prostituzione è l'inferiorità economica e sociale della
donna" (Emma Goldman), lo Stato non può in alcun modo entrarci.
Se non con il controllo e la repressione, come ha sempre fatto
[a questo proposito basta leggersi, per esempio, il Testo Unico
di P.S. sul meretricio del 18.06.1931, n. 773, e il conseguente
Regolamento per l'esecuzione della legge pubblicato con R.D.
06.05.1940, n. 635 n.d.r.].
La soluzione, se soluzione potrà mai esserci, sta in noi.
Nella nostra capacità di parlarne apertamente. Di tornare a
riflettere sulla sessualità in modo libero.
Sta nel nostro desiderio di conoscerci. E di ri-conoscerci,
reciprocamente.
Sta nella voglia di riappropriarci dei nostri corpi. E del nostro
piacere.
Sta in "un rovesciamento completo di tutti i valori accettati
comunemente - specialmente quelli morali - unito all'abolizione
della schiavitù salariata". (Emma Goldman)
Emanuela Scuccato
Uguaglianza dei diritti
"...Limitandosi al terreno giuridico, coloro che
prepararono e approvarono la Costituzione, ebbero come
intento di abolire ogni dicsriminazione fra cittadini,
di garantire alla donna uguaglianza di diritti con gli
uomini e pari dignità sociale. Nell'art. 2 la Costituzione
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,
riafferma la precedenza dela persona umana rispetto allo
Stato e la destinazione di questo al servizio di quella,
e perciò condanna implicitamente la regolamentazione,
che giustifica la mortificazione di un gran numero di
donne disgraziate nella presunzione di provvedere a un
servizio sociale. L'art 32 afferma che la Repubblica deve
tutelare la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e che nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario, se non per disposizione di legge,
ma la legge, in nessun caso, può violare i limiti
imposti dal rispetto alla persona umana. I legislatori,
che tale articolo approvarono, espressero prima di me
l'impegno di abolire la prostituzione ufficiale, che contravviene
a quella norma. L'art. 41, stabilendo che l'iniziativa
economica privata è libera, ma che non può
svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, o
in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà
e alla dignità umana, condanna implacabilmente
l'infame mercato dei lenoni.
Dal punto di vista giuridico, la Costituzione conferma
i princìpi ai quali deve ispirarsi la riforma della
vigente anacronistica legislazione."
Dalla Prefazione al volume "Lettere
dalle case chiuse"
(vedi bibliografia).
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