Solo coloro che tentano l'impossibile...
Risultati molto positivi per la Seconda Conferenza Intergalattica
della Associazione Astronauti Autonomi (AAA), che si è tenuta
al Link il 18-19 aprile. Un Link non stracolmo, ma in cui tutti
i posti a sedere erano occupati da persone interessate e interessanti,
che hanno saputo andare oltre le sparate facili e le boutade.
Infatti nel progetto della AAA di sostanza - al di là della
facciata paradossale con cui rischia consapevolmente di presentarsi
al pubblico italiano - ce n'è molta. Come ha detto Andi Freeman,
della Oceania AAA, considerate i programmi spaziali delle superpotenze
e i loro complessi industriali e militari: l'idea di una esplorazione
spaziale indipendente, antigerarchic a e costruita dal basso
vi sembrerà tutt'altro che assurda. Una lotta per il controllo
delle alte tecnologie dunque, una decostruzione sistematica
delle montature ideologiche della propaganda delle agenzie spaziali
di stato, corporative e militari, una sfida aperta al monopolio
e allo strapotere finora incontrastato dei governi e dei potentati
mo ndiali su quello che nel prossimo futuro sarà un bene cruciale,
lo spazio extra-atmosferico fuori dalla gravità. Non solo: Balli,
della AAA Bologna, ha indicato anche come padri nobili della
AAA il situazionismo e il dadaismo, in tutto il loro potenziale
libertario. Ecco perché la struttura della AAA è organizzata
a network di gruppi indipende nti, ognuno dei quali si dedica
ad un proprio progetto, tenendosi in contatto con gli altri,
ma senza alcuna miope e antiquata ortodossia dottrinale, e alcuna
linea a cui essere fedeli. Gruppi che al contrario si relazionano
in un dibattito intellettualmente aperto, in cui ognuno è invitato
ad entrare, visto che non servono tessere di iscrizione o abbonamenti.
"We are a social movement" ha dichiarato fieramente Jason Skeet,
della Inner City AAA.
Detto questo, vediamo allora come è andata la Conferenza Intergalattica,
che ha riunito delegazioni AAA dall'Inghilterra, dalla Francia,
dall'Austria e dall'Italia, con uno sforzo organizzativo non
indifferente per un gruppo no- profit a budget minimo. Dopo
la registrazione degli avventori (ad ognuno di essi è stato
dato un poster della conferen za con in fronte gli eventi della
due-giorni e in retro alcuni testi chiave del terzo anno di
attività della AAA; un reader con la traduzione degli interventi,
in modo da permettere al pubblico italiano di seguire le relazioni;
e infine un adesivo con il logo della conferenza, l' homo volans
di Veranzio), Balli (AAA Bologna) ha introdotto l'event o facendo
un riassunto significativo del progetto AAA e dei risultati
ottenuti dalla associazione nella sua pur breve storia (è stata
fondata infatti nel 1995). Dopo di che, ha ceduto la parola
al primo conferenziere, John Eden, della Raido AAA. Con il testo
"Diventare astronauta autonomo" Eden ha voluto ricordare anzitutto
la vocazione dialogica e antigerarchica della AAA: "Non siamo
leader o esperti - e mai lo saremo", ha detto. Dopo di lui,
Lola Chanel, della AAA Vienna, ha compiuto una dettagliata e
molto informata ricognizione storica sulla figura delle donne
astronaute, un campo finora trascurato (ma molto promettente)
negli Women Studies. Titolo del suo intervento: "Tette nello
spazio". È stata poi la volta di Ewen Cardronnet, della
AAA Rosko Parigi, che ha letto le "Pratiche di esplorazione
ellittica dello spazio", scritto di Cristophe Cauchy (AAA Parigi
sud), una complessa esplorazione della natura creativa e autofondativa
dello spazio in cui gli astronauti autonomi vogliono vivere
la propria libera interazione sociale. I l già citato Andi Freeman
della Oceania AAA ha riassunto le scoperte del proprio gruppo
a Londra sud, con una forte attitudine critica contro la retorica
della postmodernità e una scelta di campo programmatica molto
chiara: "No al blairismo e al razionalismo economico - Sì all'antigravità
e alla esplorazione indipendente".
A questo punto i primi ospiti: il gruppo romano dei Men In Red,
con un intervento sulle "Prospettive politiche della ufologia
radicale" che si preannunciava già molto controverso, e che
infatti ha dominato l'intero spazio del dibattito. I Men In
Red hanno accusato gli astronauti autonomi del fatto che con
il loro programma finirebbero per esporta re inconsapevolmente
nello spazio una forma di 'microfascismo' che ognuno di noi
si porta dentro. A questo che hanno definito come 'programma
riformista' hanno opposto il proprio "programma radicale", una
alleanza con gli UFO per sovvertire il capitalismo planetario.
Gli astronauti autonomi hanno replicato decisamente che la posizione
dei Men In R ed è attendista e fatalista, che non c'è tempo
per aspettare supinamente una liberazione dal di fuori, e che
dobbiamo essere noi per primi a muoverci verso lo spazio. I
toni del dibattito sono stati comunque moderati dalla necessità
delle traduzioni e da un confronto leale. Dopo una breve pausa,
la seconda tornata di interventi è stata aperta da Neil, della
Disconaut AAA. Egli ha raccolto con molta attenzione, nell'area
di Londra sud, tutti i segnali della space hunger, della brama
di tematiche spaziali che sta vivendo un grande ritorno nella
popular culture, nei campi della pubblicità, dell'arte e della
musica. Ha riflettuto su come questo revival rappresenti da
un lato un pericolo d i banalizzazione della AAA, ma dall'altro
anche una serie di ulteriori possibilità. Secondo ospite italiano,
Lalo, che si è presentato come individuo estraneo ad ogni gruppo,
rispolverando il problema dell'allunaggio come falso storico
- nient'altro che il sintomo, secondo la sua interpretazione,
del nucleo centrale del problema, cioè la cooper azione delle
due superpotenze nel periodo della guerra fredda in un'ottica
di spartizione del mondo. Poi Konrad Becker, della AAA Vienna,
ha contribuito con un saggio sulla propria corrente teorica,
l'escapismo, impegnata a trovare nuove vie di fuga da una società
annoiata e ansiogena, trascendendo al contempo l'edonismo banale.
E di "un mondo da lasciarci alle spalle" ha parlato anche Jason
Skeet, Inner City AAA, uno dei padri fondatori e dei maggiori
attivitsti della AAA, il quale, assumendosi l'eredità della
gloriosa Grub Street (la via di Londra dove alla fine del Seicento
aprirono le prime stamperie e dove nacque il mestiere dello
scrittore libero in senso moderno), ha espresso l'in tenzione
di continuare lo spirito grub, facendo penetrare nella sfera
mediatica quelle che lui stesso ha chiamato grub-idee, strumenti
di satira, sabotaggio culturale e "immorale, truffaldino senso
dell'assurdo", per aprirsi nuove vie all'esplorazione spaziale.
Al seguito, come Andrea Mu.B. della AAA Trento, ho esposto lo
stato del progetto "What' s so great about science?" che il
nostro gruppo sta portando avanti: una "critica della ragion
greve" che include falsificazioni sperimentali della legge di
gravità. "La legge di gravità -ho avuto modo di argomentare
- è anzitutto una legge sociale, inventata e non scoperta".
Ha chiuso la conferenza Fabian Tompset, della East London AAA,
con il suo testo "Reclaim the Stars", gioco di parole sul movimento
inglese "Reclaim the Streets", farcito di dotte citazioni da
Giordano Bruno.
La sera stessa, abbiamo assistito alle esplorazioni nell'avanguardia
musicale estrema dei gruppi AAA con il Rave in Space. Il giorno
seguente l'incontro si è chiuso con una giornata di training
della AAA, disputando una appassionata partita di calcio a tre
porte sotto l'acqua. Il calcio a tre porte infatti è una delle
pratiche che la AAA promuov e per superare il concetto rigido
di opposizione frontale e manichea tipico della spazialità tradizionale.
Andrea Mu
(AAA Trento)
Ben venga Mag!
Le Mag (Mutua auto-gestione) sono (come i lettori di "A", che
se ne è occupata spesso, dovrebbero sapere) delle associazioni
che funzionano come "banche alternative" al sempre più potente
sistema finanziario-capitalistico. Lo scopo delle Mag, infatti,
non è quello di ammassare danaro per speculare su di esso, ma
di raccoglierlo per finanziare i niziative di tipo realmente
cooperativo e libertario, cioè attività lavorative e produttive
che, nei diversi campi in cui scelgono di operare (dall'agricoltura,
all'artigianato, alla cultura), abbiano come loro scopo non
l'arricchimento monetario di coloro che ne fanno parte, ma la
possibilità di vivere e produrre su una base di uguaglianza,
di partecipazione, di crescita personale e culturale. Proprio
in virtù di tali presupposti le Mag non sono mai state solo
delle "banche", mentre hanno fatto dell'attività culturale uno
dei loro punti di forza, consapevoli che solo nel cambiamento
dell'"immaginario" socialmente condiviso sta la possibilità
che modi di vita egualitari e libertari d iventino patrimonio
comune e possano quindi significativamente contrastare, e mutare,
la nostra civiltà ormai diventata la civiltà del "pensiero unico"
economicista.
Una delle Mag che più si è distinta in questa attività è la
Mag 6 di Reggio Emilia la quale, oltre a finanziare decine di
attività lavorative-produttive (fra le quali anche la "Comune
Urupia" salentina, fondata e gestita da libertari italiani e
tedeschi), ha periodicamente organizzato incontri di riflessione
e dibattito particolarmente intere ssanti, quali quello sull'economia
alternativa, tenutosi nel 1991, quello per il cinquecentenario
dello sbarco di Colombo in America, ovviamente tenutosi nel
1992, e quello su "Economia e felicità" del 1994. L'incontro
di quest'anno, che "festeggiava" anche il decennale della fondazione,
era articolato in molteplici iniziative (presentazioni di l
ibri, proiezioni cinematografiche, mostre, mostre-mercato, concerti),
svoltesi a partire dal 24 aprile, che sono culminate nel convegno
L'economia come se la gente contasse qualcosa del 2-3 maggio.
Il convegno, briosamente coordinato da Cristoph Baker, ha visto
la partecipazione di Francuccio Gesualdi (del Centro Nuovo Modello
di Sviluppo di Vecchiano), di Annarosa Buttarelli (della Comunità
filosofica "Diotima" di Verona), dell'antropologo, ma non solo,
Franco La Cecla e del saggista Serge Latouche, noto per libri
di critica dello sviluppo quali Il pianeta dei naufraghi, L'occidentalizzazione
del mondo e La megamacchina (tutti editi da Bollati-Boringhieri),
cui si sono aggiunte le testimonianze di due esperienze di "banca
del tempo", come la Rel (Rete di economia locale) di Reggio
Emilia e le "Vicine di casa" di Mestre.
I temi toccati nelle relazioni sono stati, ovviamente, tantissimi,
ma le due relazioni di maggior spessore sono sicuramente state
quelle di Latouche e di La Cecla, ambedue incentrate sulle reazioni
dei popoli del terzo mondo alla globalizzazione economica e
all'invasione mondiale della logica della merce.
Latouche ha, in particolare, illustrato il funzionamento dei
Sls (Sistemi locali di scambio) che stanno nascendo in molte
parti dell'Africa e che coinvolgono sia villaggi la cui base
è, almeno in parte, ancora tribale, che un gran numero degli
esclusi dal mercato del lavoro riorganizzatosi per far fronte
alla globalizzazione. In tali Sls, in cui beni e servizi vengono
scambiato al di fuori del mercato capitalistico sulla base di
"monete" che hanno valore solo nell'ambito di ogni Sls, i "naufraghi
dello sviluppo", come li chiama Latouche, ritrovano un loro
ruolo sociale e soprattutto possono sopravvivere in base a "reti
neoclaniche" che si strutturano e si collegano fra loro in base
a logi che familiari. E mentre nella società "normale" il denaro
è sostanzialmente un'astrazione il cui scopo è garantire a chi
lo possiede una serie di diritti, nei Sls esso assume una "tangibilità",
ad esempio in denti d'oro o vestiario, che a sua volta crea
una circolarità sociale di relazioni, contatti, rapporti. Per
Latouche, insomma, l'occiden talizzazione del mondo" ed il "mercato
mondiale" possono trovare, almeno per ora, ancora un freno alla
loro generalizzazione in una marginalità consapevolmente agita
che ricrei socialità e di fatto sperimenti modi di produzione
e scambio potenzialmente alternativi al "capitale globale".
La Cecla, invece, ha affrontato lo stesso tema partendo da una
semplice constatazione: gli "oggetti" non sono mai veramente
tali poiché gli esseri umani li caricano di valori simbolici
che fanno sì che quegli stessi oggetti finiscano per mutare
la loro "natura oggettuale" e la funzione per cui sono nati
(ad esempio: la penna che ci è stata rega lata dalla donna che
amiamo e che ci ha lasciato, non è più solo una penna), mentre,
dall'altra parte, l'economia di per sé non esiste, cioè non
ha una propria reale consistenza al di fuori delle relazioni
simboliche in cui è inserita. Considerato tutto questo, ha continuato
La Cecla, è un errore, ed è alquanto pericoloso, considerare,
come fa tanta parte della "sinistra alternativa", che il denaro
in quanto tale sia sempre più forte delle relazioni in cui si
inserisce e riesca sempre a "piegarle" alla logica ad esso attribuita
dall'economicismo occidentale. A questo proposito La Cecla ha
fatto l'esempio del modo in cui viene interpretata l'immagine
dell'indio con la sveglia al col lo. Per tanti occidentali egli
è una vittima inconsapevole dell'espansionismo economico-culturale
dell'Occidente, mentre, all'opposto, è molto probabile che egli,
a partire dal suo sistema simbolico, abbia risignificato quella
stessa sveglia che noi troviamo ridicola ed essa sia diventata,
per l'indigeno ed il suo gruppo, un elemento distintivo, foriero
di nuove relazioni sociali. La stessa cosa accadrebbe anche
a tanti immigrati che dal Terzo mondo vengono a cercare lavoro
nell'emisfero nord: non sarebbero rari i casi di comunità che
risignificano quanto nel nord acquisiscono, compreso il danaro,
secondo parametri che permettono loro di mantenere e ricostruire
forme specifiche di socia lità. Per tutto questo, ha concluso
La Cecla, la mondializzazione del mercato, che certo ha in sé
notevolissimi elementi distruttivi ed è indubbiamente ispirata
ad una logica di dominio, non va aprioristicamente demonizzata,
mentre occorre sapersi attrezzare per cogliere anche all'interno
di tale processo tutti quegli elementi che continuano a testimoniare
l'irriducibile capacità di produzione simbolica che caratterizza
gli esseri umani. Una produzione simbolica da cui possono emergere
quelle esperienze che non solo impediscono al processo di mondializzazione
e occidentalizzazione di assumere le caratteristiche totalitarie
che alcuni gli attribuiscono, ma che, in prospettiva, possono
g iungere a mettere in crisi questo stesso processo.
Come prevedibile, questo intervento ha immediatamente scaldato
gli animi e nel dibattito che ne è seguito non sono mancati
gli interventi che hanno cercato di mettere in luce i punti
discutibili di quest'ultima relazione. Soprattutto è stato sottolineato
che, al di là delle capacità di risignificazione messe in campo
dalle società extra-occid entali e dalle comunità tribali, la
logica che soprassiede all'economia di mercato non può non tendere
a piegare a sé il funzionamento di queste stesse società e comunità,
con ciò di fatto distruggendole, e il fatto che, comunque, la
mondializzazione del mercato, anche se può non significare la
totale occidentalizzazione del mondo, signific a però, come
accade in Indonesia o in Pakistan, l'imposizione di modelli
produttivi e di consumo spesso estranei a tanti popoli del Terzo
Mondo. Oltre a queste legittime obiezioni, però, quel che il
dibattito ha messo soprattutto in luce è stata l'incapacità
di molti degli oltre 200 presenti di confrontarsi con tesi indubbiamente
originali qua li quelle di La Cecla. Molti degli intervenuti,
infatti, hanno mostrato di non aver compreso il senso con cui
queste analisi e proposte venivano fatte, ed hanno quasi sempre
contrapposto ad esse i più triti luoghi comuni del sinistrismo
"alternativo" quali, ad esempio, la "naturale innocenza" dei
popoli extra-occidentali o la visione del mercato come un moloch
che eliminerebbe automaticamente qualsiasi possibilità di alternativa.
Quanto tale difficoltà di comprensione e comunicazione sia stata
profonda è poi stata dimostrata sia dal proseguimento informale
di questo dibattito al di là delle sessioni del convegno, sia
dal fatto che quasi nessuno ha raccolto, riflettendo su di esso,
l'i nvito di La Cecla a pensare alternative libertarie ed egualitarie
al mercato che non partano da una assoluta e aprioristica demonizzazione
di questo. Insomma, il convegno con cui, meritoriamente, la
Mag 6 ha voluto sottolineare i suoi primi dieci anni di vita
ha messo in luce che il cammino per l'allargamento della economia
alternativa è ancora l ungo non solo per le difficoltà e gli
ostacoli ad essa opposti dall'economia dominante, ma anche per
la difficoltà che molti di coloro che tale economia alternativa
postulano hanno a pensare senza i paraocchi, consolanti e giustificazionisti,
della ideologia.
Franco Melandri
Bava Beccaris: Uno di noi
Gironzolando per Milano, quasi casualmente, mi sono imbattuto
nella mostra sulle quattro giornate di sangue del maggio 1898
allestita presso l'Umanitaria, tempio laico del riformismo socialista
cittadino. Dico quasi casualmente perché a cent'anni da quei
tragici avvenimenti pochissimo è stato organizzato ed il comune
ha brillato per il suo silen te defilarsi, forse, come qualcuno
ha malignato, perché questa giunta polista è la degna erede
del moderatismo milanese che con pervicacia escluse le forze
popolari (siano esse cattoliche intransigenti o socialiste)
dalla vita politica cittadina, anello terminale di una politica
nazionale fortemente voluta dalla monarchia sabauda.
In effetti è difficile leggere i moti del '98 senza considerare
che sono la punta estrema di una strategia articolata che parte
almeno un decennio prima con l'idea crispina di stato forte
bismarckiano, aggressivo in politica estera e repressivo nei
confronti del nascente movimento operaio e contadino.
È un fine secolo segnato da uno scontro sociale durissimo,
di lotte contadine, di società di mutuo soccorso, di leghe operaie
che si trovano a fronteggiare una repressione aperta fatta di
leggi speciali, galera, confino e moti repressi nel sangue come
nel caso dei Fasci siciliani e dei moti di Lunigiana del '94.
In questo crescendo di violenza diventa più evidente che le
cannonate sparate sui manifestanti disarmati milanesi, non fossero
ordinate da un paranoico generale ma rientrassero in una strategia
di più vasta portata condivisa a più livelli e poi, senza andare
per il sottile, è chiaro che in un clima di psicosi collettiva
nel temere una rivoluzi one imminente, la classe operaia milanese
facesse immensamente più paura di qualche bracciante disperato
del Polesine.
Ma chi era il "feroce monarchico Bava", come una nota canzone
del tempo lo definì?
Chi era il generale Fiorenzo Bava Beccaris che senza indugi
guidò ventimila soldati come in una esercitazione nella Piazza
D'Armi a compiere uno dei più efferati massacri di civili che
la storia ottocentesca italiana ricordi?
Purtroppo la mostra presso l'Umanitaria questa risposta non
me l'ha fornita, in aiuto mi è venuto il libro che lo storico
Domenico Romita ha appena pubblicato (Il generale, Editrice
Esperienze, 1998, Fossano) nel quale vengono riportati ampi
stralci del diario privato del generale.
Non stento a riconoscere un vizio di obiettività perché, come
a molti di voi, solo a sentire il nome di questo assassino mi
viene un attacco di bile; al contrario mano a mano che leggevo
le sue carte ne usciva fuori un quadro umano inaspettato: in
fondo Bava Beccaris era un ometto reazionario, onestamente convinto
di avere a che fare con il mos tro di una rivoluzione armata
organizzata, amante delle maniere spicce come tutti i soldati
di ogni tempo e nazione. Insomma una persona assolutamente normale.
Ecco forse una possibile chiave di lettura: spesso ci si dimentica
che la storia è fatta essenzialmente di normalità, di obbedienza
alle regole di ossequio all'autorità; di marescialli, di farmacisti
e di preti o forse vogliamo credere che la colpa dei grandi
macelli si chiama Milosevic, Pol Pot o qualche notabile ruandese
e non l'avvallo ordinato che milioni di persone danno ai vari
progetti di pulizia etnica, politica o religiosa (e per non
sentirci i civili europei fuori da queste barbarie direi anche
economica)? Tutto sommato Bava Beccaris era uno dei tanti che
ha eseguito gli ordini, convinto del proprio dovere tanto da
meritarsi la nomina a senatore del regno e la croce di grande
ufficiale dell'ordine militare di Savoia concessa - dice la
motivazione ufficiale - "per il grande servizio che rese alle
istituzioni ed alla civiltà". Qualche tempo fa D'Alema lanciò
uno slogan fortunato: "voglio vivere in un paese normale", beh,
a conti fatti, io no.
Dino Taddei
Todos somos Indios del mundo
La carovana "Un ponte in volo per il Chiapas", organizzata
dall' Associazione Ya Basta!, partita dall'Italia con fondi
e medicinali per le comunità zapatiste e per verificare e denunciare
pubblicamente le condizioni indegne della vita al loro interno
è riuscita a tenere viva l'attenzione dal primo giorno. Deputati,
consiglieri, assessori, giorna listi, un prete e soprattutto
militanti dell' associazione e simpatizzanti, 134 italiani che
in 10 giorni sono stati insultati, minacciati, aggrediti, e
infine espulsi dal governo con rientro forzato e scorta di polizia.
Iniziamo il viaggio dalle comunità che il governo ha preteso
di "concederci", come se un' osservazione sui diritti umani
possa essere soggetta a itinerari concordati. La realtà che
ci troviamo a documentare è intollerabile. Nei municipi La Realidad
e Oventic gli abitanti vivono con la paura costante di una repressione
armata; l'accerchiamento è pesante, ogni giorno sono
sorvolati da mezzi militari in sopralluogo. Le condizioni sociali,
economiche degli assediati sono di sottoalimentazione, isolamento,
assenza o insufficienza delle strutture sanitarie ed educative.
Il municipio di Polhò, "lazzaretto degli sfollati", è sottoposto
alla pressione di oltre 10000 persone in fuga dalle loro comunità
per non mettere a rischio la vita. In tutte le comunità consegniamo
i fondi raccolti grazie all'attivazione di centinaia di sottoscrittori
e diversi artisti. A La Realidad si inaugura il progetto di
una idroturbina a basso impatto ambientale; a Oventic si consegna
la maggior parte dei medicinali presso la clinica La Guadalupana;
la gravità della situazione di Polhò spinge a chie dere l' intervento
della Croce Rossa Internazionale.
Mentre il nostro arrivo è stato accompagnato da ringraziamenti
e sollecitazioni a rimanere da parte delle comunità, i mass
media messicani hanno portato avanti una campagna di denigrazione
verso gli stranieri, che hanno contrastato l'ambizione del "civile"
Messico di venire coinvolto dalle grandi transazioni economiche
internazionali.
Nella comunità di Ricardo Flores Magon, ex Taniperlas, dopo
le consultazioni per decidere se intraprendere il progetto di
autogoverno municipale con le regole dei municipi zapatisti,
in maggioranza si è optato per questo tentativo. Il giorno della
proclamazione dei risultati il governo ha deciso un intervento
militare occupandola stabilmente con 3 corpi armati e permettendo
che gli zapatisti venissero impunemente minacciati, aggrediti,
costretti alla fuga. Da aprile solo le donne possono vivere
nella comunità, garantendosi a fatica la sopravvivenza: lavorano
i campi, raccolgono la legna, attingono l'acqua, badano ai figli
e alla casa, si difendono dalle aggressioni, dall'uccisione
degli animali, dalla distruzione degli attrezzi domestici. Nel
dicembre 1997 45 indigeni sostenitori delle rivendicazioni del
movimento zapatista sono stati mitragliati e squartati dai gruppi
paramilitari nella chiesa di Acteal; per la Ricardo Flores Magon
la prospettiva sempre più probabile è di diventare una seconda
Acteal.
Per il governo è un municipio filogovernativo (considera solo
i residenti attuali), e su questi municipi le responsabilità
non sono scaricabili e le fastidiose osservazioni non sono gradite.
Precedenti tentativi di verifica sono stati respinti dai priisti
(aderenti al Partito Rivoluzionario Istituzionale ndr.)
a sassate, con l'impunità garantita.
Arriviamo alla postazione della polizia di frontiera che controlla
l'accesso a Ricardo Flores Magon con l'intenzione di forzare
un eventuale blocco. La polizia sequestra gli autobus, ci fa
scendere e autorizza il passaggio di solo 10 componenti. Rifiutiamo
la prospettiva di una visita guidata e decidiamo di proseguire
tutti a piedi. Non ci fermano . Proseguiamo per 3 ore la marcia
surreale e simbolica, con 80 Km davanti, il sole a picco e la
sola certezza di dover aspettare che accada qualcosa. Al quarto
svenimento per disidratazione, si impone una sosta allietata
prima dalla notizia della disponibilità del sindacato dei camionisti
della regione a trasportarci, poi dalla comparsa degli aut obus,
dissequestrati per paura che gli svenimenti degenerassero in
qualcosa di più serio, ripartiamo.
Al nostro arrivo, le donne ci aspettano. Le donne della carovana
le salutano e raccolgono le loro testimonianze e denunce. La
tensione sale, si radunano centinaia di contadini filogovernativi
chiamati dalle comunità vicine che, ostentando bastoni e machete,
ci intimano di andarcene e cercano di spintonarci e di superare
il cordone che frapponiamo tra loro e le donne zapatiste. Ci
opponiamo senza reazioni violente, resistendo all'impatto, invitando
i giornalisti a riprendere, e gli aggressori, sorpresi dalla
determinazione si rassegnano alla nostra permanenza. Per ore
raccogliamo le testimonianze che documentano ciò che per il
governo è inammissibile.
E il governo si arrabbia.
Terminati gli incontri a San Cristobal e la visita al carcere
di Cerro Hueco la maggior parte dei componenti della carovana
rientra in Italia. Rimangono circa 50 persone che avevano programmato
una permanenza più lunga.
Il governo nega però la proroga del visto promessa costringendoli
a rivolgersi all'ambasciata per permettere la conversione dei
biglietti e l'abbandono del paese prima della scadenza del visto.
L' ambasciata, arriva anche a promettere la possibilità di raggiungere
Strasburgo, dove si sta discutendo il trattato di integrazione
economica UE-Messic o con la clausola vincolante del rispetto
dei diritti umani. La disorganizzazione dell'ambasciata ritarda
la partenza, le proposte per il rientro si susseguono in maniera
disarticolata, fino a quando sembra che ci sia solo da aspettare
per un rientro congiunto di tutto il gruppo su un solo aereo.
La notizia che ci muta l'umore è l'avvenuto decoll o dell'aereo
che stavamo aspettando. Il gioco si comincia a scoprire, siamo
bloccati all'interno dell' aeroporto; l'ambasciatore Cabras
ignora le nostre richieste di recarci in ambasciata e ci mostra
come unica strada percorribile un rientro con un volo charter
che ci avrebbe portato a Strasburgo via Madrid. Diffidenti,
parliamo con uno pseudo pil ota che, mostrandoci uno pseudo
piano di volo ci assicura che la destinazione sarà Madrid, ci
imbarchiamo con delle carte d'imbarco che recitano "MAD" come
arrivo. A bordo ci comunicano che l'aereo va a Roma; 2 gruppi
di 30 poliziotti ci scortano (temevano un dirottamento?). A
bordo ci comunicano l'espulsione dal territorio messicano con
divieto di reingresso a vita.
Il primo accordo interinale di integrazione economica tra UE
e Messico è stato approvato.
Resta da approvare la ratifica nei vari paesi, Italia compresa.
Le donne della Ricardo Flores Magon sono sempre senza i loro
uomini, e non fanno previsioni su cosa succederà nel momento
in cui la loro situazione non sarà più sotto gli sguardi del
mondo.
Associazione "Ya basta!"
(Lombardia)
Il papa e i Sindonbusters
Sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata. Esprimere un
punto di vista critico sull'ostensione della Sindone e sulle
celebrazioni ad essa connesse non poteva essere agevole in una
città che negli ultimi mesi ha visto amministrazioni locali,
associazioni di commercianti, clero e forze di polizia strenuamente
impegnate a preparare "l'Evento", ripulendo con cura ogni angolo
di Torino.
Niente e nessuno doveva rovinare una festa così accuratamente
preparata, una festa in cui il sacro e il profano si sono mescolati
con apparente innocenza: chi è venuto a Torino ha avuto infatti
l'opportunità di unire il momento mistico ad una più profana
visita al salone dell'auto, e subito dopo, per gli amanti della
cultura si è aperto il sa lone del libro rendendo così equanimemente
omaggio a tutti i numi tutelari della città. Pellegrini e cittadini
hanno così potuto fare la spola tra il duomo ed il Lingotto,
l'antica fabbrica, ormai ripulita e ristrutturata oggi adibita
a centro commerciale, centro esposizioni, albergo di lusso e
pista di atterraggio per gli elicotteri, senza tut tavia perdere
del tutto l'impronta della fatica e dello sfruttamento che generazioni
di operai vi hanno lasciato.
Momento culminante dell'intera operazione doveva essere la visita
di Wojtila il 24 maggio. In occasione di tale visita i Sindonbusters,
una sorta di comitato che vede al proprio interno, oltre alla
Federazione Anarchica Torinese, altri gruppi ed associazioni
locali, aveva programmato per sabato 23 una festa al Balon con
artisti di strada, musica, mostre anticlericali, comizi. Il
balon, l'antico mercato illegale degli stracci e dei robivecchi,
a due passi dal centro infiocchettato e floreale, che, nonostante
i tentativi di normalizzazione in atto da alcuni anni resta
uno dei pochi spazi pubblici non normati e non normalizzati
della città pareva essere il luogo più consono per una festa
de lla vitalità e della libertà nei giorni in cui la Chiesa
cattolica celebrava il proprio rito funerario. Il Balon è un
luogo reale e simbolico, un vero spazio pubblico in cui il cuore
proletario di Torino è ancora pulsante: è il posto dove si incontrano
le etnie di mezzo mondo, i punk della prima e dell'ultim'ora,
gli amanti dei libri antichi e rari, gli anarchici che spacciano
la loro stampa, i barboni a zonzo, chi si incontra con gli amici
e chi cerca qualcuno da incontrare, chi vende e chi compra una
bicicletta rubata, una cucina usata, un ferro da stiro, una
foto d'altri tempi. In una parola il Balon è l'unico posto in
cui le tante lenzuola che, come il sudario della Sindone il
potere cerca di stendere sulla città non riescono a coprire
gli odori, le aspirazioni, i rumori di una città non immemore
della propria storia, viva oltre la devastazione di questi anni,
non aliena ad uno sguardo scanzonato e fiero verso il futuro.
Ma. C'è sempre un ma. Evidentemente una festa anticlericale
ed antireligiosa, la creazione di quello che alcuni di noi hanno
chiamato spazio dewojtilizzato, il giorno precedente la visita
del papa era un affronto inaccettabile. Altrettanto inaccettabile
il corteo annunciato negli ultimi giorni dagli squatter, che
prospettava la visita del Papa Gaio, "l'unico papa che non costa
nulla e che non ha mai ucciso nessuno". La stampa, la curia
e le associazioni dei commercianti si scatenano: i profitti
delle loro botteghe sono in pericolo, un pezzo della città vuole
tirare la testa fuori dal lenzuolo. Il questore, perfettamente
in linea con il proprio ruolo di "difensore delle libertà democrati
che" vieta entrambe le manifestazioni. Il signor Faranda, questore
di Torino, ci ha informato che vietava la manifestazione "per
lo spirito apertamente polemico nei confronti delle celebrazioni
connesse all'ostensione della Sacra Sindone" In una parola ci
ha informato che in questa città non esiste il diritto di esprimere
un'opinione diversa, né di esprimere un punto di vista critico
sulla religione cattolica, che oggi più che mai, al di là della
forma, è religione di stato. Nel 1900 la regia polizia vietò
a Roma una celebrazione del rogo di Giordano Bruno in Campo
de fiori con motivazioni di ordine pubblico analoghe a quelle
oggi accampate dal "democratico" questore di Torino.
La comunicazione ci giunge mercoledì 20 maggio, quando veniamo
convocati in questura: rifiutiamo di firmare la notifica e decidiamo
di rispondere a tono a questa negazione di ogni elementare principio
di libertà. Nella Torino del 1998 diventa sovversivo persino
lo statuto albertino (dopo 150 anni hainoi). La polizia ulivista
di una città ulivis ta, di un paese ulivista riesce a dare un
carisma "progressista" persino a Camillo Benso di Cavour con
il suo arcinoto "libera chiesa in libero stato".
Venerdì 22 alle quattro del pomeriggio veniamo nuovamente convocati
in questura. È il momento della dolcezza. Una nutrita
rappresentanza di questurini di ogni ordine e grado ci accoglie
dichiarando che in fondo, ma molto in fondo, possiamo metterci
d'accordo, trovare una soluzione che salvi capra e cavoli. La
capra del papa e i cavoli, ossia i pr oblemi di ordine pubblico,
della polizia. Possiamo fare la festa se accettiamo una riduzione
ed un cambiamento di orario, magari in coincidenza con la prevista
manifestazione degli squatter. La proposta ci pare sin troppo
smaccatamente una manovra della polizia e quindi pensiamo bene
di rifiutarla.
Sabato mattina siamo al Balon alla faccia dei divieti per informare
dell'accaduto. Nel pomeriggio, i Sindonbusters si sparpagliano
per la città, distribuendo un volantino in cui si dichiara:
"non ci vogliono al Balon? Allora saremo dappertutto!" Un gruppo
si dirige alla volta del Lingotto, dove il Salone del libro
ha richiamato migliaia di person e. Una parte si ferma all'ingresso
per un improvvisato presidio, altri entrano al Lingotto. Allo
stand della Regione Piemonte, nello spazio riservato alle prenotazioni
per l'ostensione, addobbato opportunamente in lilla funerario,
una di noi si incatena, mentre gli altri aprono uno striscione,
esibiscono la maglietta dell'acchiappasindone. Si impr ovvisano
brevi comizi per informare dei motivi della protesta. In breve
il Salone va in ebollizione: una piccola folla si stipa nei
pressi dello stand della Regione e, immancabili, giungono guardioni
Fiat, carabinieri, poliziotti, digos. Il poliziotto buono si
alterna con quello cattivo: uno blandisce, l'altro minaccia:
entrambi pretendono che ci allontaniamo, ci vengono estorti
i documenti. Di fronte al nostro rifiuto di andarcene spontaneamente,
veniamo spintonati e circondati, lo striscione viene sequestrato
con la forza, i volantini ci sono sottratti: intanto dalla gente
accorsa allo stand giungono manifestazioni di solidarietà. Informiamo
la polizia che ce ne andremo solo dopo aver terminato i volantini
ed a patto che ci vengano restituiti lo striscione e i documenti.
Dopo una lunga trattativa la nostra proposta viene accettata.
Nel frattempo al Balon parte, nonostante i divieti, il carnevale
papale degli squatter. Il papa gaio dall'alto della sua portantina
distribuisce salsicce, beve birra e fuma. E' circondato da flagellanti,
monache di Monza, monache bavaresi e da guardie svizzere, impersonate
da compagni svizzeri reduci dalle iniziative ginevrine contro
l'OMC. La man ifestazione cui intervengono circa 500 persone
viene bloccata prima del centro da un imponente schieramento
di polizia.
Questa vicenda mostra come, nonostante i divieti, alcune voci
fuori dal coro si siano fatte sentire alla vigilia della visita
di Wojtila ad un lenzuolo funerario di cui non ci importa irridere
l'autenticità, poiché è certo "autentico" nel testimoniare come
il cattolicesimo affondi le proprie radici nel dolore, nella
morte, nella sofferenza. Que lla stessa cultura della morte
che ispira Wojtila nella sua crociata contro l'aborto, nella
negazione del diritto alla vita ed alla libertà delle donne,
trovando a destra come a sinistra sin troppo solleciti riscontri.
I Sindonbusters continueranno a farsi sentire in città.
Maria Matteo
In nome della legge
Cinque anni di reclusione + l'interdizione dai pubblici uffici
+ lire 229 milioni di danni da risarcire al Comune di Milano:
sono stati di mano pesante i giudici di Milano che l'8 giugno
hanno condannato al massimo della pena l'anarchica Patrizia
Cadeddu, accusata di essere la "postina" della rivendicazione
- depositata davanti alla sede di Radio Popolare - dell'attentato
contro la sede del Comune di Milano il 25 aprile dello scorso
anno.
Della vicenda ci occupammo a suo tempo su "A" 237 (giugno '97),
ospitando poi su "A" 239 (ottobre '97) anche ampi stralci di
una lettera dal carcere in cui Patrizia denunciava la montatura
nei propri confronti.
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