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compromessi
"(...) Anni fa c'è sfato offerto un contratto da una grossa
casa discografica: quello stronzo che la dirigeva ebbe sul serio
il coraggio di dirci che noi potevamo "vendere la rivoluzione".
Voleva che fossimo solo un altro prodotto a basso prezzo per
la testa dei consumatori. Disse testualmente che avrebbe "trasformato
la nostra rabbia in una font e di guadagno" e che avremmo fatto
parte di un pacchetto di "gruppi di protesta".
Al nostro rifiuto, affermò che "non ce l'avremmo mai fatta"
senza di lui. Fare che cosa? Aprire un ufficio squallido in
centro? Pagine e pagine di interviste sull'NME? Ne è passato
di tempo: adesso lui fa il manager dei Culture Club. Ce l'ha
fatta: intendeva questo? È plastica abbastanza, è vuoto, superficiale,
disgustoso e renumerativo abbastanza. E allora, lui e gli altri
ce l'hanno fatta, e come loro tutti quei porci che credono che
il denaro e il successo siano la misura della vita..." (Crass,
dal libretto "You're already dead", 1985)
"Mi sbattono a terra, ma mi rialzo ancora: non riusciranno
a tenermi giù!" (Chumbawamba, "Tubthumping", 1997)
Di nuovo questo mese su queste pagine, per trattenervi - solo
qualche minuto - con le mie lunghe seghe mentali e qualche segnalazione
musicale veloce veloce. Le solite cose, direte in molti: dischi
introvabili nei negozi, generi musicali assurdi o - peggio -
inesistenti, gente mai vista in tv né sentita alla radio. Avete
ragione, è tutto vero: sono materiali prodotti da gente senza
una faccia massmediatica riconoscibile che si sbatte per mandare
avanti una propria strada di espressione libera. Il "mandare
avanti" è cosa ben diversa dal farcela. Ecco il punto.
Se "farcela" significa vendere e vendersl, se "farcela" significa
accedere ai media (con autorità acquisita, cioè le interviste
fatte dalla parte di chi vince, quelli che ti chiedono cosa
ne pensi di questo e quello mentre già lo sanno, i dibattiti
dove si lotta per mirare fuori dal centro etc.), se "farcela"
significa anche aumentare gli zeri significativi nel proprio
conto in banca, ebbene, nessuna di queste persone, per ora,
ce l'ha fatta. Peccato, dico io. Peccato, dico da inguaribile
sognatore: mi sentirei meglio in un mondo in cui ci fosse una
più equa distribuzione della possibilità di farsi sentire. Ammesso
che poi uno abbia delle cose da dire agli altri, e ammesso anche
che questa diffusione delle cose da dire non le trasformi in
oggetto di scambio monetizzabile, e quindi in merce. Sbaglio,
lo so: sono un sognatore (o un coglione, a seconda dei punti
di vista: non mi formalizzo sulle definizioni) e ho un'immagine
complessiva della realtà del tutto distorta e sfocata, figuriamoci
quanto sono distorti e sfocati i miei sogni ed i miei desideri...
È una questione di compromessi e di scelte dite voi fortunati
che avete i piedi per terra e avete capito come gira il fumo.
Ebbene, non sono completamente d'accordo: è questione di scelte
sì, ma delle scelte degli altri, aggiungerei. Potendo scegliere,
chiunque preferirebbe far ascoltare la propria musica e le proprie
poesie alla gente che affolla pacificamente una piazza invece
che ai soliti quattro gatti sfigati chiusi tra i soliti quattro
muri. Peccato dico io. Non credo alle élite: peccato che invece
esistano anche se io non ci credo. Peccato che la vita spicciola
di tutti i giorni si trasformi in un gioco perverso dove per
andare avanti ci si ritrova costretti a continue scelte, decisioni,
schieramenti. Peccato che ci sia chi di una qualsiasi cosa è
dentro e chi invece ne rimane inevitabilmente fuori. Funziona
così anche nel nostro piccolo mondo a parte con sottofondo musicale,
funzionano gli stessi meccanismi di equilibrio orizzontale,
di tranquillità.
Da una parte, allora, i circuiti sotterranei e gli sfigati condannati
a rimanere tali (gli eroi belli e bravi e buoni della locomotiva
dell'immaginario antagonista romantico: le leve degli scambi
ben salde nelle mani del potere, e inevitabilmente destinata
al binario morto), dall'altra tutti gli altri: gli arricchiti,
quelli che fanno "musica commerciale", quelli che vanno a mettersi
in mostra a MTV quelli che firmano un contratto con un'etichetta
discografica (non importa se si tratti di una major o di un'indie
che della major ricalca metodi e strategie). I buoni e i cattivi,
i compagni e gli infami, una parte o l'altra. Peccato, dico
allora, che ci sia chi "ce la fa", e chi invece resta ai margini
nonostante l'impegno la determinazione la testardaggine, schiuma
del mare snobbata dalle onde e condannata a raggiungere la riva
assieme agli scarti della risacca, solo quando è troppo tardi.
Polemica del mese: e le terre di mezzo? È sufficiente un hit
single per passare di categoria e attraversando il confine di
cui si è parlato poche righe fa venire declassati a "traditori"
dopo decenni di barricata e di apnea, quando la musika e la
kultura che hanno per target gli adolescenti in età da centrosociale
abitano stabilmente ai piani al ti delle classifiche di vendita?
Peccato che si ripropongano dei meccanismi di selezione sociale
capitalista anche all'espressione artistica: e, si badi, non
è questione di differenziazioni grossolane tra musica popolare
(per il popolo) e musica d'élite (per gli eletti, per pochi),
oppure tra chi sa cantare o suonare e chi invece è stonato o
non sa tecnicamente andare al di là di quei due-tre accordi
messi in croce. Il discorso è un altro e ben più sottile: è
più semplice ragionare per schemi, non si fatica a spingere
avanti il carretto dei luoghi comuni.
Ora faccio come Felice Accame e qui ci piazzo un post scriptum.
P.S.: perchè i Chumbawamba sono diventati un gruppo di merda,
una volta respinti dall'indie anarchica One Little Indian -I'etichetta
indipendente inglese più hip che c'è - e "costretti" ad accettare
un rapporto di collaborazione con la major EMI pur di pubblicare
"Tubthumper" (un album fatto di un gran bel singolo e di tre
quarti d'ora di riempimento scadente)? E i 99 Posse? E gli Almamegretta,
che per "Lingo" (un album fatto di un gran bel singolo e di
tre quarti d'ora di riempimento scadente) hanno firmato per
la major BMG non sono diventati dei gruppi di merda anche loro?
Fintanto che qualcuno non mi convince, cambiamo discorso.
Corpi
sparsi
Il cd "Corpi sparsi" aggiunge molto a quello che di Stefano
Giaccone (qui con il compagno di strada Claudio Villiotl del
giro stupendo di Environs e poi di Ishi) già si conosceva: offre
la registrazione sonora, fatta molto bene, dello spettacolo
omonimo che i due hanno portato in giro per piccoli centri e
teatri improvvisati nei due anni passati. Una scena sonora che
risulta dalla mescolanza di testi recitati ai quali si intreccia
e si sovrappone la musica: pianoforte (più propriamente "tastiere")
e sax da soli e anche assieme che seguono linee d'espressione
melodica accostabili a riferimenti blues o jazz. I testi sono
scritti in massima parte da Stefano con lo stile graffiante
e "americano" (il modo di mettere assieme le parole, intendo)
che già conosciamo (altra parentesi nella stessa frase: d'altra
parte Stefano è nato in California e l'aria che ha respirato
da bambino deve avergli fatto nascere qualcosa di americano
dentro). Tranne che per una versione di "Dove" (canzone già
presente nell'album "Sotto la pioggia" degli Ishi) e per alcuni
brevi passaggi preesistenti scritti da Claudio Villiot, la musica
dello spettacolo e quindi del cd è del tutto spontanea, è musica
improvvisa ed improvvisata, non è scritta né premeditata: nonostante
questo è musica che non si veste d'inaccessibilità e sa rimanere
libera. È musica che al momento giusto si sa mettere da parte
per far luce alle parole nude, per poi inondare a sorpresa anche
i silenzi che distanziano le diverse parti del testo.
Con una semplicità disarmante, Stefano e Claudio hanno fornito
una lista di fonti d'ispirazione che somiglia ad un arcobaleno:
Archie Shepp, Ornette Coleman, Dollar Brand, Bud Powell, arie
della tradizione popolare piemontese, un frammento da "Mikrokosmos"
di Béla Bartok. La confezione è sobria ed al tempo stesso completa
delle informazioni più utili, tra cui le trascrizioni dei testi.
L'aver fermato su cd la traccia sonora di uno spettacolo teatrale
è un'operazione concettuale difficoltosa e, non nascondiamocelo,
potenzialmente perdente in senso strettamente commerciale (non
è un disco facilmente consumabile). Un ringraziamento doveroso
va quindi fatto, oltre che a Claudio e Stefano (che hanno osato
percorrere - con risultati di alto livello tecnico e grande
valore emotivo e comunicazionale - una strada espressiva tutto
sommato nuova per loro), a Giovanni Vignola della piccola indie
ligure On/Off che consapevolmente ha osato rischiare, deviando
dal "genere" medio del suo backcatalogue. Alcune copie del cd
"Corpi sparsi" sono disponibili nella lista Musica per A: prezzo
(onesto) 20mila lire. Contatti: On/Off Records via Roccal 3-4
17028 Spotorno (Savona). Tel. 0341-578339.
E-Mail: onoffrec@mbox.vol.it
Suoni
nascosti
Un gruppo musicale non dev'essere necessariamente un luogo
d'incontro di gente che fa musica e basta: questa può servire
come pretesto per intrecciare sogni, progetti di vita, innamoramenti
ed amori.
La musica può essere un fuoco acceso in comune che riscalda
menti, mani, occhi in misura e proporzioni diverse. Gli Sniper
partono da un sogno lontano: Fabio e Carlo nei primissimi anni
Ottanta (in tempi non sospetti, cioè ben prima che degli sciagurati
CCCP si occupassero i punks bolognesi, poi i giornalisti dell'Espresso,
poi ancora le multina zionali del vinile) erano sinceri appassionati
di musiche fuori moda. Li ho conosciuti allora, nel pieno dell'era
new wave, delle tastiere sintetiche e del look-che-viene-prima-del-talento:
erano proprio gente strana, capaci di commuoversi per una ballata
slava o per una cassetta di musiche zingare Invece del pellegrinaggio
al Marquee e al Lyceum di Londra andavano alle feste popolari
in Carnia e in Slovenia, le ferie non le passavano in campeggio
in Provenza ma nelle campagne dei paesetti dell'Est: fisarmoniche
e tokaj invece che i megaconcerti duraniani e i raduni d'avanguardia.
Anche loro musicisti dilettanti, avevano scelto il nome Dava
i'Ciass e pubblicato un paio di demotapes con dentro canzoni
abissalmente malinconiche che sembravano fatte di melodie perdute:
non ho mai saputo se erano vere canzoni bulgare/slave/greche/balcaniche
riarrangiate oppure dei falsi clamorosi.
La vita è continuata attraverso gli anni Ottanta e Novanta,
e così pure le passioni. Forte di un giro di collaboratori sempre
in movimento, il gruppo prende consistenza e si dà un nuovo
nome: Sniper-il cecchino- il cuore nei Balcani ed il cervello
in Occidente. È fresco di stampa il loro cd "L'uomo di Bijeljina",
una raccolta di canzoni zingare, klezmer, macedoni, rumene,
rebetike vere e/o presunte tali.
Che dire? Cosa raccontare? Solo questo: una volta infilato,
è proprio difficile toglierlo dal cd-player. Non è cosa da innamoramento
fulmineo: quello degli Sniper è un lavoro da ascoltare e riascoltare
perché ogni nuovo ascolto sa rilevare particolari, suoni nascosti.
È musica che vi riempirà di gioia, di curiosità e malinconia
Vi verrà vog lia di bere vino, di improvvisare una danza, di
ridere senza un preciso perché e di diventare improvvisamente
tristi. Se non succederà siete fatti di pietra e non meritate
che le orecchie vi restino attaccate alla testa. Contatti: Sniper
fax 0421-55783
E-mail: sniper@usa.net oppure
esin001@pn.itnet.it.
Marco Pandin
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