Per la prima volta, dopo la sanguinosa repressione seguita
alla rivolta di piazza Tienanmen, il 4 giugno 1989, un presidente
«democratico» degli Stati Uniti, Bill Clinton, si reca in visita
ufficiale in Cina e lo fa dopo aver sprecato tutte le cartucce
che avrebbero potuto servirgli come moneta di scambio. Il 3
giugno scorso, infatti, aveva annunciato il rinnovo per un anno
della concessione alla Cina della clausola di «nazione più favorita»,
alla fine di aprile Sandra Kristoff, la consigliera di Clinton
per lAsia, in seno al Consiglio di Sicurezza nazionale, aveva
dichiarato: «Abbiamo notato grandi progressi, questanno, sulla
questione dei diritti delluomo in Cina.» I dissidenti e i fibetani
ne saranno contenti! Sempre a fine aprile, per la prima volta
dopo la «crisi dei missili» dellestate del 95, la Cina e Taiwan
hanno ripreso i contatti al livello più elevato e il governo
cinese ha affermato di auspicare una «riunificazione pacifica»,
in una prospettiva di lungo termine. I dirigenti americani e
taiwanesi farebbero bene a leggersi il libro di Richard Bernstein
e Rose Munro (1 ), che sostiene che la Cina è entrata in una
fase di «restaurazione della grandeur nazionale»: ossessione
della questione di Taiwan, nazionalismo esacerbato, che si coniuga
allinnato spirito anti-occidentale, sono gli aspetti che emergono
dai documenti interni della nomenclatura cinese, su cui i due
autori basano la loro tesi.
La Cina è una potenza nucleare a tutti gli effetti, sta procedendo
a un importante sforzo militare approfittando della collaborazione
della Russia e del fatto di disporre della seconda riserva valutaria
mondiale per dimensioni. Viene alla luce la sua concreta aspirazione
a un ruolo egemonico in Asia, che implicherebbe larretramento
della potenza americana.
Questa volontà di restaurare la potenza nazionale è anche un
mezzo con cui il potere costituito cerca di stornare da sé la
rabbia del movimento sociale, che sta traboccando. Ventanni
dopo lavvio della politica di riforme economiche voluta da
Deng Xiaoping, è arrivata al potere una nuova generazione, che
si è posta il compito di approfondire questa politica, pur preservando
lessenziale: legemonia del partito comunista. Il triumvirato
attualmente al vertice è formato da Jiang Zemin, che cumula
le cariche di segretario generale del PCC, di presidente della
repubblica e di presidente della commissione militare centrale,
da Li Peng, ex primo ministro e attuale presidente del parlamento,
e da Zhu Rongji, nuovo primo ministro, nominato il 17 marzo
1998. E questultimo che attualmente occupa la posizione di
primo piano. Zhu Rongji è un tecnocrate duro, deciso, fautore
di un centralismo autoritario che ha attirato su di lui lostilità
dei baroni delle province della costa e dei dirigenti delle
imprese di Stato, ai quali egli vuole sottrarre la manna dei
crediti facili. Il suo scopo è di realizzare il decollo economico
prima della privatizzazione.
Lo Stato deve conservare il totale controllo di un migliaio
di grandi aziende nei settori considerati strategici (difesa,
energia, alta tecnologia, infrastrutture). A livello intermedio,
nelle imprese medie e grandi «non strategiche», lo Stato accetta
di essere un semplice socio di riferimento a fianco dei nuovi
partner. Infine, a livello inferiore, lo Stato è invitato a
sganciarsi da una miriade di piccole aziende la cui privatizzazione
è prospettata in modo indiscriminato, secondo un programma che
si è già tradotto in unondata di fusioni, acquisizioni e fallimenti.
Il punto nevralgico è lo smantellamento dellindustria pubblica:
deficitaria al 70 per cento, con perdite che aumentano del 10
per cento allanno e che equivalgono attualmente all1,3 per
cento del PIL. Lindustria pubblica assorbe i tre quarti dei
crediti e la sua insolvibilita crescente porta al 30 per cento
la quota di crediti dubbi sul totale dei corsi, rendendo così
fragile tutto il sistema bancario. Sono centoventimila le imprese
coinvolte, equivalenti a 120 milioni di posti di lavoro, che
rappresentano ancora il 30 per cento dellattività industriale.
La ristrutturazione comporterà il licenziamento di 30 milioni
di lavoratori salariati, cui va sommato lallontanamento della
metà degli otto milioni di quadri del governo e del partito
che dipendono dallamministrazione centrale.
E tutto questo nel giro di tre anni! Ora, in queste aziende
pubbliche, ogni lavoratore (pur soggetto a un controllo strettissimo
della sua vita professionale e privata) godeva di tutti i vantaggi
del suo stato: casa, assistenza sanitaria, istruzione, ferie.
Tutto questo viene gradualmente smantellato, non solo per chi
si ritrova in mezzo a una strada (10 milioni di licenziati questanno),
ma anche per chi conserva ancora il posto di lavoro: inviti
allacquisto della casa o affitti più cari, sanità e scuola
a pagamento, obbligo di acquisto delle azioni della società
in cui si lavora, unico mezzo che consenta di conservare lo
status di operaio statale.
Rivendicazioni sociali
Ecco il risultato: aumento accelerato della disoccupazione,
enorme mobilità di masse di popolazione, raddoppio della criminalità
prodotta dalla precarietà e dai bassi redditi, incidenti sul
lavoro sempre più gravi, condizioni precarie di sicurezza. E
una situazione che presenta tutti gli ingredienti che preludono
a una violenta esplosione sociale. Unanalisi del genere è stata
presentata lo scorso 29 aprile ai responsabili sindacali da
Wei Jianxing, membro permanente dellufficio politico del PCC
e segretario generale dellunico sindacato autorizzato e ufficiale,
IACFTU: «Il paese rischia di essere travolto, da un momento
allaltro, da una fiammata di agitazioni sociali. Le autorità
si preparano a far fronte a disordini generalizzati.» (2) In
effetti si moltiplicano gli scioperi, le manifestazioni operaie
e le rivolte contadine, pur slegate tra loro. La risposta politica
invariabilmente consiste nel soffocare sul nascere qualsiasi
tentativo di organizzazione a livello nazionale non controllata
dal partito comunista, che teme come la peste uno sbocco politico
delle rivendicazioni sociali. Citiamo tre esempi tra tanti.
Il 20 marzo 1994 lavvocato Zhou Guoqiang è arrestato e condannato
a tre anni di campo di lavoro, per aver fatto stampare su alcune
magliette la scritta: «Diritto a sindacati indipendenti per
i lavoratori». Liberato il 20 gennaio 1998, è stato nuovamente
arrestato nella data simbolica del 1° maggio. Quanto a Lu Wemmming
e a Guo Baosteng, erano stati arrestati nel maggio del 1994
a Shenzhen, la più importante delle Zone economiche speciali,
di fronte a Hong Kong, dove avevano costituito un sindacato
indipendente di difesa dei lavoratori migranti, pubblicavano
un giornale per far conoscere i diritti a questi lavoratori
e avevano organizzato una scuola serale.
Detenuti per due anni e mezzo in una stazione di polizia senza
unaccusa precisa, sono stati processati nel novembre del 1996
e, con sentenza emessa i 29 maggio 1997, sono stati condannati
entrambi a 43 mesi di carcere, per avere «con riunioni e articoli,
incoraggiato lopposizione al partito comunista e quindi al
sistema socialista, incitando alla controrivoluzione. Tali attività
sono considerate alla stregua di un complotto che mira a rovesciare
il governo.» (3) Il 9 febbraio 1998 si è proceduto a espellere
e a rimandare negli Stati Uniti Wang Bingzhang.
Questi, in esilio da una ventina danni negli Stati Uniti, dove
anima la rivista «Primavera di Pechino», alla fine di gennaio
era rientrato clandestinamente in patria via Macao, prendendo
contatti con una dozzina di dissidenti, per gettare le basi,
nella clandestinità, di un partito politico della dissidenza.
Arsenale
repressivo
Questa spinta contestatrice spiega come mai, malgrado la restituzione
avvenuta il 1° luglio 1997, la Regione Autonoma Speciale di
Hong Kong rimanga unentità ermeticamente separata dalla Cina
continentale e perché la sorveglianza in frontiera sia stata
addirittura rinforzata. E pur vero che il 4 giugno ha potuto
svolgersi la commemorazione dei sanguinosi fatti di piazza Tienanmen,
cui hanno risposto in quarantamila, radunatisi a Victoria Park
malgrado la pioggia torrenziale, per mandare un chiaro messaggio
a Wei Jingsheng: «Se la popolazione di Hong Kong riesce a difendere
con fermezza questa piccola enclave democratica, questa sarà
essenziale per la democratizzazione della Cina.» (4) E vero
che Han Dongfang, che era tra coloro che nel maggio 1989 avevano
costituito la Federazione Autonoma degli Operai di Pechino,
privato della nazionalità e in esilio da quattro anni a Hong
Kong, anima ogni settimana, su Radio Free Asia, una trasmissione
in diretta nel corso della quale risponde alle: domande degli
operai del continente (5). E anche vero che il 24 maggio si
sono svolte le elezioni del primo consiglio legislativo dopo
il ritorno alla Cina, con una partecipazione del 53 per cento
dei votanti, cioè con 17 punti percentuali in più rispetto ai
tempi dellamministrazione britannica. E i partiti democratici
hanno raccolto il 60 per cento dei voti nelle circoscrizioni
soggette al suffragio universale, nonostante una suddivisione
sfavorevole dei collegi, conquistando 15 dei 20 seggi disponibili.
Ma...
Con leccezione del «China Daily», il quotidiano di lingua inglese
destinato agli stranieri, la stampa cinese del continente non
ha fatto parola sul risultato delle elezioni, tranne il «Quotidiano
del Popolo», in un semplice trafiletto di una pagina interna,
e la televisione, come ultima notizia del telegiornale nazionale,
omettendo di indicare la percentuale ottenuta dai democratici
e di citare il fatto che a queste elezioni partecipavano più
partiti. La maggioranza del Consiglio Legislativo è favorevole
a Pechino, perché 30 seggi sono riservati ai collegi professionali
e 10 sono di nomina governativa, e questi 40 seggi insieme rappresentano
i due terzi del totale.
Si è anche rafforzato larsenale legislativo della repressione:
lesercito può intervenire per assicurare il mantenimento dellordine
pubblico, la polizia può intervenire se giudica che esista una
minaccia alla «sicurezza nazionale», un concetto del tutto arbitrario,
come quello di «sovversione» nei confronti del governo centrale,
contemplato dallarticolo 23 della «Legge fondamentale» (6),
che si potrebbe applicare a un semplice appello alla democrazia
sul continente. I membri dei partiti democratici non hanno il
permesso di oltrepassare la frontiera che separa Hong Kong dal
continente; alle organizzazioni politiche è vietato stabilire
rapporti con altre organizzazioni straniere, con rischio di
una possibile estensione ai sindacati indipendenti. La libertà
despressione viene erosa a poco a poco, facendo ricorso al
ricatto delle formule propagandistiche e a pene più dure nelle
cause di diffamazione contro i giornalisti. Anche il degrado
dei diritti economici e sociali, con la deindustrializzazione,
la perdita di posti di lavoro, oltre alla forte fiessione del
mercato immobiliare e dellindice di borsa Hang Seng, che hanno
provocato numerosi fallimenti e fornito il pretesto a licenziamenti
senza preavviso, ha fatto crescere bruscamente lindice di disoccupazione,
molto basso fino a poco tempo fa, mentre limposta sulle imprese,
quella sì, è stabile al 19 per cento.
Insomma, autocrazia comunista e plutocrazia capitalista vanno
benissimo daccordo e, se pur sono prevedibili nuove esplosioni
di violenza, la strada da percorre per arrivare allemancipazione
sociale appare ancora molto lunga!
Jean-Jacques Gandini
(traduzione dal francese
di Guido Lagormarsimo)
1) Chine - Etats - Unis: danger, Éditions Bleu
de Chine, Paris 1.
2) «Courrier International», 14 maggio 1998 pp.
3) «La lettre dinformation», 99, 1 giugno 1998, bimensile pubblicato
a Parigi dalla «Commissione internazionale dinchiesta del movimento
operaio e democratico contro la repressione in Cina».
4) «Le Monde», 6 giugno 1998.
5) Pubblica anche un bollettino in lingua cinese, «Autocrazia»,
diffuso mensilmente allinterno della Cina in migliaia di esemplari.
Tradotto in inglese e francese dal marzo 1997, con titolo «Bulletin
des Travailleurs Chinois», 61, rue des Archives, 75003 Paris.
6) Minicostituzione in vigore a Hong Kong.
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