Se il dibattito politico ideologico si svolgesse davvero in
base ai valori che ostenta e sugli obiettivi che dichiara, della
condanna a cinque anni di reclusione, più le pene accessorie,
inflitta l8 giugno scorso a Patrizia Cadeddu dai giudici del
tribunale di Milano, si sarebbe dovuto discutere a lungo e con
grande clamore. Era il periodo, come ricorderete, in cui i media
e le forze politiche facevano un gran parlare di giustizia,
garantismo, di poteri (o strapoteri) della magistratura, dei
diritti dei cittadini inquisiti o imputati, del potere delle
Procure e della prevalenza, supposta o negata, delle ipotesi
accusatorie sulle considerazioni di merito. Ed è poco ma sicuro
che ben di rado, nella storia giudiziaria recente, una condanna
così severa è stata inflitta in base a elementi tanto evanescenti.
Patrizia Cadeddu, accusata di essere, come si è detto, la postina
della rivendicazione dellattentato al municipio di Milano del
25 aprile 1997 è stata ritenuta colpevole esclusivamente in
base allasserito riconoscimento di unimmagine video, quella
recepita dallimpianto di sicurezza della sede della redazione
di Radio Popolare di Milano, dove la rivendicazione era stata
recapitata, senza tenere in alcun conto il fatto che quellimmagine,
in realtà, era ben poco riconoscibile e, anzi, data la sua pessima
qualità, per poter essere in qualche modo presentata in tribunale
era stata necessariamente rielaborata per via elettronica. Un
caso da manuale, quindi, di garantismo negato e di capovolgimento
del principio della presunzione dinnocenza, come a dire di
applicazione di un teorema accusatorio fondato, evidentemente,
su elementi extragiudiziali.
Dibattito
pretestuoso
Be, di questo caso esemplare, evidentemente, non è importato
niente a nessuno, almeno a livello di media e di forze politiche
ufficiali (per non dire di A, che tanto ufficiale non dovrebbe
essere, ma che, pure, nel n. 247 ne ha riferito nella misura
minima di un trafiletto, il che è piuttosto scandaloso e speriamo
solo sia imputabile a qualche motivo di forza maggiore, come
le scadenze redazionali, e non a una deliberata volontà di minimizzazione).
A prova del fatto che il dibattito sul garantismo, in nome del
quale, pure, si sono compiuti gesti politici di una certa rilevanza,
come laffossamento della Bicamerale, e sul quale sembrano ancor
oggi giocarsi, a livello parlamentare, i rapporti tra governo
e opposizione, si rivela, allapplicazione concreta, largamente
pretestuoso e poco o nulla interessato alla difesa dei diritti
dei cittadini. Quanto basta per far capire a chiunque che i
potenti che hanno chiesto a gran voce certe garanzie, in realtà,
chiedevano soltanto delle immunità per sé e per i loro amici
e che gli editorialisti eminenti che si indignavano per certi
comportamenti della magistratura e ne proponevano una nuova
e più ragionevole organizzazione lo facevano in vista di interessi
di parte (il che è un peccato, perché la proposta di separazione
delle carriere inquirente e giudicante non è, checché se ne
dica, un invenzione o un monopolio della destra, ma unipotesi
sulla cui logica varrebbe la pena di confrontarsi).
Tutte queste, badate, non sono illazioni polemiche. Quel che
si è visto, in sostanza, è che quando una sentenza che dovrebbe
dar scandalo colpisce qualcuno che non ha nulla a che fare con
i poteri forti e, anzi, persegue (anatema!) un progetto politico
antagonista, essa non scandalizza proprio nessuno. Lantagonismo
politico, in qualsiasi forma si manifesti, non ha, nel nostro
sistema, diritto a garanzie di sorta.
Questo, naturalmente, significa che i diritti dei cittadini
vengono ancora valutati in base a criteri che ben poco hanno
a che fare con quei principi della democrazia liberale di cui
tutti, pure, si riempiono la bocca. Che sarà forse unovvietà,
ma non di quelle da trascurare. È vero che i principi della
democrazia liberale sono contradditori con la sostanziale illiberalità
e antidemocracità della società in cui viviamo, ma è proprio
su questa contraddizione che deve lavorare chi persegue una
trasformazione davvero significativa del sistema. Lindifferenza
che è stata dimostrata in merito anche da quanti, pur affermando
di sostenere le affermazioni di innocenza di Patrizia Cadeddu,
hanno trascurato completamente il problema, preferendo - magari
- inventarsi di sana pianta chissà quali responsabilità di Radio
Popolare e contro di esse inveire non è esattamente un segno
tranquillizzante.
Limitarsi
a inveire?
Cè unaltra costatazione ovvia che non è il caso di trascurare.
Una volta di più i professionisti dellinformazione non hanno
esattamente dimostrato di avere, in materia, grandi capacità
(o volontà, o possibilità) di giudizio autonomo. Persino la
notizia, in sé piuttosto eclatante, del recente pronunciamento
con cui la sezione feriale dello stesso tribunale, ai primi
di settembre, ha respinto le istanze della difesa, negando a
Patrizia Cadeddu la libertà provvisoria o, in subordine, gli
arresti domiciliari e dimostrando, diciamo così, una severità
ancora maggiore di quella dellaccusa, che a questultimo provvedimento
non si era opposta, è stata largamente ignorata dalla stampa.
I pochi che ne hanno parlato si sono limitati a far notare che,
tanto, lipotesi degli arresti domiciliari laveva già rifiutata,
in giudizio, linteressata, come se il fatto che qualcuno rinunci,
del tutto legittimamente, allesercizio di un proprio diritto
esenti chi ha il dovere di assicurargliene il godimento dal
farlo. Ora, che dei mezzi dinformazione non ci si possa fidare
più di tanto, è cosa fin troppa nota. Il problema è quello del
come reagire di fronte a certi casi plateali: se basti, anche
in questo caso, limitarsi a inveire, o se non sia il caso di
cercare di migliorare le proprie capacità di informazione alternativa.
Ma questo, naturalmente, è un altro discorso.
Carlo Oliva
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