(Qualche riflessione dopo la lettura del libro Elisée
Reclus, Natura e società, curato da John P. Clark
e pubblicato da Eléuthera)

Citare Reclus ai geografi contemporanei provoca reazioni sostanzialmente
standardizzate e raggruppabili in tre categorie principali:
1) stupore-insofferenza perché si cita un autore così
datato, 2) temporanea (anche divertita) condiscendenza verso
una evidente "mania" di chi cita un tale geografo,
3) stupore (disapprovazione) perché Reclus è...
anarchico (!) e quindi non geografo.
Non si considerano i casi di chi, pur essendo geografi,
non conoscono Reclus, solo per il fatto che non vi sono reazioni
fino a quando non si giunge a dire che era anarchico, dopo di
che si ha una reazione mista-variabile dei tre tipi.
Per quanto riguarda il fatto di essere "datato" va
ricordato che due geografi contemporanei di Reclus vengono ancora
oggi citati come pietre miliari del pensiero geografico; il
francese Vidal de la Blache ed il prussiano Friederich Ratzel.
Al primo si attribuisce, tra laltro, linvenzione dei concetti
di genre de vie e di regione; al secondo si attribuisce
listituzione della Geografia Politica e lidentificazione geografica
del concetto di stato (popolo, territorio e confini come prova
dellesistenza di ordine sociale).
Anche Reclus ha usato nei suoi scritti il termine di genre
de vie (e lo scrivente ritiene che questo abbia influenzato
Vidal) e di regione naturale ed ha certamente delineato la valenza
geografica dello lo stato, concepito nel suo intreccio tra popolo,
territorio e organizzazione sociale. La sua concettualizzazione
non escludeva la rilevanza spaziale dellorganizzazione sociale
e dei rapporti di produzione, come invece hanno fatto gli altri
due accademici che hanno risolto la questione nel riferimento
"neutrale" alle forme dellorganizzazione sociale
(stato, municipalità, ecc.).
Eppure lo storico Lucien Febvre (cofondatore degli Annales)
ha pubblicato nel 1922 un libro (cominciato però già
nel 1915) titolato La Terra e levoluzione umana e cita
Reclus di sfuggita annoverandolo tra i geografi enciclopedisti
a causa della sua Nouvelle Géographie Universelle
(in 19 volumi); dei sei volumi LHomme et la Terre, pubblicati
nel 1905, non una parola.
Perché Reclus non aveva metodo scientifico, si diceva
allora e si dice, per riflesso condizionato, anche oggi. Il
che è vero semplicemente perché ne usava un altro,
"incomprensibile" per certe forme mentali, allora,
come oggi, dominanti perché coerenti con laccettazione
del potere.
O forse, come afferma Yves Lacoste nellintroduzione al
numero speciale di Hérodote, n. 22, del 1981 dedicato
a Reclus, perché Reclus ha sfidato il dato a priori della
geografia accademica di allora e di oggi: lesclusione del politico
dagli studi. Lacoste ne sa qualcosa perché da quando
ha pubblicato (anni 70) un libro intitolato La geografia
serve prima di tutto a fare la guerra, ha subito un "confinamento
ideologico" dalle cui conseguenze lo ha parzialmente salvato
solo la politicizzazione di quegli anni. Lacoste definisce LHomme
et la Terre una svolta epistemologica nella storia della
geografia perché mostra che si può fare analisi
geografica senza riferirsi necessariamente allo stato come unità
di suddivisione dello spazio (Clark, p.27, 48, 74).
Quanto oggi sia utile una tale impostazione viene dimostrato
ogni giorno dai conflitti geopolitici nel mondo, ma in particolare
da quelli balcanici; così ottocenteschi e datati nei
loro presupposti ideologici. Da un lato la rivendicazione di
indipendenze ed autonomie in nome di un concetto di nazione
fondato sullomogeneità etnica (come in passato gli Italiani,
i Polacchi, ecc.) e dallaltro un potere internazionale (i soliti
pochi che comandano) che non sanno vedere altro che la conservazione
dello stato e dello status quo come riferimento di qualsiasi
azione geostrategica. Quanto sia fallimentare questo modo di
vedere le cose è testimoniato, purtroppo, dai massacri
e dalla incomunicabilità tra opposte fazioni che, per
paradosso, parlano in realtà la stessa lingua.
La sensibilità di Reclus nei confronti delle dimensioni
etniche del dominio (Clark, p.121), la sua attenzione ai modi
ed alle costanti dei raggruppamenti umani, la sua accettazione
della "mobilità" dei limiti di tali raggruppamenti
nel corso della storia, senza per questo considerare la guerra
come unico modo di relazione tra dinamiche gruppali diverse,
sono elementi concettuali che offrirebbero oggi capacità
di comprensione e di immaginare soluzioni praticabili su territori
concreti invece di fare trattative di pace (sempre in posti
lontani dal conflitto e sotto tutela dei potenti) "inseguendo"
dinamiche di guerra già operative nello spazio, spesso
solo perché non si sa come risolvere il problema dei
profughi.
La sua stessa concezione di regione naturale, che di naturale
ha quasi solo il nome tanta è la rilevanza data allagire
degli uomini come individui e/o come gruppi, intesa come relazione
dinamica bio-antropica (Clak, p.77) e concepita come una unità
di diversità, se fosse accettata al posto del mitico
stato con confini "certi", farebbe pensare a soluzioni
più praticabili, flessibili e pacifiche. La sua idea
che nelle regioni le dinamiche vanno accettate, per cui non
esiste il confine naturale (Clark, p.29, 33), ma che invece
bisogna accettare lidea di confini mobili è veramente
troppo "altra" rispetto ad una tradizione di pensiero
che si rifà a Ratzel, alla sua concezione dello stato
come di organismo vivente che "necessariamente" si
espande se aumenta il suo grado di civiltà. Quanto determinismo
in tutto questo! Eppure è Reclus che sconta il prezzo
delle sue concezioni abbastanza deterministe dei suoi scritti
iniziali del 1860-70 (Clark, p.57) e non Ratzel che le scrive
a fine secolo senza ripensamenti.
Non a caso da Ratzel deriva un filone di pensiero che porta
alla Geopolitik ed al concetto di "spazio vitale"
così utile al nazismo, mente Reclus dichiara apertamente
e motiva geograficamente la sua avversione per il nazionalismo
(Clark, p.109/111). Anche qui Ratzel viene assolto dallessere
lispiratore della Geopolitik con la curiosa argomentazione
che non può essere responsabile di ciò che è
stato scritto dopo di lui; il concetto di "cattivo maestro"
evidentemente non era ancora in auge.
La visione dello spazio di Reclus può essere intesa
come "organica", per i suoi continui riferimenti allequilibrio
tra componenti diversi, biologici ed antropici, ma non ha nulla
dellorganico inteso come struttura rigidamente connessa o,
tantomeno, dellorganico alla bio-org (tipo cyborg) immaginato
da Ratzel a proposito dello stato (anzi, Stato con la S maiuscola!).
Non a caso Reclus introduce un elemento che, mi sembra,
mai nessuno scienziato ha pensato o pensa di considerare metodologicamente
valido: la bellezza, in particolare dellambiente. Alzata docchi
al cielo: come si fa a misurare la bellezza!! Se non è
misurabile, allora non può entrare in un metodo scientifico
di analisi!
Certo è dura accettare lidea, non misurabile, della
funzione positiva della bellezza; sembra però difficile
negare il condizionamento negativo della bruttezza (Clark, p.35/36)
anche solo considerando la diversità estetica dei quartieri
e delle case dei ricchi, o dei grandi alberghi, o dei luoghi
di vacanza per abbienti, rispetto alle condizioni normali di
vita dei ceti meno, come si dice? meno fortunati? Allora la
bellezza può essere "misurabile" in termini
di costi aggiuntivi per comprare una casa o per garantirsi compagni
di viaggio e/o di divertimento di un certo livello.
Lelemento bellezza e la tipologia formale dellinsediamento
tornano utili oggi nel dibattito-analisi circa la città
postmoderna che coinvolge i modi di crescita delle città
(Clark, p.85) e gli aspetti formali che prende tale crescita;
in particolare le tendenze architettoniche ultime applicate
ai luoghi aperti al pubblico o in posizione visiva centrale,
in cui si nota un rimescolamento /mosaico di "segni"
e stili utilizzati al di fuori e lontano dal loro ambiente genetico
(Clark, p.29, 33, 65). Si pensi a Venezia che dà forma
ad un nuovo mega albergo a Las Vegas o il Mall ispirato al Colosseo
a Vancouver o la Bocca della Verità romana piazzata sulla
facciata di un disco-pub a Tokyo insieme a "segni"
europei variamente ed incoerentemente mescolati. Cè
chi ha parlato di "disneyficazione" del territorio
e del simbolo, ma già Reclus ne aveva accennato (Clark,
p.10) sia pure in termini ovviamente ottocenteschi, anche se
la Ville Lumiére era già un buon esempio di disneyficazione
dello spazio. Reclus, però, a differenza dei pensatori
postmoderni e dei loro analizzatori non si dimenticava la rilevanza
del condizionamento sociale e dellordine sociale nella costruzione
della città e quindi della centralità della proprietà
e del suo controllo (Clark, p.114/115), cosa che invece fanno
regolarmente quasi tutti i postmoderni, e probabilmente è
questa la causa del loro successo di critica e di pubblico.
Reclus era già "interculturalista" (Clark,
p.29, 56) e sottolineava la portata positiva, quando è
volontaria e cosciente, dellintreccio delle culture; parole
più che altro scomode in una fase non solo di immigrazione
continua, ma anche in una situazione di rigidità culturali
popolari ancora legate ai già citati concetti chiave
di confini rigidi ("rispediamoli a casa loro!"), di
omogeneità etnica (noi Padani), di inconsapevolezza politica
e sociale ("ci rubano il lavoro", "gli danno
tutto").
Questa valutazione positiva del mosaico interculturale si
associa, in Reclus, ad una valutazione di quello che sta succedendo
a livello mondiale, in termini che appaiono utili oggi per comprendere
il cosiddetto processo di globalizzazione. Appare in lui una
"deterministica" valutazione eccessivamente positiva
(o quantomeno di forza irresistibile) attribuita ai progressi
tecnologici (Clark, p.69), ma anche una chiara identificazione
dei soggetti attori del processo: gli USA (Clark, p.116), il
profitto (Clark, p. 115-117), il taylorismo e perfino un accenno
di visione post-taylorista (Clark, p.119-122). Ancora una volta
si trovano negli scritti di Reclus degli strumenti concettuali
che servono a capire loggi molto più di correnti di
pensiero idealistico-economico-totalitarie che oggi non solo
non sono in grado di capire, ma pure indicano vie socioeconomiche
pericolose da percorrere (finanziarizzazione e proprietà
a tutti i costi) o si attestano su difese strenue dellindifendibile
(lo stato, per gli ultimi marxisti).
Per chi vuole riproporre oggi alcune concettualizzazioni
di Reclus rimane lostacolo più difficile, contro cui
non cè argomentazione scientifica o razionale che tenga:
era anarchico.
Reclus si dichiarava prima anarchico e poi geografo (Clark,
p.74) e ciò potrebbe essere sottolineato e comprovato
dai suoi continui richiami, anche nei temi geografici, al volontarismo
dellindividuo, al senso-necessità dellazione nel modellare
il territorio, nella critica della società borghese e
del suo ordine socio-spaziale.
Nonostante ciò io ritengo che Reclus sia soprattutto
un geografo che pratica una geografia concettualmente anarchica.
Nei suoi scritti politici troppo spesso si fa prendere dalla
fiducia ottimistica nel sol dellavvenire; quando invece delinea
le relazioni degli esseri umani con e nello spazio recupera
un respiro descrittivo ampio, attento, non retorico e riesce
ad elaborare o ad affinare dei concetti che erano originali
e che sono utili oggi, pur in un mondo fortemente cambiato rispetto
al suo.
Per questo Reclus va rivalutato come geografo. Anche perché
va difesa la dimensione del "politico" quando si studia
lo spazio, cosa che i finti "non politici" temono
più di tutto.
Torna, come i conti alla fine, quanto mai opportuno e preciso
labbinamento fatto da Clark, che compare nellultima riga del
suo commento allopera di Reclus: libertà, uguaglianza,
geografia. E qui geografia è sinonimo di anarchia.
È proprio così.
Fabrizio Eva

Illustrazione di Francesco Berti
|