I bambini sanno molto degli adulti, sanno molte cose, perché
sentono dal cuore e nel cuore quanto viene comunicato, non soltanto
a voce ma con gesti, silenzi, sospensioni piene di amara tristezza
e preoccupazione e a volte con rifiuti o al contrario con una
disinteressata indulgenza affettiva. Linnocenza infatti è
semplicità, è quel sentite totalmente e senza
censure che fino a un certo punto tutti abbiamo, ma che poi
lasciamo corrompere dal tempo, dagli eventi.
Se arrivano censure, se le rimozioni hanno il sopravvento,
si crea un prima e un dopo e quindi un tempo senza coscienza
di sé, uneterna fuga dal presente e da ciò che
siamo. E senza ciò che siamo non può esserci amore.
Il mondo è già impazzito molte volte dentro qualcuno,
prima che questo qualcuno arrivi a compiere qualche nefandezza,
e ogni guerra, ogni vendetta, ogni rivalsa e avidità
hanno origini nel mancarsi. Mancando la nostra umanità-unicità
diventiamo disumani-massificati.
Tutti noi abbiamo sentito quanto importi agli operai delle
associate Nestlè dei bambini africani di cui la Nestlè
provoca la morte con una politica da genocidio. A loro importa
solo di lavorare per uno stipendio che permetta un tenore di
vita da standard occidentali e se è a scapito di troppi
che cosa conta? Questo per dire che lirresponsabilità
deve essere curata ovunque e se dando spazio alla fantasia portiamo
ai più piccoli qualcosa, una voce che non hanno sentito
ancora e se questa voce può dire quello che avremmo tanto
voluto sentirci dire, allora nellimmaginazione si apriranno
brecce e ci staccheremo dal buio.
Quando pezzi di memoria si staccano dal buio, possono salire
fino a noi e farsi comprensione e rifondersi con quello che
siamo creando memoria, ma non una memoria così pesante
da bloccarci con la paura e lapatia, ma una cosa nuova, una
linfa che nutre con lesperienza. Il passato non è solo
fantasmi o spauracchi, custodisce la nostra parte intatta, quella
che qui chiamo il bambino/la bambina selvaggia o il nostro intuito.
La libertà in questa parte integra non è un modo
di dire, né un essere alternativi, ma è un amare
follemente senza condizioni, aspettative o ricompense.
Alcune favole ci raccontano di questo. Lamore come atto
del raccontare è qualcosa di funambolico, è un
farsi giocolieri-narratori o inventori di macchine-parole la
cui lievità permette di volare. Imprimono sulla carta
quanto è vivo e niente è più vivo del sentimento
dellinfanzia. La voce narrante non è succube delle parole
in questo libro di favole di Paola Santerini o Kala (nome Sannjasin),
non ci son furberie o giochetti intellettuali perché
la consapevolezza non ha mire, è quello che è
e si dà perché ognuno la prenda e a nessuno è
negata. Forse il premio per chi racconterà la sua favola
(e ogni favola è bella) saranno delle ali come in La
rana volante che in Raccontando Novellandia (di Kala
Paola Santerini edizioni Antonio Stango Roma, lire 14.000, via
Ripetta, 66, 00186 Roma) è una di quelle che più
si fanno ricordare.
Favole libere, favole in cui nomi dalla bellezza strana
e fatata (Lapo, Astianatte, Zoe, Getulio, Afeo, Dula, Fara,
Gea, Zazzé, Luoxa, Maron, ecc.) rendono tangibile la
magia dellessere. Nei nomi corre lavventura dellesistenza,
nei nomi raffiora leco di quanto possiamo essere o siamo. Ho
avuto, in certi momenti, la stessa emozione ricevuta da alcune
pagine di Proustiana memoria.
In particolare il suono riaffiorante dei nomi dei paesi
in cui lautore pare perdersi, ma in verità riallaccia
nostalgicamente al presente. Però la nostalgia è
subito scacciata dalla pagina di Paola Serantini, e prevale
un soave ascendere, che lautrice non smette di ricordarci,
tutti abbiamo. Alice Miller chiama "testimone illuminato"
ladulto che entrando nella vita di un bambino in difficoltà,
porta la speranza e più ancora il senso che ogni vita
è preziosa e unica. Queste favole ribadiscono questo
con una trama di storie che divertono e commuovono. Se ai grandi
ne rimane che la nostra memoria è anche interminata fantasia,
consiglio a chi ha bambini di leggere loro questo libro e lasciarlo
in mano anche ai più piccoli per le belle illustrazioni
(un circo di sentimenti disegnati a colori), di parlare con
calma di quanto con calma questa autrice dà e dà
con convinzione, serenamente.
Il bambino e la bambina selvaggia che siamo sempre e che
ogni bambino/a è sempre, troveranno anche senza saperlo
quel sogno per cui viviamo. Il nostro sogno, quello per cui
siamo venuti qui.
Nadia Agustoni
Dentro la
Cina
Ronald Lew, autore di Lintellectuel, lEtat et la révolution
(éditions lHarmattan, 1997, 350 pp.), ci avverte subito:
"Il socialismo reale è moribondo. Sopravvive in
Cina, che pure rappresenta un quarto dellumanità. Ma
si tratta più di una sopravvivenza apparente che reale."
Una volta affermato questo fatto, Lew cerca di analizzare
e di rendere intellegibile il significato sociale e politico
di questo socialismo reale in salsa cinese, in una serie di
saggi densi e documentati che seguono un ordine cronologico.
Si spiega così una certa evoluzione del suo pensiero.
Per questo, ricordando lingresso della Cina nel mondo moderno,
allinizio del secolo, allinizio sottovaluta il contributo
anarchico, che pure sarà il primo ad attaccare frontalmente
lordine confuciano, la base ideologica del dispotismo in seno
alla famiglia e nello Stato, brandendo il vessillo delluguaglianza,
lunico capace di portare la liberazione a ogni individuo. Alla
fine del percorso, però, Lew rivede la propria posizione
e riconosce che lanarchismo ha costituito "fin dallinizio
degli anni venti il terreno fertile da cui sono emerse le successive
tappe della radicalizzazione".1
La principale di queste tappe, secondo lui, è stata la
creazione, nel 1921, del partito comunista, sorto con laureola
del successo della rivoluzione bolscevica del 1917. Ma, come
fare la rivoluzione secondo lo schema marxista, in una Cina
con una classe operaia di minuscole dimensioni sommersa in un
oceano di contadini? I tentativi dinsurrezione urbana a Canton
e a Shanghai, secondo le direttive di Stalin e del Komintern,
si erano risolti, nel 1927, in una sanguinosa disfatta ed era
stato inevitabile ricercare altre forze su cui basarsi per la
conquista del potere. Queste forze saranno individuate da Mao
Zedong2, allora in minoranza allinterno
del suo partito, nella classe dei contadini, rivolte sì
ancora al passato, ma che pur rappresentavano una massa "malleabile"
la quale, una volta inquadrata dal partito, permetterà
a questultimo di portare a compimento il proprio progetto di
società.
Linvasione giapponese3 verrà
sfruttata per mobilitare queste masse contadine: il partito
comunista ammanterà i suoi discorsi di un tono nazionalista:
"la difesa del suolo della Patria". La Cina sarà
considerata insieme un popolo e una classe, la liberazione nazionale
prenderà il sopravvento su quella sociale e le masse
contadine saranno utilizzate come semplice strumento per il
rovesciamento della società e non come soggetto attivo
e consapevole. Questo privilegio resta riservato al partito-Stato,
ai cui quadri, in gran parte intellettuali che avevano abdicato
alla propria funzione critica per rimodellarsi come militanti
disciplinati4, spetterà il compito
di rendere operativo questo progetto di modernizzazione, dindustrializzazione
urbana, che si vuole rappresenti "il socialismo reale in
atto".
Ma le prime riforme messe in atto e gli iniziali successi
economici non riescono a occultare per molto la realtà
di un partito resosi autonomo rispetto alle "masse"
e che con un processo di delega a catena, porterà alla
dittatura del solo Mao Zedong. Che cosa resta del sogno di emancipazione
sociale? Deng Xiaoping, per parte sua, non farà che "cambiare
tutto per non cambiare niente": limportante, quali che
siano gli sviluppi e i mutamenti, è che il partito comunista
conservi il potere, rimanga il padrone del paese.
E lautore conclude: "Non era ancora arrivata lora dellautoemancipazione
sociale." Per quanto tempo ancora?...
Jean-Jacques Gandini
1. op. cit., Allegato 1.
Sullargomento si veda: J.J. GANDINI Aux sources de la
révolution chinoise: les anarchistes, Atelier de
Création Libertaire, Lyon 1986; Arif DIRLIK, The Origins
of Chinese Communism, Oxford University Press, USA, 1989;
Arif DIRLIK, Anarchism in the Chinese Revolution, University
of California Press, 1991.
2. Che deve molto al suo mentore, Li Dazhao,
che Mao ha tenuto nascosto: nel 1919 Li era il suo diretto superiore
alla Biblioteca dellUniversità di Pechino e fu lui che
dal 1926 elaborò il concetto di "nazione proletaria"
rivolgendosi alla classe contadina. Nellaprile del 1927 fu
strangolato a Pechino dagli sbirri del signore della guerra
Zhang Zuilin e non ebbe il tempo di fare ombra a Mao...
3. Prima in Manciuria nel 1931, poi su tutto
il territorio cinese nel 1937.
4. Secondo un meccanismo abilmente smontato
da Guilhem Fabre nella sua Genèse du pouvoir et de
lopposition en Chine, lHarmattan, 1990.
Il ragazzo della
Trecca

Non temete, non ho alcuna intenzione di aprire una nuova rubrica
sul genere "Lutti Nostri", al contrario vorrei farvi
partecipi di una scoperta: in modo assolutamente casuale mi
è capitato tra le mani un libro scritto da Sergio Leondi
(Fischia il vento. Contributo alla storia della Resistenza
partigiana in Zona 13. Milano 1943-45), pubblicato dalla
sezione Ovaldo Brioschi dellANPI di Milano.
Probabilmente il nome di Brioschi a molti non dice nulla,
eppure io ho provato una forte emozione riportandomi alla memoria
una delle più agghiaccianti esperienze chio abbia mai
vissuto contro le burocrazie cittadine.
I fatti.
Nel 1995 il Centro Studi Libertari di Milano decise di organizzare
una giornata di studi sulla resistenza anarchica e di produrre
in collaborazione con la Fondazione Anna Kuliscioff un video
che tratteggiasse il contributo dato dagli anarchici alla resistenza
italiana. A tale proposito ci sguinzagliammo alla ricerca dimmagini
che ridessero un volto ai tanti compagni che ebbero un ruolo
in quelle vicende e, nel mio caso, mi avventurai a cercare nel
Campo Partigiano del Cimitero Maggiore, limmagine da riprodurre
fotograficamente di Osvaldo Brioschi, sottovalutando le conseguenze
di un gesto così naturale e rispettoso.
Intercettato dalle guardie cimiteriali fui trattenuto sino
al sopraggiungere dei vigili urbani i quali procedettero al
sequestro del rullino fotografico, peraltro non ancora utilizzato
ed allerogazione di 100.000 lire di multa per non so quale
infrazione al codice di Polizia Mortuaria (ebbene sì,
esiste anche questo!), consegnatami a casa da una solerte pattuglia...
Daltronde il senso dello spirito (e non perché parliamo
di cimiteri) non devono averlo molto presente se alla vicina
cascina autogestita Torchiera sono riusciti a denunciarli per
"disturbo della quiete cimiteriale nelle ore notturne",
un chiaro ammonimento a non disturbare il riposo - eterno -
dei vicini con musica troppo alta.
Ma torniamo al Brioschi; capite bene che, reduce da questi
antefatti, lOsvaldo sia diventato per me un amico e scoprire
che già dal 1972 esiste una sezione a lui intestata non
può che essere una buona notizia.
purtroppo le buone nuove finiscono qui perché nel
libro di Leondi - vero reperto fossile di lessico ciellennistico,
tutto teso a dimostrare lunità delle forze antifasciste
pur naturalmente sotto legemonia delle avanguardie operaie
comuniste e questo in pieni anni ottanta - si parla diffusamente
di un Brioschi velatamente ascritto tra i grandi eroi comunisti
omettendo un piccolo particolare: il ruolo che ebbe nella fondazione
delle nascenti Brigate Bruzzi-Malatesta, ovvero una delle esperienze
organizzative anarchiche più significative nei venti
mesi di resistenza italiana.
Brioschi fu una figura veramente eccezionale, nato nella
periferia di Milano, in un quartiere chiamato popolarmente la
Trecca, in fondo a viale Zama, fatto di case minime ora demolite,
giovanissimo divenne operaio della Caproni, allora uno degli
stabilimenti di punta dellaeronautica italiana (nelle sue officine
fu costruito il primo prototipo di aereo a reazione italiano)
e con delle maestranze estremamente combattive e politicizzate
che furono in seguito tra le colonne portanti della resistenza
milanese. Con lotto settembre la sua vita iniziò a prendere
un ritmo vorticoso: partecipò alla difesa armata della
fabbrica nei giorni successivi allarmistizio, disarmò
e mandò via nudo un soldato tedesco presso lo stabilimento
Montecatini, compì in assoluto la prima azione rilevante
di guerriglia in città. Il primo ottobre 1943 fece saltare
in aria un deposito di munizioni di una batteria antiaerea nelle
vicinanze di Piazza Ovidio.
Collegato con Germinal Concordia, futuro comandante delle
formazioni anarchiche cittadine, partecipò alla costituzione
dei primi nuclei libertari nel quartiere Taliedo, così
Concordia attesta il suo contributo: "Il primo gruppo di
quelle che dovevano poi diventare le Brigate Malatesta fu certamente
quello composto da me, dai fratelli Brioschi e da qualche altro
di cui non ricordo bene il nome perchè rimanemmo assieme
troppo poco tempo e che partecipò alla battaglia del
San Martino, conclusasi disastrosamente".1
La battaglia del San Martino, il primo grande scontro campale
della resistenza italiana.
Dalla fine di settembre in Valcuvia nel varesotto, si radunarono
i primi partigiani sotto il comando del colonnello dellesercito
Carlo Croce, fondatore del gruppo Cinque Giornate. Purtroppo
la condotta di questo ufficiale sarà ricordata come tutto
quello che non bisogna fare in una guerra di guerriglia: attendismo
(arrivò a minacciare di fucilazione alcuni partigiani
che avevano sparato contro i tedeschi), mentalità difensivistica,
campi trincerati in vista di una guerra di posizione come nel
15, autoritarismo da caserma.
Quando i nazifascisti decisero di spazzare via i resistenti
ebbero gioco facile mettendo sulla bilancia il peso dei mezzi
a disposizione.
Dopo pesanti bombardamenti le fortificazioni del Monte San
Martino cedettero e con esse trovarono la morte tra prigionieri
fucilati e caduti in combattimento 38 partigiani, tra i quali
il diciottenne Osvaldo Brioschi salito in montagna il 5 novembre
1943 e fucilato dodici giorni dopo2
.
Ricorda il sopravvissuto Germinal Concordia: "Osvaldo
Brioschi fu fucilato dagli italiani al servizio dei tedeschi,
insieme con altri 68* prigionieri. Prima della fucilazione furono
interrogati e orrendamente sfigurati. Poi furono seppelliti
nella fossa comune. Ferito mi salvai in modo miracoloso ed appena
possibile feci ritorno a Milano".
Questo, caro Osvaldo, te lo dovevo, se non altro perché
è già difficile essere ricordati e quasi mai come
si vorrebbe...
Dino Taddei
1. Appunti per una storia delle Brigate Bruzzi-Malatesta.
Relazione storica inedita di Germinal Concordia, Milano, 1975.
Originale presso Fondazione Kuliscioff. Copia depositata presso
Archivio Pinelli di Milano.
2. Elenco dei compagni caduti durante la lotta
clandestina e le giornate insurrezionali. Faldone Brigate Bruzzi-Malatesta,
Fondazione Kuliscioff. Copia depositata presso Archivio Pinelli
di Milano.
* Probabile errore di battitura. I morti accertati furono 38:
2 in combattimento e 36 fucilati.
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