Si muovono a piccoli gruppi, circospetti.
Età media 18-20 anni, felpati larghi di preferenza scuri
e un'immancabile zainetto sulle spalle: sono writer.
Dopo un decennio di relativa e ondeggiante tolleranza, si è
abbattuto su di loro lo stigma della giunta milanese. Da alcune
settimane, le bacheche comunali ospitano un'ordinanza che richiama
altre epoche e malfattori. Gli autori dei graffiti murali saranno
passibili di pesanti pene pecuniarie e obbligati a risarcire
i danni arrecati al patrimonio edilizio. La cittadinanza è
invitata a collaborare, ma per non generare equivoci, per tale
collaborazione è prevista una ricompensa individuale.
In altri termini, i denuncianti avranno diritto ad una parte
del denaro frutto delle contravvenzioni.
Il cambio di rotta era stato preannunciato; un'accesa polemica
aveva contrapposto i fautori del dialogo ai soliti falchi. Se
le immobiliari denunciavano i vandalismi, la spray art
costituisce da tempo un oggetto del desiderio per un sistema
eternamente a caccia di nuovi spunti. Tra i movimenti nati dalla
strada, l'hip-hop rappresenta infatti la realtà più
saccheggiata da campagne pubblicitarie e linee di abbigliamento.
Comunque sia, il plagio murario e le perversioni urbanistiche
non richiamano ipotesi di reato; il graffito sì. Si profila
una società dove ogni attentato al grigiore della facciata
andrà represso, dove le discrezionalità di scelta
e d'espressione dovranno ridursi a vantaggio di un benessere
posto come generale. Ne fornisce testimonianza la proliferazione
di regolamenti, tempi di attesa e procedure che va a scandire
l'esistenza nel mondo sviluppato.
La taglia diviene incentivo a una collaborazione che idealmente
si presuppone spontanea. L'ordinanza dovrebbe soddisfare un'esigenza
pubblica, porsi come atto promulgato in nome della collettività.
E qui la contraddizione si fa più evidente: perché
ricompensare una manifestazione di coscienza civica che trova
valore in se stessa? E ancora. Perché premiare un tipo
di segnalazione discriminandola da ogni generica denuncia, quando
la città assiste impassibile a ben altri crimini?
Il tema riporta due orientamenti complementari. Da un lato il
rapporto tra istituzione e cittadino tende a svilupparsi in
termini sempre più contrattualistici. Una prospettiva
che potrebbe portare a ricompensare il voto, o la prestazione
spontanea di soccorso, operando una inversione di senso rispetto
ai passati valori etici e solidaristici. Una prospettiva che
trasforma il paziente del servizio pubblico, od oltre, lo studente
della scuola dell'obbligo, in "clienti". Un secondo
orientamento sembra attribuire il primato alla condizione della
facciata sul brulicare di virus e problemi che affliggono il
corpo sociale.
Se tuttavia l'hip-hop nasce nella Harlem degli anni '60 come
prototipo delle culture metropolitane successive, a oggi rappresenta
una realtà diffusa a livello planetario. Una realtà
per alcuni capace di superare le ormai inevitabili ondate repressive,
per altri destinata a rapido riflusso. Ma lasciamo la parola
a Teatro, esponente storico del writing milanese attivo
dalla metà degli anni '80.
È possibile a tuo parere, e come, arginare su un
piano pubblico e di mediazione sociale la svolta rappresentata
dall'ordinanza Albertini?
Animare iniziative, manifestazioni e richiamare l'attenzione
sul problema, indubbiamente è utile. Alla fine i ragazzi
apprezzano molto, anche se non lo danno a vedere, perché
si sentono coinvolti, tirati in mezzo. Il problema è
che sia la linea dura, sia la linea morbida in realtà
non hanno effetti sul mondo del writing. Si tratta di
un mondo che funziona su regole proprie e che non si lascia
influenzare. Si è visto che anche dove la repressione
è stata altissima, in particolare nel Nord Europa, il
movimento ha tenuto. Si ferma un writer, lo si arresta,
se ne arresta un secondo, ma nuove leve prendono il loro posto.
Questi impareranno dall'esperienza, si faranno più furbi
e cercheranno di fare cose nuove. Non ha senso esagerare con
le iniziative sulla spray art, quando in realtà
questa può, e deve, andare per la sua strada. Il writing
è un mondo in fondo estraneo alle forme di spettacolo.
Chi lo vive dall'interno ne percepisce l'ispirazione anarchica.
Le manifestazioni pubbliche hanno comunque una specifica utilità
rispetto all'evoluzione stilistica individuale. Si può
infatti dipingere in tranquillità senza l'assillo della
polizia, si ha un pubblico e la situazione può divenire
realmente appagante.
Il writing è una contraddizione perché
da un lato utilizza materiali e spunti provenienti dalla realtà
metropolitana, cui è integrato, dall'altro risulta per
molti aspetti incompatibile con la società.
Se ho ben capito, non credi all'efficacia delle strategie
repressive sulla vitalità del movimento; ma quale dunque
il rapporto tra il riflusso che attualmente si registra negli
Stati uniti e le politiche di Rudolf Giuliani?
A NY il writing seguendo il proprio percorso si è
autoestinto. Dopo trent'anni la matrice si è affievolita:
le prime generazioni si sono ritirate e le mode sono cambiate.
La maggior parte dei vecchi writer ora sono padri di
famiglia, altri sono emigrati dove il movimento è ancora
forte. Colpisce come oggi la spray art in America s'indirizzi
verso i memorial: iconografie per gli amici scomparsi.
In una realtà così spersonalizzante e violenta
diviene importante mantenere il ricordo di quanti per piombo,
droga o incidente se ne vanno, magari a quindici anni. Il graffito
è di solito realizzato dalla banda di appartenenza e,
per tacita convenzione, viene rispettato sia dagli abitanti,
sia dalla polizia.
Quanti continuano a concentrarsi sulle tag si trovano
comunque in una situazione poco motivante perché dopo
decenni di spray art, la gente non nota più i
graffiti; non esiste più riscontro. Il raggiungimento
della notorietà, fondamentale per ogni writer,
diviene impossibile.
Un altro carattere che colpisce nella realtà statunitense
è la commercializzazione della cultura hip-hop nel suo
complesso, commercializzazione alla quale una parte del movimento
sembra avere aderito. Come valuti questo orientamento?
Il movimento hip-hop ha sempre accettato questo tipo di impostazione.
Come movimento non è mai stato veramente alternativo;
in particolare le band musicali hanno mirato a far soldi e nessuno
lo ha mai negato. Il processo di avvicinamento ai gruppi rap
più politicizzati e indipendenti in America è
stato successivo. La realtà italiana si differenzia in
quanto ha integrato matrici che derivavano da esperienze precedenti,
come l'autoproduzione, rare negli Stati uniti. In generale bisogna
tenere presente che l'hip-hop medio segue o mira a seguire la
moda, vestiti e scarpe costosissimi. La sua aspirazione è
realizzare la propria identità di tabbozzo all'americana:
anelloni e catene d'oro, macchina e pistola. La cultura del
ghetto, in fondo non diversa ad Harlem e a Napoli - l'hip-hop
è attecchito molto nei paesi latini - è cultura
dell'apparire.
Il meccanismo di commercializzazione della cultura hip-hop
non può aver contribuito al riflusso del movimento negli
Stati Uniti?
No, non credo proprio, in quanto l'hip-hop si è divulgato
esponenzialmente seguendo i meccanismo di mercato. I rapper
neri hanno venduto milioni di copie diventando famosi in tutto
il mondo e in Italia negli anni '90 c'è stato un boom
spaventoso che ha catapultato il rap nelle hit parade
nazionali. Un processo simile ha riguardato i graffiti. Dieci
anni fa eravamo in 40, oggi siamo decine di migliaia. Le nuove
leve hanno appreso dai giornali, dalla televisione, da Videomusic,
mentre all'inizio il writing si è sviluppato nei
centri sociali, dove ho cominciato anch'io. L'hip-hop si è
trasformato in un percorso alternativo, che per espandersi utilizza
pienamente i meccanismi della società capitalista e di
mercato.

Il fatto che a Torino si sta tentando di istituzionalizzare
il writing concedendo muri "legali", non rischia
di snaturarne l'impulso più originale?
In un certo senso lo snatura; però il writing
ha un potenziale talmente grande da invadere e trasformare tutto
ciò che tocca. Se gli concedi uno spazio, se ne prende
200; passando davanti ai muri dipinti, pochi si accorgono della
velocità con cui i graffiti cambiano. Il graffito può
nascere in una notte e morire il giorno dopo: il tempo di fare
una foto al pezzo e il pezzo è già vecchio. Il
writing non potrà essere ucciso dall'esterno.
Ha comunque senso la politica del muro legale?
Secondo me sì, anche se non servirà a risolvere
il problema della contrapposizione con quanti odiano i graffiti.
La gente che si sente più direttamente colpita è
quella incapace di leggere le problematiche e le dinamiche che
sottostanno a questa forma di espressione. Una delle finalità
più criptiche della spray art è in ogni
caso la provocazione. In questo senso il graffito è una
pubblicità, quanto il suo contrario. Il writer
mira a diffondere il più possibile e a perfezionare il
proprio marchio: muri alti e visibili, come tetti delle case
e impalcature, o treni, che permettono al messaggio di viaggiare.
Al livello più alto, un writer non è riconosciuto
dalle lettere che formano la sua tag, ma dallo stile.
Le crew possono riconoscerne un pezzo, anche se questo
si trova su un treno in corsa: "Ha, quello è...".
Questa è una delle massime soddisfazioni per un writer.
La gente comune abituata alla pubblicità istituzionale
fatica a comprendere un messaggio che non vuole promozionare
un prodotto. Fatica a comprendere che si possa dipingere per
il gusto di farlo, rischiando e rimettendoci anche i soldi delle
bombolette. Il graffito spesso offende e attacca. Alcuni writer
20 anni fa teorizzavano l'uso di lettere "armate";
studiavano "l'iconoclastia delle lettere" per comunicare
sensazioni forti e di repulsione al passante. Di repulsione,
ma nello stesso tempo di fascino; i pezzi attraevano, difendendosi
da chi li osservava. Il writing è una forma culturale
particolarmente contorta; la maggior parte dei writer
si comporta in una maniera totalmente involontaria. Non lo ammetteranno
mai, ma spesso non sanno ciò che fanno perché
il significato rimane inconscio.
L'involontarietà dell'effetto costituisce una percezione
comune; tuttavia appare evidente che il pezzo, e più
in generale il movimento, abbiano una ricaduta sociale, suscitino
delle reazioni...
Al writer non è mai importato della ricaduta
sociale. Non è che quando eravamo in pochi fosse meglio;
nei primi anni c'era in realtà più repressione
di adesso. Se ti pescavano per la strada con la bomboletta ti
portavano direttamente in questura, pensando che stessi facendo
scritte per le BR. Non potevi tirare fuori la bomboletta che
qualcuno aveva già telefonato alla polizia; adesso questo
non succede quasi più. Forse ricomincerà nei prossimi
mesi perché Albertini ha deciso di stimolare la delazione
con una paga...
In realtà esiste molta più tolleranza da parte
della gente: alcuni hanno cominciato a capire, altri ci sono
andati incontro, molti si sono semplicemente abituati. I graffiti
sono entrati interamente nella società: ogni pubblicitario
finisce per piazzare la fotomodella in posa davanti a un graffito.

Se da una parte emerge un atteggiamento di duplicità
dei writer rispetto al sistema, dall'altra il sistema
reprime, ma attinge a piene mani da tutto ciò che la
cultura hip-hop propone...
Il sistema, mercato o repressione, non potrà relegare
l'hip-hop. Il rischio che si profila è piuttosto che
anche da noi si sentano gli effetti dell'onda lunga e, come
è successo negli Usa, il movimento cominci a scemare.
Già vedo che i writer più vecchi dipingono
sempre meno perché cominciano ad accasarsi; la vita ti
travolge con le sue vicissitudini e ti perdi...
La capacità di adeguamento a contesti lontani e di
mutazione dimostrata dal movimento non potrebbe aiutarlo a compiere
ulteriori metamorfosi?
È probabile perché nonostante le discordanze
e le repressioni ha dimostrato notevoli capacità di adattamento.
In ogni città potrai trovare situazioni differenti e
modi diversi di agire. Un esempio limite è quello di
Monaco: alcuni anni fa c'è stata un'esplosione di writing.
I Le crew avevano riempito muri e treni di graffiti,
ed erano veramente cattive. C'è stata una reazione molto
forte: le ferrovie hanno cominciato a ripulire le carrozze prima
di farle uscire, facendo girare solo treni puliti. Pensavano
di demotivare i writer perché i pezzi non sarebbero
più circolati, ma questi hanno cominciato a rompere i
finestrini dei treni puliti per costringere le ferrovie ad utilizzare
quelli dipinti. La mossa successiva è stata assumere
delle guardie armate; i writer hanno iniziato a incidere
i vetri con la punta di diamante. Un rischio che si è
corso anche in Italia.
Perché il writing in questa fase scatena reazioni
così dure?
Perché fondamentalmente il writing è incompatibile
con l'istituzione. In Italia il problema è acutizzato
da una pratica di deturpazione delle opere artistiche e di palazzi
d'epoca, sulla quale non sono d'accordo. Come artista riconosco
e rispetto l'arte altrui. Ma se capisco il punto di vista di
coloro che combattono il writing, penso anche che i graffiti
siano una reazione al mondo in cui viviamo. Esistono qui e ora.
In un mondo diverso, più libertario e culturalmente evoluto,
probabilmente non sarebbe nata l'esigenza che li anima, esigenza
di cui non voglio tentare la giusta definizione.
Forse non esiste una definizione univoca... Tra le varie
reazioni, non è da trascurare chi apprezza il graffito
come tentativo di contrastare il grigiore delle periferie o
come forma di antagonismo non violento a una società
via via più normativa.
Sì, anche nella mia esperienza si tratta di una reazione
frequente. La contrapposizione tra colore e grigiore rappresenta
tuttavia più uno spot da centro sociale che un contenuto
del writing. Una travisazione in termini di antagonismo
politico. Gli ambienti alternativi di sinistra hanno tentato
di interpretare a loro modo e hanno spesso forzato presentando
il writing come movimento di lotta contro l'alienazione
metropolitana. In realtà si tratta di una dimensione
più intima e individuale, di una reazione non inquadrabile
nelle logiche politiche, ma da riferire alle dinamiche di spersonalizzazione,
agli effetti sui singoli di una città insana. Il writing
è nato nella prima vera metropoli moderna: cemento e
strade parallele, uniformi. L'istinto dei ragazzi che hanno
iniziato è stato difendersi da un mondo senza senso e
speranza esprimendo, tracciando dei segni.
Puoi chiarire meglio perché la lettura dei centri
sociali ti sta stretta?
Seppure sia stato uno dei primi a dare un'interpretazione politica
al movimento, col tempo ho capito che non era giusto. La lettura
era troppo univoca, ed è divenuta talmente ideologica
che il writing si è discostato dai centri sociali.
Secondo me, attualmente la maggior parte dei writer non
vuole più avere a che fare con gli ambienti alternativi.
Se dunque all'inizio il centro sociale è stato un trampolino
per la cultura hip-hop, in seguito questa è andato differenziandosi.
Rispetto al complesso del movimento, come ti sembra che
si collochino quanti continuano a dipingere graffiti con contenuti
politico-sociali?
Chi ha cominciato a fare graffiti politici ha utilizzato una
nuova tecnica e un nuovo stile per sviluppare quanto prima era
rappresentato dal murales. Il writing è invece
nato in maniera autonoma e senza alcuna intenzione di fare da
veicolo a messaggi sociali e ideologici rivolti a un pubblico
più ampio di quello delle crew. Il writer deve
innanzitutto dimostrare la propria capacità tecnica in
termini di stile e lettering, poi eventualmente potrà
inserire altri elementi.
Da una parte alcuni writer pongono le regole di strada
come valore ed elemento della loro identità, dall'altra
spesso si ha l'impressione che sia molto declamato e poco applicato...
È un valore e un valore prima di tutto istintivo. Bisogna
partire dal fatto che il writer segue il codice perché
sa che senza non raggiungerà il proprio obiettivo: lasciare
un'impronta e diventare famoso nel mondo delle crew.
La ricerca d'identità deve necessariamente passare attraverso
l'applicazione delle regole comuni. Se dipinge in altri termini
e con altri criteri, potrà diventare famoso solo in ambiti
diversi. Se non si capisce questo, non si potrà comprendere
l'origine e la filosofia del writing, rischiando di fare
degli errori.
Qual è la tua motivazione nella realizzazione di
un pezzo?
Creare qualcosa di piacevole prima di tutto per me, e poi alla
vista degli altri. Il periodo nel quale avevo l'esigenza di
mettere il mio nome dappertutto l'ho passato da un pezzo. È
tra l'altro stato breve, perché la mia non era una esigenza
forte; quando ho cominciato ero già conosciuto e sono
passato direttamente alla fase della ricerca stilistica. Un
piacere particolare, immenso, è dato dal fare i treni.
Di notte, col gruppo e i compagni di avventura; è una
sfida a tutto ciò che hai intorno. Ci sono writer
che fanno cose impensate; dall'esterno sembra assurdo passare
le notti in bianco, farsi anche duecento chilometri e dormire
sotto un ponte con un sacchetto di bombolette, magari al freddo,
per andare in un luogo particolare per i treni.
Una critica frequentemente portata al movimento hip-hop
è di essere eccessivamente chiuso in se stesso cosa ne
pensi?
È vero, è verissimo. Il movimento è chiuso,
e da questo punto di vista anche ignorante. Credo che questo
costituisca un limite, come per la maggior parte dei movimenti
nati in situazioni repressive. Gli hip-hop sono anche integralisti;
soprattutto i più legati alla matrice americana. Questi
si rifanno al puro stile newyorchese e forse rappresentano la
fazione predominante.
Come può un movimento integralista essere anche,
come lo hai definito tu, anarchico?
È anarchico nel senso che non si può inquadrare
né con la repressione, né con i tentativi di istituzionalizzazione.
Intendevo il termine in senso lato, a prescindere del senso
storico-letterario.
In un recente cortometraggio (Fame chimica di Antonio
Bocola e Paolo Vari) l'hip-hop è stato presentato come
possibile alternativa alla vita tossica delle bande di quartiere.
È una visione condivisibile?
Non ho visto il film. Quello che ti posso dire è che
esiste una contraddizione di fondo in chi pensa di utilizzare
l'hip-hop per azioni di sostegno verso persone il cui obiettivo
è distruggersi...
Dal tuo punto di vista l'intervento sociale è inutile?
È abbastanza inutile fintanto che il mondo in cui viviamo
andrà avanti con questa rapidità di cambiamento
e contraddizione. Se non si cambia il fondamento, ogni intervento
sarà inutile. Non esiste più neppure la possibilità
di fuga verso l'isola felice, l'approdo finale. Chi non ce la
fa ha il diritto di decidere di suicidarsi.
Ma in un mondo così povero di fermenti, che non siano
fermenti costruiti in laboratorio, il writing può
costituire un'alternativa?
L'istituzione di fermenti ne costruisce veramente pochi. I
fermenti nascono da altre cose, l'istituzione al massimo ha
acquisito, modellato e adattato. Tutti i fermenti hanno in realtà
avuto una incubazione underground.

Quanto ti disturba il costante richiamo al vostro lavoro
e la capacità del sistema di fagocitare e restituire
in termini di mercato?
Mi ha disturbato anche al di là dei graffiti e me lo
sono vissuto in molte altre situazioni. Lo detestavo soprattutto
perché mi sono reso conto della mia impotenza. Ti potrei
fare un esempio avvenuto a Milano molto prima dell'espansione
dei graffiti. Nei primi anni di occupazione, il centro sociale
Conchetta ha rappresentato un'esperienza totalmente nuova. Prima
di allora ogni gruppo, ogni fazione politica, aveva la propria
sede e i propri affiliati e queste vivevano separate e in contrasto
tra loro, fondendosi solo raramente in azioni collettive. Conchetta
è stata la scintilla di un cambiamento che era nell'aria,
perché lì erano presenti tutte le componenti:
anarchici, ecologisti, cani sciolti, autonomi, fricchettoni,
punk e scappati di casa. Le persone più diverse stavano
insieme e lavoravano insieme. È stata un'esplosione:
eravamo riusciti a incrinare un meccanismo ormai contorto, prodotto
dai vent'anni di antagonismo militante precedenti. Per i ragazzi
di Conchetta, come per i writer adesso, l'obiettivo principale
era il piacere personale, il divertimento, inventare strumenti
e forme, organizzare feste. Molti dei look lanciati negli anni
successivi nelle linee di moda, li ho visti nascere lì.
Quelli di Energie, che di lì a poco avrebbero
aperto una catena, hanno preso in Conchetta il loro marchio:
un insieme di segni e lettere dipinti con lo spray sul muro
da uno dei tanti che sperimentavano. C'era fervore artistico.
Quale è stata la tua sensazione?
Sono stato malissimo perché mi sono sentito deturpare.
Non che soffra di mania di copyright, ma mi è dispiaciuto
vedere sfruttare un'idea. Una forma di sfruttamento che finiva
per snaturare completamente il significato del segno. Il writing
è invece partito all'interno di questa logica e di queste
dinamiche, quindi non ha sofferto tanto della globalizzazione
della sua segnica.
Se una azienda di abbigliamento ti facesse un'offerta per
pubblicizzarsi tramite i tuoi lavori, cosa risponderesti?
Risponderei di no; non ce la farei. Penso di avere troppo background
legato all'autoproduzione; il writing è una cosa
troppo mia.
Massimo Annibale Rossi

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