Un carissimo compagno è
venuto a trovarci a Milano: si tratta di Pietro Vermentini che
da oltre tre anni vive in Chiapas operando nel campo dell'educazione
popolare attraverso la FOCA (Formación y Capacitación).
Un'organizzazione messicana che agisce sia nella sfera educativa
che in quella sanitaria, focalizzando l'intervento sul recupero
della medicina tradizionale indigena.
Naturalmente non abbiamo perso l'occasione per capirne di più
su quello che sta accadendo in Messico.

Tempo addietro non passava giorno che non si avesse notizia
di che cosa succedeva in Chiapas. Il fatto che oggi si senta
parlarne meno è dovuto a una scelta dei media o la situazione
è realmente cambiata?
Credo che ultimamente ci siano stati avvenimenti come il caso
Ocalan o la guerra in Kosovo che hanno attratto - come è
ovvio - l'attenzione sia dei mezzi d'informazione che dei compagni
ma questo non significa che la situazione in Chiapas sia 'normalizzata'.

Da quello che hai potuto osservare, in quale situazione
ti pare notare più forte una traccia libertaria?
Sicuramente nei municipi autonomi la traccia è molto
forte, basti pensare che una delle più importanti comunità
zapatiste si chiama Flores Magon, l'anarchico messicano che
più ha rappresentato il lato libertario della rivoluzione
messicana.
Quella dei municipi è un'esperienza che si riallaccia
alla tradizione comunitaria indigena. Mentre in altre guerriglie
sud-americane di matrice marxista ci si lega in modo ortodosso
a modelli buo-ni a qualsiasi latitudine e cultura con collettivizzazioni
forzate delle terre, nel caso zapatista ogni comunità
decide per se stessa, creando una grande pluralità di
situazioni con comunità che hanno deciso la comunione
completa delle terre ed altre dove vige un sistema misto, con
terre comuni e terre individuali, in alcuni casi una coppia
che si sposa riceve dalla comunità un pezzo di terra.
Il tutto attraverso forme di democrazia diretta, senza decisioni
dall'alto.
Vi è una diversità sostanziale tra esercito zapatista
che ha sue regole interne e le basi d'appoggio che si autorganizzano
per mezzo dell'assemblea comunitaria. I contatti tra le comunità
vengono tenuti dal CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario
Indigeno) un organismo collegiale che può prendere decisioni
importanti solo dopo aver consultato le comunità.
Attraverso lo strumento assembleare, comunità a maggioranza
zapatista ma con forti minoranze filogovernative riescono a
convivere, anche perché gli zapatisti non hanno mai visto
l'indigeno priista [aderente al partito stato PRI] come un nemico
ma più semplicemente uno che per mangiare ha piegato
la testa.
Tattica usata ampiamente dal governo per dividere le comunità
indigene: garantire privilegi a chi si allontana dagli zapatisti,
qualche sacco di mais o un trattore sono argomenti molto convincenti
per chi sopravvive a malapena.
Questa campagna di delegittimazione ha avuto culmine nel maggio
scorso con l'offensiva psicologica della diserzione: in tutti
i mezzi d'informazione messicani è stato dato grande
risalto alla sedicente diserzione di massa dalle file zapatiste,
intervistando una quindicina di ex zapatisti che accusavano
l'EZLN di lottare solo per il potere e a causa di questo molti
come loro se ne stavano andando.
Platealmente ripresi dalle televisioni si levavano il passamontagna
dichiarando di voler rientrare nella legalità aderendo
alla proposta governativa: "Un mitra per un sacco di grano".
Naturalmente dopo due giorni l'esercito zapatista forniva i
nomi di queste persone, la comunità d'origine, dichiarando
che non erano mai stati zapatisti e per questo servizio avevano
ricevuto un trattore nuovo: bastava andarlo a vedere a casa
loro. Ma questa controinformazione non trova sbocchi sui media.
È pur vero che una qualità dell'esercito zapatista
è quello di lasciare tornare a casa chi, dopo anni di
guerriglia nella foresta, è stanco e preferisce aiutare
il movimento in altro modo, ovviamente a patto che non faccia
il delatore. Differenza non da poco con altre guerriglie nelle
quali c'è solo il biglietto di andata.

Gli anarchici messicani che ruolo hanno?
Il movimento anarchico messicano è una piccola realtà
che cerca comunque di sostenere al massimo l'iniziativa zapatista.
In passato il collettivo 'Amore e Rabbia' aprì una scuola
libertaria in territorio zapatista ma l'esperimento finì
male a causa dell'ambiguità di certi personaggi.
Attualmente piccoli gruppi o singoli individui operano in Chiapas
e a Città del Messico esiste un nutrito gruppo di giovani
che pubblica il periodico Letra Negra

Su quali basi numeriche può oggi contare il movimento
zapatista?
È difficile quantificare l'appoggio che gode nelle popolazioni
il movimento, in particolare in una realtà così
multiforme come quella messicana.
Un dato pur largamente in difetto può essere quello dei
votanti all'ultima consulta lanciata dagli zapatisti: oltre
tre milioni di persone hanno votato. Non è un dato eccezionale
tenendo conto che il paese conta novanta milioni di abitanti
ma è da considerare che quasi metà della popolazione
ha meno di quindici anni, che la notizia della consultazione
è avvenuta per passaparola e che ad una simile iniziativa
nel 1995 partecipò solo un milione di persone.

Quali tipo di rapporti gli zapatisti hanno saputo creare
con la società civile messicana?
Malgrado la continua volontà a tessere alleanze che
coinvolgano altri settori della società messicana, i
risultati stentano a venire.
Eppure qualcosa si muove, recentemente l'università è
stata occupata ed era dal tempo delle feroci repressioni del
'68 che questo non avveniva. La protesta è partita da
Città del Messico e si è espansa alle altre università
del paese. Il motivo scatenante è stato l'aumento spaventoso
delle tasse universitarie ma ben presto la faccenda ha assunto
risvolti politici. Una delegazione dell'EZLN è andata
a prendere contatti con gli studenti.
In questa protesta il governo si trova in difficoltà
perché non riesce a identificare i leaders da comprare
o spaventare essendo - al momento - il movimento basato su un
modello assembleare e chi tratta è solo un portavoce
dell'assemblea.
Metodo che è stato mutuato dagli zapatisti, i quali non
prendono nessuna decisione importante senza che prima siano
state interpellate le comunità d'appoggio.
Questa è la grande scommessa zapatista: non vincere una
guerra militarmente (peraltro già persa in partenza)
ma coinvolgere le persone a decidere del proprio destino.
Questa sfida trova forti resistenze nella società civile
messicana dominata da logiche di potere, di micro fazioni, per
cui le organizzazioni dal basso stentano a decollare.
Il Fronte Zapatista (organismo nato proprio coordinare le iniziative
civili) cerca continuamente di stimolare la nascita di nuovi
focolai autonomi e in realtà lo scopo dell'ultima consulta
mirava a questo: spingere all'autorganizzazione. In effetti
per gestire questa votazione si sono formate duemila brigate
civili in tutto il paese che non si sono sciolte dopo la consulta
ma al contrario hanno creato un coordinamento nazionale.
Gli zapatisti rifiutano di dirigere dall'alto i movimenti, la
loro proposta è molto semplice: "noi non vi strutturiamo,
organizzatevi voi".
Purtroppo la società civile messicana non è abituata
a questa impostazione libertaria, molti non riescono a uscire
dai meccanismi autoritari, di delega.
In alcune riunioni del Fronte Zapatista davanti a decisioni
importanti alcuni delegati chiedono di riaggiornare la seduta
per riportare alla comunità la decisione, altri con la
scusa che bisogna agire in fretta travalicano la delega ricevuta.
Purtroppo è la difficoltà della società
civile ad accettare forme di democrazia diretta. Resistenze
meno avvertibili in Chiapas nelle comunità indigene che
tradizionalmente adottano questi metodi.
E forse la peculiarità del movimento zapatista è
l'aver saputo interagire con questa dato culturale di base.
Le difficoltà sono nostre: molte organizzazioni messicane
ed estere che si rifanno al messaggio zapatista in realtà
al loro interno hanno una struttura gerarchica ed autoritaria.
Ma gli zapatisti non demordono sanno che i tempi del cambiamento
sono lunghissimi: loro puntano sulla società non sul
potere e quindi i tempi della trasformazione sono dilatati ma
l'importante è che si proceda nel cammino giusto.
Il discorso dell'EZLN è questo: "noi non vogliamo
il potere per noi, perché niente ci garantisce di non
finire come i nostri oppressori. Al contrario vogliamo decentralizzarlo,
diluirlo in modo che sia meno potere e più partecipazione".

Attualmente, quanto pesa la presenza dell'esercito governativo?
Moltissimo, tra i guerriglieri che operano nella Selva Lacandona
e le comunità d'appoggio lo scambio è diventato
più debole: la strategia dell'esercito è quella
di privare del retroterra sociale gli zapatisti. Questa iniziativa
ha dato i suoi frutti perché adesso è molto più
difficile per gli zapatisti partecipare alla vita delle comunità.
Anche se queste esperienze comunitarie sono difficilmente liquidabili
grazie al loro radicamento, che ha prodotto dei cambiamenti
sostanziali non solo sul piano della gestione della terra ma
anche a livello culturale. Basti pensare al ruolo acquisito
dalle donne nelle decisioni comunitarie, ad esempio nelle comunità
zapatiste è vietato bere alcolici per gli evidenti effetti
devastanti che producono sugli indigeni e questa decisione è
stata voluta dalle donne. Non dimentichiamoci che le donne rappresentano
un terzo della forza zapatista: la più alta presenza
tra le guerriglie latinoamericane. Come ricorda la comandante
Ana Maria: "Nell'EZLN le relazioni tra uomini e donne sono
su un piano di perfetta parità". Non è cosa
da poco conto considerando l'ultra maschilismo messicano.

Non ti sembra però una contraddizione il ruolo che
Marcos ricopre all'interno di questa esperienza, come guida
carismatica?
Il pericolo di trasformare Marcos in una sorta di icona esiste
ma il primo ad esserne conscio è proprio lui che non
perde occasione per ironizzarci sopra.
Del resto il mito Marcos è più una costruzione
esterna agli zapatisti, dove in realtà vige un livello
decisionale molto più collegiale di quanto si pensi:
la Comandanzia dell'EZLN non è Marcos punto e
basta, ma un organo collegiale, che poi il sub comandante Marcos
sia un ottimo comunicatore ed un efficace simbolo della lotta
zapatista è tutta un'altra storia.
Intervista a cura
di Dino Taddei
*Per chi fosse interessato a contattare
la redazione di Letra Negra l'indirizzo è:
inegra@hotmail.com
oppure
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06002 Mexico, D.F. |

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