Alan Sokal è quel fisico americano
che, nel 1996, ha pubblicato sulle pagine della stimatissima
rivista Social Text, Transgressing the Boundaries
- Toward a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity
e, sulle pagine della più modesta Lingua Franca,
A Physicist Experiments with Cultural Studies - due saggi
connessi dal fatto che nel secondo si asseriva la falsità
del primo o, meglio, l'intenzione beffarda di correlare proposizioni
prive di senso ma intellettualmente, culturalmente e scientificamente
riverite. Dall'episodio è scaturito, come si suol dire,
un "ampio dibattito" (si dice che ammontino a 84.272
i siti internet che citano il Sokal Affair) e Imposture
intellettuali (Garzanti, Milano 1999), scritto in collaborazione
con il fisico belga Jean Bricmont.
E' indubbio che questo libro di Sokal e Bricmont sia meritorio
- più di altri nella misura in cui rimuove il facilmente
rimuovibile dai crimini perpetrati e li mette in luce pedantemente
come tali, senza lasciare scampo alcuno ai derelitti autori.
Che Lacan, Kristeva, Baudrillard, Deleuze, Guattari e Virilio,
per fare qualche esempio, fossero cialtroni vaneggianti già
lo sapevamo - così come sapevamo che i loro adoratori
o nascondevano interessi personali o vaneggiavano anch'essi
in sincronia -, ma vederli pubblicamente polverizzati parola
per parola ogni qualvolta si ammantano del scientifico fisicalisticheggiante
per avvalorarsi, induce a sospiri di sollievo, perché
si presume che la paziente e faticosa impresa possa andare a
tutto vantaggio delle future generazioni.
Sokal e Bricmont compiono, poi, opera meritoria per il loro
attacco frontale al relativismo cognitivo, ovvero all'idea "che
la scienza moderna non sia niente più che un 'mito',
una 'narrazione' o una 'costruzione sociale'". Sono chiamati
a render conto delle proprie responsabilità, allora,
Kuhn e Feyerabend con le loro contraddizioni epistemologiche
(realisti qui e scettici là), nonché Barnes, Bloor
e Latour come paladini della sociologia relativista della scienza.
Correttamente, ma un po' sbrigativamente, viene anche additata
qualche conseguenza "pratica" dei loro immeritati
successi: la concezione del diritto, la pedagogia e l'antropologia
tendono a ricomporre nuove ingiustizie nel mondo in nome e per
conto delle infiltrazioni relativistiche di cui sarebbero portatrici
- fatta salva la contraddittoria evenienza che, allorché
uno dei loro rappresentanti sta gravemente male, si rivolge
immancabilmente a quei paradigmi scientifici di cui avrebbe
denunciato l'incertezza delle fondamenta. Come dire che la danza
della pioggia, la pranoterapia o i dosaggi omeopatici vengono
consigliati agli altri mentre a se stessi si riservano le criticate
risorse della medicina "scientifica" della tradizione
"occidentale".
Sincere, infine, sembrano le lacrime degli autori sul significato
storico e politico di tutto ciò. "Per la maggior
parte degli ultimi due secoli la sinistra è stata identificata
con la scienza e contro l'oscurantismo", dicono, e ora
- quando "la forma più trucida di capitalismo selvaggio
sembra essere divenuta l'inevitabile realtà (anche) per
il prossimo futuro" (parentesi mia) -, "i rimasugli
della sinistra", impostori, relativisti, impostori relativisti
e relativisti impostori, "hanno contribuito a piantare
l'ultimo chiodo alla bara degli ideali di giustizia e di progresso".
Vie spianate e porte aperte, dunque, a New Age e nuovi autoritarismi.
Tuttavia, ciò premesso, del libro di Sokal e di Bricmont
non c'è granché di cui esultare. Purtroppo non
si risponde in modo convincente alla domanda più ovvia
che qualsiasi lettore è spinto a porsi non appena si
sia reso conto della correttezza della loro denuncia: come è
stato possibile che si sia giunti a tanto? Come è stato
ed è ancora possibile che tanti eminenti cialtroni siano
giunti al loro potere - come è possibile che pontifichino
serenamente dalle loro cattedre, come è possibile che
gli studenti li stiano a sentire invece di appenderli nella
tromba delle scale, come è possibile che schiere di editori
si contendano le loro opere, come è possibile che i "ciambellani"
continuino a camminar loro dietro - come alla conclusione de
I vestiti nuovi dell'imperatore (che Andersen scrisse
nel 1837, e dichiarandone un'origine addirittura medioevale)
- "reggendo la coda che non c'era per niente".
Al scellerato punto in cui si è giunti, secondo Sokal
e Bricmont, ci si sarebbe giunti per il concorso di cinque cause:
le critiche alle manchevolezze dell'empirismo avrebbero fatto
perdere di vista l'importanza delle osservazioni e degli esperimenti,
lo scientismo avrebbe soppiantato un sano atteggiamento scientifico
nelle scienze sociali, le scienze naturali si sarebbero guadagnate
uno straordinario prestigio di cui gli scienziati qualche volta
approfittano con troppa disinvoltura, il "ragionevole"
relativismo delle scienze sociali sarebbe stato sostituito da
un "radicale" relativismo cognitivo e infine, la formazione
filosofico-letteraria tradizionale avrebbe costituito un ostacolo
sulla strada della comprensione dei testi scientifici che sarebbero,
pertanto, più considerati per l'aspetto "concettuale"
che per gli aspetti "empirici". Il giro di boa per
l'avvento di queste sciagure sarebbe stato compiuto nei fatidici
anni Sessanta - con le "sfide" di Kuhn "alle
filosofie della scienza di matrice empirista", con le critiche
di Foucault "alla filosofia della storia di stampo umanistico"
e con la "disillusione nei confronti dei grandi schemi
come strumenti validi per il cambiamento politico" e poi,
con il trionfo del malefico "postmodernismo", una
"corrente intellettuale" definita tutta in negativo
come "caratterizzata dal rifiuto più o meno esplicito
della tradizione razionalista dell'Illuminismo, da elaborazioni
teoriche disconnesse da qualsiasi controllo empirico" e
da quel "relativismo cognitivo" per il quale, come
si diceva, la scienza non è che "una costruzione
sociale tra le altre". Troppo poco e troppo vago per giustificare
tanto scempio.
Fatto è che gli autori si guardano bene dal voler "attaccare
la filosofia" - un ambito di studi nel quale, secondo loro,
si potrebbero "chiarire le idee" a quegli scienziati
che usano con eccessiva disinvoltura concetti ambigui, come
quelli di "legge, spiegazione e causalità"
- e anzi, vorrebbero "mettere in guardia" chi vi opera
da "certi casi manifesti di ciarlataneria" senza per
questo turbare loro i sonni per quanto concerne la disciplina
che praticano.
Infatti, per Sokal e Bricmont, le tesi scettiche non sono "confutabili"
ma rimarrebbero ugualmente impresentabili nella buona società
degli argomenti scientifici - tanto è vero che "nessuno
è sistematicamente scettico (quando sia sincero) rispetto
alle conoscenze ordinarie". In questa buona società,
invece, verrebbe invece accettato come "il miglior modo
di spiegare la coerenza della nostra esperienza", il "supporre
che il mondo esterno corrisponda, almeno approssimativamente,
all'immagine che di esso ci offrono i sensi". Viva, dunque,
un realismo minato e malfermo che, comunque, ci garantirebbe
una "conoscenza" benevolmente definita "oggettiva"
- fermo restando che, da un lato, la "mente umana"
è afflitta dalle "sue intrinseche limitazioni biologiche"
e che, dall'altro, "non esiste (almeno attualmente) una
codificazione della razionalità scientifica". Salvare
la "oggettività" e la "verificazione"
costituisce "la migliore protezione contro i pregiudizi
ideologici travestiti da scienza"- esclusi, ovviamente,
aggiungo io, quei pregiudizi travestiti da scienza che provengono
direttamente dalla fiducia nell'oggettività e nella verificazione.
Einstein, "l'opportunista senza scrupoli" va bene,
ma va male Feyerabend, l'anarchico in maschera: in merito a
quali criteri non si sa.
Come sempre, senza una critica radicale della teoria della conoscenza
o si finisce da una parte o dall'altra. Sokal e Bricmont, in
linea con lo "spirito del tempo" più di quanto
credano, stanno un po' di qua e un po' di là, a seconda
delle circostanze e a patto di non approfondire troppo certi
argomenti (come, per esempio, il problema di un modello dell'attività
linguistica affrontato su presupposti realistici). Così
diventa anche comprensibile quanto niente affatto condivisibile
l'impoverimento della prospettiva storica: l'accoppiata di scetticismo
e misticismo (per dirla in breve) non è certo peculiarità
del "postmodernismo" o della riflessione epistemologica
degli anni Sessanta, ma come ben sa chi ha frequentato qualche
linea di storia della filosofia, è una caratteristica
ricorrente - si pensi, ad esempio, agli esiti del pragmatismo
di James e di Papini. Così, soprattutto, va perduta l'occasione
- altrimenti ben costruita - di mostrare come alla radice del
successo dei cialtroni scientifici e scientificizzanti sta un
sapere storicamente ben radicato e funzionalmente adempiente
alle esigenze di un potere che si perpetua.
Felice Accame
P.s.: Fra i meriti di Sokal e Bricmont annovero anche le citazioni
di Stanislaw Andreski e del suo libro dedicato a Le scienze
sociali come stregonerie, pubblicato a Londra nel 1972 e
in traduzione italiana, da Armando, nel 1977. Andreski, tuttavia,
nel prendere di petto le asserzioni dei vari psicologi, sociologi
e psichiatri - che "prendono a prestito il prestigio della
scienza per imporre al pubblico le loro nozioni morali"
- non dimenticava che "il compito più interessante
e importante" non era tanto quello di documentare e smascherare
le loro "folli stramberie", quanto quello di "spiegare
perché costoro hanno trovato e trovano ancora un'accettazione
tanto vasta". Soprattutto tra le loro vittime, aggiungo
io, e tra chi di queste vittime si arroga la rappresentanza
politica.
L'Archivio
Storico della Federazione Anarchica Italiana, in collaborazione
col Coordinamento anarchico emiliano romagnolo (Federazione
Anarchica Emiliana, Gruppo Libertad di Rimini, Gruppo
Libertad di Rimini, Gruppo Malatesta di Imola, Gruppo
Borghi di Castelbolognese), promuove due iniziative di
studio sull'esperienza storica dell'anarchismo federalista
in Italia, da tenersi nella città di Imola.
L'articolazione delle inizative prevede due giornate di
studio (la prima, domenica 10 ottobre, la seconda,
domenica 26 marzo 2000), riguardanti rispettivamente la
nascita e la storia della Unione Anarchica Italiana (1919-1926)
e quindi la costituzione e la vicenda della Federazione
Anarchica Italian dal 1945 agli anni Settanta.
La prima giornata avrà inizio alle ore 9.30
presso la Sala delle Stagioni in via Emilia 25 (nei pressi
della sede dei Gruppi anarchici imolesi). Quanti indendono
pernottare a Imola sono pregati di mettersi in contatto
con gli organizzatori.
Seguono le articolazioni delle giornate (n.b. I titoli
di alcune relazioni sono ancora provvisori e anche l'elenco
dei relatori può subire alcune variazioni).
L'ESPERIENZA
DELLA UAI DAL BIENNIO ROSSO ALLE LEGGI ECCEZIONALI (1919-1926)
Gigi Di Lembo, La tradizione dell'anarchismo federato
Maurizio Antonioli, L'UAI e i rapporti con individualisti
e antiorganizzatori
Nico Berti, Malatesta e la nascita dell'UAI
Adriana Dadà, L'occupazione delle fabbriche
e l'UAI
Santi Fedele, Gli anarchici italiani e la rivoluzione
russa
Marco Rossi, L'UAI, l'avanguardismo e il fascismo
Giorgio Sacchetti, La questione delle alleanze
Comunicazioni:
Gianni Furlotti, Tomaso Marabini, Franco Bertolucci, Natale
Musarra, Fabio Palombo, Monia Ravazzini, Roberto Bernardi.
Per contatti
ed informazioni:
Massimo Ortalli, via Cavour 110, 40026 Imola (BO);
tel. 0542-23460 (ore ufficio); fax 0542-612134.
Archivio
della FAI
Massimo Ortalli
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