I Remote Viewers sono un trio di sassofonisti che produce
musica definibile come jazz d'avanguardia, ma che non disdegna
fughe in ambito pop, grazie a cover di ogni tipo (dall'ottima
Astro black di Sun Ra fino a It was a very good year
di Sinatra e Secret di Madonna!) a conferma di un approccio
multiforme e dissonante. La band è composta da Louise
Petts (sax alto, voce, sintetizzatori, theremin), Adrian Northover
(sax alto e soprano, batteria elettronica, theremin), David
Petts (sax tenore, sintetizzatore e theremin) e dovrebbero suonare
in Italia dal 15 al 21 del mese prossimo. Hanno pubblicato un
ottimo disco l'anno scorso (Low Shape in Dark Heat),
e stanno per pubblicarne un secondo.
Li ho conosciuti l'anno scorso a Milano quando riuscii ad organizzare
un loro concerto come B-Shops for the Poor (che comprendono
oltre ai sopracitati anche Jon Dobie alla chitarra e John Edward
al basso, quest'ultimo assente in quell'occasione), grazie alla
disponibilità dei compagni del Ponte della Ghisolfa.
Premesso che i B-Shops for the Poor hanno già una bella
storia alle spalle (6 dischi pubblicati di cui uno nientepopodimenociuska
che con Peter Brotzmann, concerti un po' dappertutto e collaborazioni
numerosissime con altre realtà soniche) e che producono
musica a dir poco strepitosa (hardjazzfreeavantgardenoisetechnotraditionalpop,
manca solo Mino Reitano e c'è praticamente tutto), ho
dunque approfittato della disponibilità di David e Louise
Petts per una intervista via e-mail.
Comincio col chiedergli quali esperienze abbiano avuto prima
dei B-Shops, ma a quanto pare la frittata era già bell'e
fatta fin dagli albori: "I B-Shops hanno una storia molto
lunga. Cominciò nel 1983, come duo composto da Jon Dobie
ed il sottoscritto (David Petts, n.d.a.), esistette soltanto
come progetto di sole registrazioni fino al 1986. Una volta
cominciato a suonare dal vivo ci siamo allargati da 3 fino a
7 elementi, stabilizzandoci nella corrente formazione nel 1991.
Prima ancora di tutto ciò ci fu soltanto l'esperienza
da "musicisti in camera da letto", davvero! L'improvvisazione
fece parte della nostra musica sin dall'inizio. Cercammo anche
di essere originali, sperimentando con elementi contrastanti
fra loro; una ritmica inarrestabile contrapposta all'improvvisazione,
entrambe interpretate con rigore e disciplina". Gli faccio
appunto notare che la loro musica oscilla tra l'improvvisazione
e la forma canzone: "Non abbiamo mai voluto essere un gruppo
di improvvisazione, così cercammo di creare musica che
incorporasse sia partiture scritte (strumentali e vocali) che
passaggi Improvvisati. Poi abbiamo cercato di farle funzionare
assieme!". Gli chiedo quale sia stata la motivazione che
li ha spinti a formare i Remote Viewers: "Originariamente
i Remote Viewers esistevano solo per essere un trio di sassofonisti
che poteva esibirsi, acusticamente, in piccoli locali, consentendoci
di crescere come musicisti. Tuttavia, introducemmo quasi subito
parti vocali ed elettronica in misura sempre maggiore (vecchi
sintetizzatori, theremin tascabili, effetti a pedale). La musica,
allargando i propri orizzonti, dà una visione di sè
di maggiore chiarezza. Le cover scelte rientrano nei confini
delle nostre preferenze liriche e melodiche".
Durante il loro concerto milanese Louise mi accennò della
sua passione per i surrealisti. Le chiedo in che misura l'hanno
influenzata, ma lei parte dalla preistoria facendo scempio delle
mie omeopatiche capacita' di traduzione: "Sono sempre stata
interessata al modo in cui la realtà può essere
interpretata. Mi è sempre sembrato naturale rapportarmi
al mondo in maniera obliqua.
Se non usiamo un convenzionale modo di vedere (che noi riteniamo
condizionante), nel tentare di percepire una singola immagine
le possibilità sono molteplici! Inizialmente avevo cominciato
ad usare l'immagine visiva nella scrittura fantastica, collegando
fra di loro singolari idee grafiche in maniera da creare un
insieme virtualmente sconosciuto (distorte o irriconoscibili
possibili forme di convenzione), e così facendo rimuovendo
la capacità di giudizio del lettore-osservatore in senso
morale-storico dell'informazione-finzione che stava alla loro
base.
Ciò fu reso possibile elevando il profilo dei più
piccoli aspetti della vita quotidiana in termini di azioni sociali
e personali, idee in qualità di oggetti e l'arbitrarietà
dell'agire e del pensare all'interno del contesto temporale.
Ho scoperto che selezionando le immagini casualmente e dunque
allontanandomi dall'usuale riordinante sistema di pensiero,
il desiderio di costruire un intero a metà come opposizione
alle idee vincolanti e totalizzanti riguardanti la personalità
e la genetica, e le mie idee sugli avvenimenti all'interno di
date porzioni di tempo mi sembrarono essere maggiormente veritieri
e, nei fatti, più interessanti ed illuminanti.
Fu così che qualche tempo più tardi, quando scoprii
lo scrittore surrealista Raymond Queneau ed il suo credo patafisico,
mi accorsi quanto ero strettamente legata ai surrealisti in
ambito creativo. Includere tutto ciò all'interno di una
struttura lirica mi sembrò essere il logico passo successivo,
usando la libertà delle idee all'interno della disciplina
che la forma canzone richiedeva. Cominciai a farlo partendo
da Woodcuts di Frans Masereel, impregnando le sue immagini
con le mie idee, ma successivamente ho invertito il processo
producendo le immagini partendo dalle parole: Queneau era perfetto
per quest'arte da incubo (in particolare il suo We always
treated women too well). Ho appena completato le liriche
per il prossimo cd dei Poison Cabinet (il duo di Louise
con David, N.d.A.) che si intitolerà Dark Embrace;
stavolta ho sovrapposto le immagini di un pittore americano
del XX secolo, Edward Hopper, con le idee del filosofo francese
Roland Barthes espresse nel suo A Lover's Discourse (sono
dei frammenti sulla condizione mentale propria degli amanti
che spesso coincidono con la mia visione a riguardo)".
Louise: ti odierò a lungo per questa intraducibile risposta...
Gli chiedo anche che ne pensano della musica improvvisata oggi,
personalmente comincio ad avvertire una certa stanchezza...:
"Ormai la musica improvvisata è riconosciuta in
quanto genere come, per esempio, il blues o la dixieland music
(musica sudista degli U.S.A., N.d.A.); Ha un suo proprio linguaggio
riconoscibile, ed inoltre non è necessariamente sperimentale
in se stessa. Si può trovare buona musica in tutti i
campi. I nostri ascolti più frequenti sono Xenakis, Part
e Sun Ra; più di recente abbiamo gradito Portishead ,
Derek Bailey, Henry Kaiser e Painkiller.

MICA SCEMO 'STO FEIGIN
Gli chiedo pure della loro esperienza in termini di produzione
e distribuzione musicale, e di come vanno le cose in Inghilterra:
"I cd dei B-Shops sono usciti per la nostra etichetta NO
WAVE. Nei 10 anni in cui abbiamo realizzato dischi Jon Dobie
ha lavorato duramente per costruire un buon network di distribuzione,
ma essere una piccola etichetta (e realizzare ciò che
è generalmente considerata musica difficile) ha significato
che l'ammontare di quanto noi distribuiamo è rimasto
scarso. Per registrare possediamo il nostro personale equipaggiamento,
che ci consente un certo grado di libertà. Sebbene io
non abbia una chiara evidenza di ciò, penso che la situazione
inglese possa essere probabilmente peggiore che in Europa continentale".
Strano però che i Remote Viewers abbiano inciso per un'etichetta
differente: la Leolab Records... Ma talvolta un po' di fortuna
non guasta:" La Leolab Records è diretta da Leo
Feigin. Gli è sempre piaciuta la musica dei B-Shops,
e la mandava nel suo programma alla BBC. Cercò di contattarci
e diventammo amici, e quando gli demmo un nastro dei Remote
Viewers lui chiese di poterlo stampare in CD. È una sorta
di mecenate vecchio stampo, che stampa la musica che gli piace
persino se fosse sicuro di perderci (ovviamente nella sua etichetta
ha altri artisti che gli fanno guadagnare soldi: Anthony Braxton,
Cecil Taylor, Sun Ra)". Mica scemo sto' Feigin... Apprendo
dunque con gaudio che Sun Ra porta dei bei soldoni alla Leolab:
conoscendo le peculiari (e fascinose) caratteristiche soniche
del suddetto non avrei scommesso uno strafico secco sull'odierna
commerciabilità dei suoi prodotti ; Ma torniamo ai nostri:
la loro attitudine è di quelli che NON SE LA MENANO manco
morti, sono disposti a suonare dovunque nonostante i loro spettacoli
non siano concettualmente affatto immediati. Sebbene sappiano
propriamente essere anche una band politica (il loro ultimo
spettacolo era basato su dei poemi di Bertolt Brecht), il loro
approccio al contesto live lo è in misura ancor maggiore.
Ma David resta nel vago: "Se non ti sforzi di confezionare
la tua musica in base alle correnti esigenze del mercato musicale,
allora in realtà stai prendendo una posizione contro
di esso. L'arte non commerciale può essere un gesto politico
semplicemente mostrando che c'è un'alternativa alla macchina
della conservazione" L'approccio dei B-Shops alla tecnologia?
David dice che: "La tecnologia l'abbiamo utilizzata sin
dall'inizio, in sostituzione di una convenzionale sezione ritmica.
Poi abbiamo imparato ad incorporare la macchina come un componente
naturale della nostra musica". Louise ha scritto una sorta
di manifesto a riguardo, che per problemi di spazio non posso
riportare integralmente; si intitola Enigma in movimento
ed inizia così : "La macchina, un fondamentale componente
del suono finito, rappresenta una sorta di onnipotenza tra le
persone che la circondano e che subito obbediscono alle sue
rigide strutture sonore ed ingaggiano una sfida mortale con
queste. Questa rigidità (creata dall'uomo stesso) composta
da suoni innaturali e naturali, in virtù del suo imporsi
suggerisce una via di progresso [...]. Per produrre significato,
per avere una motivazione l'individuo deve progettare il proprio
sé solitario [...]. È impossibile esistere come
una personalità pienamente pensante ed attiva senza i
riferimenti esterni di un mondo. Quando uno attinge dal caos
del mondo a sua volta esprime una versione ordinata dello stesso.
Questi vari riferimenti, nel nostro caso impostati ed immortalati
su di un computer che produce ritmiche tenaci e prive di esitazione
in una tensione verso l'universale astratto, suggeriscono una
qualche strana umanità. Mentre la macchina restituisce
la composizione impostatagli, sembra emettere con la stessa
uno spirito di sua creazione, qualcosa di autocontrollato contemporaneamente
selvaggio ed armonioso [...]. I risultati tendono ad essere
ambigui in base alla percezione di ognuno, e sebbene la natura
del conflitto non cambi mai, la forma che questo prende sicuramente
sì [...]. Logicamente ciò che è impostato
nel computer è inalterabile. Una lista ordinata di idee
connesse tra loro è programmata per essere usata come
riferimento; ma queste idee connesse in sequenza appartengono
al personale ordine di un individuo che, usando il suo istinto,
ha inconsapevolmente impostato un enigma in movimento[...]".
Semplice, no? Ma come diavolo ho fatto a non arrivarci prima...
Chiedo come ultima cosa se registreranno mai il Bertolt Brecht
Project, lo spettacolo che l'anno scorso hanno portato in
tour come B-Shops for the poor: "Lo registreremo al più
presto, spero. Lo stesso vale per il precedente spettacolo basato
sulle liriche di Raymond Queneau. In compenso il 2°cd dei
Remote Viewers Obliques Before Pale Skin dovrebbe uscire
a metà agosto, e lo stesso vale per il cd dei Poison
Cabinet Dark Embrace".
Mario Bossi






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