Vivendo a Korogocho, vivendo dentro
quello che io chiamo i sotterranei della vita e della storia,
non ho bisogno né di statistiche, né di altro
per dirvi gli effetti di certe politiche degli aggiustamenti
strutturali, né di cio che questo sistema economico comporta
per i poveri del mondo. Li ho sotto gli occhi e ne rimango sconcertato.
Ed è per questo che mi arrabbio ancora di più
quando leggo certe notizie e sento certe cose.
Sono rimasto esterrefatto che in Italia, mentre si era a lungo
parlato del MAI (penso che lo conosciate, si tratta dell'Accordo
Multilaterale sugli Investimenti) ed era stata lanciata anche
una campagna contro di esso, non si è parlato per nulla
del nuovo MAI che gli Stati Uniti vorrebbero imporre alle nazioni
africane e che viene comunemente chiamato NAFTA for Africa.
Quando ho sentito parlare per la prima volta della proposta
di legge che il presidente Clinton ha presentato nel 1998 al
Congresso americano sono rimasto sbalordito. Ho chiesto perciò
agli amici di trovarmi attraverso Internet tutto il materiale
disponibile sull'argomento. E quando ho iniziato a leggerlo
sono effettivamente caduto dalle nuvole. Il NAFTA è il
North American Free Trade Agreement, un accordo di libero
scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico, proposto inizialmente
da Bush all'inizio degli anni '90 e portato a compimento da
Clinton nel 1994. Nel 1998, sotto la spinta delle grandi multinazionali,
lo stesso Clinton ha poi presentato al Congresso americano,
prima alla Camera e poi al Senato, una proposta di legge che
porta il titolo di African Growth and Oppurtunity Act,
che tradotto in italiano significa "Proposta di legge per
la crescita e l'opportunità dell'Africa". Questa
legislazione è stata promossa da una coalizione di multinazionali
comprendente alcune delle più grandi compagnie mondiali,
tra cui Texaco, Mobil, Amoco, Caterpillar, Occidental Petroleum,
Enron, General Electric, Chevron e Kmart's. Si tratta di multinazionali
più volte incriminate in chiave internazionale per violazioni
di vario genere, da quelle ambientali a quelle sui diritti umani.
Questa legislazione promossa dalla coalizione di multinazionali,
è stata presentata alla Camera degli Stati Uniti l'anno
scorso, ma è stata subito pesantemente attaccata da varie
ONG e da una parte dell'opinione pubblica americana, che vedono
in essa uno strumento di promozione e tutela del controllo corporativo
americano sulle economie africane e sulle risorse naturali del
continente. Dopo una battaglia molto dura e pesante la legislazione
è stata approvata dalla Camera con 233 voti contro 186,
ma è stata in seguito bocciata dal Senato. Nel gennaio
di quest'anno il presidente Clinton ha annunciato una nuova
offensiva della Casa Bianca per ripristinare quella legislazione,
chiamando il Congresso ad esaminare una proposta molto simile
alla precedente, l'Africa Trade and Development Bill,
"Proposta di legge per il commercio e lo sviluppo dell'Africa".
Attualmente il documento si trova alla Camera per la necessaria
discussione.
Ma al di là delle sorti di questa proposta di legge,
quello che è importante è che una tale legislazione
(sia quella dell'anno scorso che l'attuale), al cui confronto
quasi il MAI impallidisce, sia sostenuta dai detentori del potere
economico-finanziario, vale a dire dalle grandi multinazionali.
Vivendo qui a Korogocho, vedendo la sofferenza dei poveri e
leggendo di queste manovre io rimango esterrefatto che in Italia,
dopo tanto chiasso sul MAI, di questo nuovo tentativo americano
non si è parlato per nulla. Sembra quasi che non ci interessi,
mentre sappiamo molto bene che una legislazione del genere passata
negli Stati Uniti, cuore dell'Impero del Denaro, avrà
delle enormi ripercussioni su questo continente, che già
vive un momento così difficile. Ma in che cosa consistono
questi due Atti così simili, quello del 1998 e quello
di quest'anno, comunemente definiti NAFTA for Africa?
Questo documento, in pratica, richiede alle nazioni africane
di sottomettersi ai dettami economici e politici del FMI, il
Fondo Monetario Internazionale. Esso prescrive che il governo
di un paese africano aderente all'accordo debba ottenere la
certificazione dal presidente degli Stati Uniti prima di avviare
qualsiasi investimento e per ottenere i benefici derivanti dal
commercio con gli Stati Uniti stessi.


Risultati disastrosi
I requisiti della certificazione sono pienamente rispondenti
alle misure economiche definite dagli Stati Uniti, che sono
assai più severe di quelle imposte dal FMI alla Russia,
all'America Latina e all'Asia. Con risultati chiaramente catastrofici.
La cosa incredibile è che per
ottenere la certificazione dal presidente degli Stati Uniti,
ogni governo africano deve prima: - ridurre drasticamente le
tasse sulle società straniere o nazionali - intraprendere
una immediata e completa privatizzazione dei patrimoni e dei
servizi pubblici (trasporti, comunicazioni, sanità, grandi
industrie) - aprire il più possibile l'economia alla
proprietà o al controllo di holding straniere - permettere
alle società straniere un accesso illimitato alle risorse
naturali - adottare politiche agricole che sostituiscano la
produzione di cibo con colture estensive destinate al mercato
estero. Questo è il NAFTA for Africa. Una cosa
assurda. Infatti quando il NAFTA originale era stato proposto
dall'amministrazione Clinton, era stato presentato come un atto
che mirava ad espandere l'economia di Stati Uniti, Canada e
Messico basandosi sull'economia di mercato e sulla totale libertà
di commercio.
Ma i risultati sono stati disastrosi: nel giro di cinque anni
sono andati in fumo oltre mezzo milione di posti di lavoro negli
Stati Uniti e quasi un milione in Messico. Attualmente il lavoro
interinale e part-time, senza benefici o pensione, negli Stati
Uniti rappresenta più del 50%. I salari in Messico sono
quasi dimezzati e le cooperative contadine sono state eliminate,
portando milioni di contadini disoccupati e disperati nelle
città. Sono state queste le motivazioni di fondo che
hanno scatenato lo scorso anno in Congresso la reazione contro
il NAFTA for Africa. Cosi quella proposta di legge decadde,
ma il presidente Clinton l'ha riproposta di nuovo quest'anno,
in termini talmente gravosi da fare invidia al MAI. Il MAI a
sua volta non è altro che una serie di regole studiate
alla perfezione (solo degli iniziati ne possono capire la terminologia,
tanto è fine) per favorire gli investimenti finanziari
internazionali ed espandere il potere delle grandi compagnie,
garantendo loro un clima propizio a tali operazioni, facilitando
il recupero dei profitti e concedendo il libero accesso al mercato
senza nessun obbligo verso i bisogni economici locali.
Per queste ragioni la società civile ha detto di no al
MAI. Tuttavia il MAI quasi impallidisce al confronto del NAFTA
for Africa. Infatti le condizioni per ottenere la certificazione
del presidente degli Stati Uniti e far parte di questo apparentemente
favorevole trattato commerciale con gli USA sono di una gravità
estrema. Ed proprio qui a Korogocho ho sotto gli occhi l'assurdità
di tutto ciò: l'assurdità dell'Impero del Denaro
e delle sue conseguenze; l'assurdità degli aggiustamenti
strutturali imposti dal FMI. E se adesso avremmo a che fare
con un'imposizione economica come il NAFTA for Africa,
andremo verso una tragedia colossale. Si tratta davvero di decidere
la morte di milioni di persone. E il mio sdegno non conosce
limiti.
Come prete io sono obbligato a dire che certe cose sono peccato
e allo stesso tempo non sento una parola su queste decisioni
economiche che porteranno a immani tragedie. Come essere per
la vita, ad esempio sul problema dell'aborto (e io ci sto fino
in fondo) e non esserlo su queste questioni? Ecco ciò
che mi fa male, che rimette tutta la mia morale in discussione.
Vivendo sulla mia pelle la sofferenza dei poveri a Korogocho,
non posso non indignarmi, arrabbiarmi ed esprimere tutta la
rabbia che ho dentro.
Sono felice del fatto che una discussione in chiave continentale
sia stata avviata in Africa, durante l'incontro tenutosi a Johannesburg,
in Sudafrica, il 27 e 28 febbraio di quest'anno in occasione
della Conferenza preparatoria per la creazione di un Tribunale
Internazionale per l'Africa. Questo Tribunale, il cui scopo
sarebbe di "giudicare" i responsabili per il corso
criminale imposto ai lavoratori e ai popoli dell'Africa, era
stato proposto lo scorso anno a Bingerville (Costa d'Avorio)
dalle organizzazioni lavorative internazionali (ILC) e dalla
Federazione sindacale degli elettricisti della Costa d'Avorio.
Dopo un anno di discussione con i sindacati e le organizzazioni
popolari dell'Africa l'ILC, in nome delle organizzazioni sindacali
di 92 nazioni, appoggiò l'iniziativa delle Federazioni
di sindacati africani di tenere una Conferenza preparatoria
a Johannesburg, Sudafrica. Un incontro che ha visto sindacati,
movimenti di lavoratori, avvocati, ritrovarsi per studiare questa
possibilità.
Dopo due giorni di dibattito i 60 delegati, tra cui anche leaders
dei movimenti neri e afro-americani provenienti dall'America
Latina, dagli Stati Uniti e dall'Europa hanno deciso di inviare
negli Stati Uniti una delegazione per ottenere appoggio contro
il NAFTA for Africa. Infatti questo tipo di legislazione:
1. imporrebbe all'Africa gli effetti peggiori del NAFTA originale
2. rafforzerebbe e renderebbe più gravose le politiche
del FMI 3. imporrebbe ad ogni stato l'ingresso nella World
Trade Organization, l'Organizzazione Mondiale del Commercio,
una della Trinità Satanica, insieme alla Banca Mondiale
e al Fondo Monetario Internazionale 4. attuerebbe le politiche
monetarie e di investimento già proposte dal MAI 5. eliminerebbe
l'obbligo delle tasse per le multinazionali e le grandi corporazioni
6. privatizzerebbe le proprietà e i servizi pubblici,
con accesso garantito alle multinazionali.
Queste condizioni così gravose dovrebbero addirittura
essere accettate dagli stati africani per continuare a mantenere
le attuali condizioni commerciali con gli Stati Uniti! In fondo
il lungo viaggio di Clinton in Africa l'anno scorso, durante
il quale ha parlato di reinessance africana e ha presentato
al mondo i suoi leaders prediletti - coloro che lancerebbero
il nuovo modello economico americano nell'Africa - aveva essenzialmente
lo scopo di ottenere un appoggio a questo tipo di legislazione
e di approccio economico. In pratica di forzare un MAI sull'Africa.
Neanche
in Italia
Mi è davvero piaciuto che l'ex presidente sudafricano
Nelson Mandela, in occasione della visita di Clinton in Sudafrica
il 27 marzo 1998, abbia detto pubblicamente di fronte al presidente
americano che questo tipo di legislazione è improponibile.
Mandela ha detto testualmente: "Questo è un argomento
su cui noi nutriamo gravi riserve... Per noi è inaccettabile.
"Sono contento di vedere che anche negli Stati Uniti ci
sono state reazioni alla proposta di legge di Clinton. È
nata anche una legislazione promossa dal reverendo Jesse Jackson
Jr, chiamata H.O.P.E. for Africa Act, sigla che significa
Human Rights (diritti umani), Opportunity (opportunità),
Partnership (lavorare insieme) and Empowerment
(dare potere, dare forza). Avevo conosciuto Jesse Jackson Jr
ai tempi di Nigrizia e l'ho rivisto ingrassato l'anno
scorso quando è venuto a Korogocho. Ho avuto la netta
impressione di essere di fronte ad un uomo molto integrato nel
sistema e non a conoscenza dei misfatti dell'Impero del Denaro.
Ma se il reverendo Jackson ha capito l'assurdità della
proposta legislativa di Clinton non dovrebbe essere difficile
anche per i cittadini americani ed europei cogliere le conseguenze
disastrose di tale iniziativa e far partire una reazione a catena.
Anche se in realtà l'H.O.P.E. for Africa Act non
si discosta poi molto dalla proposta Clinton, pur mitigandone
in parte i termini e gli effetti negativi. E la Conferenza di
Johannesburg coglie molto bene il cuore di questa proposta alternativa
di Jackson quando afferma che: "Nel promuovere questa legislazione
Jesse Jackson Jr cita favorevolmente il Discorso annuale sullo
stato dell'Unione di Clinton, dove il presidente americano chiede
"un sistema commerciale più equo per il XXI secolo
e una piattaforma comune su cui business, lavoratori, ambientalisti,
contadini e governi possono ritrovarsi". Noi tuttavia chiediamo
se la chiamata alle multinazionali e ai lavoratori di condividere
una stessa piattaforma non sia l'agenda corporativistica codificata
nel NAFTA". Questa legittima domanda rimette in discussione
quanto alternativa sia la legislazione di Jesse Jackson Jr.
Purtroppo al di là di questo Convegno sudafricano di
febbraio e della pubblica esternazione di Mandela non è
sorta una discussione, un dibattito all'interno del continente
africano. Anche perché purtroppo di queste cose non si
parla molto. Lo stesso Daily Nation, il principale quotidiano
del Kenya (250mila copie al giorno), un giornale fatto veramente
molto bene, meglio di molti quotidiani occidentali, si è
limitato a qualche accenno senza approfondimenti. Ma mi ha amareggiato
ancora di più il fatto che neanche in Italia se ne sia
parlato. Nemmeno riviste specializzate e sensibili a simili
tematiche, come la stessa Nigrizia, hanno affrontato
la questione.
Tuttavia negli Stati Uniti vi è stata una considerevole
levata di scudi sull'argomento. Sono rimasto molto stupito del
fatto che il New York Times, nell'edizione della domenica
del 7 giugno 1998, abbia pubblicato un editoriale molto deciso
su questo. L'editoriale cominciava così: "Ha un
nome molto bello questa nuova legge, African Growth and Opportunity
Act, ed anche uno slogan molto intelligente, Trade not
Aid, vale a dire "commercio, non aiuto". Ma la
legislazione che si trova ora all'esame del Congresso non e
che un pacchetto di benefici a favore delle fiorenti multinazionali
e una minaccia per la sovranità degli stati sub-sahariani
che gli stessi sostenitori della legge dicono di voler aiutare".
Se il New York Times, che è una delle voci del
padrone, afferma una cosa del genere, mi meraviglio del silenzio
intorno a questa proposta di legge e alle sue terribili conseguenze.
Così come è stata a suo tempo lanciata una campagna
contro il MAI - con esiti positivi - bisogna lanciare una campagna
per sconfiggere il NAFTA for Africa. Altrimenti davvero questo
significherà per l'Africa l'ennesima sottomissione economica,
con tutte le sue conseguenze. Io in coscienza non posso accettare
una cosa del genere. Non posso accettarla in chiave etica. Non
possiamo continuare ad andare in giro a parlare di etica in
chiave personale se poi in chiave collettiva non riusciamo a
dire una parola su scelte economiche che avranno conseguenze
terribili per le future generazioni. Mi rifiuto. Ed è
per questo che voglio gridare ed urlare. E mi associo ai leaders
africani che a febbraio, durante la Conferenza di Johannesburg,
hanno sottoscritto l'appello contro questa legislazione, chiedendo:
1. assoluta cancellazione del debito 2. completo rifiuto di
tutti i progetti di aggiustamento strutturale 3. opposizione
a tutti gli schemi di privatizzazione 4. rispetto del principio
del diritto di tutti i popoli e nazioni ad esercitare pieno
controllo sul loro destino 5. immediata chiusura di tutte le
basi militari straniere nel continente africano, poiché
queste basi servono da centri organizzativi e punti di lancio
della repressione e del mantenimento dei regimi oppressivi sottomessi
al capitale della finanza internazionale.


Totale
silenzio delle Chiese
Mi sembra che questi cinque punti riassumano davvero quello
che viene richiesto da più parti in campo internazionale.
Il documento di Johannesburg si conclude poi con un sentito
appello: "Ci uniamo qui alla richiesta di risarcimento
formulata da vasti settori di organismi di lavoratori africani,
afro-americani e internazionali. Solo tali risarcimenti possono
mitigare le conseguenze devastanti di secoli di schiavitù,
saccheggio delle risorse naturali e sfruttamento del lavoro
umano. Il sistema politico, economico e sociale responsabile
di simili politiche ed atti che hanno portato alla morte e alla
miseria centinaia di milioni di persone, deve essere ritenuto
responsabile della sofferenza umana che ha provocato."
L'editoriale del New York Times concludeva dicendo: "Il
presidente sudafricano Nelson Mandela ha definito la legge "inaccettabile",
ma la maggior parte dei leaders dell'Africa sub-sahariana, di
fronte a popolazioni disperatamente povere e ad un livello di
disoccupazione disperatamente alto, l'hanno sottoscritta. Essi
sembrano sperare che un accordo commerciale con gli Stati Uniti
e le sue potenti corporazioni, allevierà in qualche modo
le loro sofferenze economiche. È una situazione matura
per uno sfruttamento incondizionato." E se Le Monde
Diplomatique, nell'editoriale del maggio 1998 sul MAI aveva
scritto "...Lo scellerato progetto, una sorta di dichiarazione
dei diritti universali del capitale, ha dimostrato fino a che
punto i rappresentanti degli stati membri dell'Ocse erano pronti
a rinunciare a qualsiasi difesa del bene comune a fronte delle
illimitate pretese degli investitori", che cosa MAI dovremmo
dire del NAFTA for Africa e delle conseguenze disastrose
per questo continente? Già il documento di Johannesburg
afferma che: "Epidemie, distruzione dell'apparato sanitario
pubblico, rapida pauperizzazione di milioni di persone, promozione
pianificata di guerre e violenze hanno dato origine ad un olocausto
di morti per fame, migrazioni di massa, orde di rifugiati, aumento
generalizzato di Aids, Ebola e altre malattie infettive. In
conseguenza di questo prevediamo la morte di oltre 40 milioni
di persone"
Mi sconcerta il totale silenzio delle Chiese. In un contesto
di preparazione al grande banchetto del Giubileo, un banchetto
a cui tutti i popoli dovrebbero egualmente partecipare, le Chiese
non hanno detto una sola parola sul NAFTA for Africa.
Io chiedo alle Chiese di reagire con forza. Festeggiare il Giubileo
significa rimboccarsi le maniche, impegnarsi a bollare legislazioni
come queste e far nascere un sistema economico dove regni un
po' di giustizia. A nome dei fratelli e delle sorelle che soffrono
incredibilmente a Korogocho io mi appello a tutti voi perché
vi diate da fare, affinché il NAFTA for Africa
venga definitivamente sconfitto. Non potrebbe essere questa
una prima agenda per la nascente Rete lillipuziana? Questo tormentato
continente africano ha bisogno di accordi e proposte legislative
economiche che rispondano ai bisogni e alle aspettative delle
comunità e delle popolazioni locali e non a quelli delle
corporazioni e delle multinazionali dei paesi ricchi!
Alex Zanotelli



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