Nel De docta ignorantia il filosofo
rinascimentale Niccolò da Cusa sosteneva la dottrina
metafisica dell'incommensurabilità tra l'essere
e la conoscenza umana, dove per essere egli intendeva
ciò di cui nulla può essere maggiore, cioè
Dio, cioè la verità. Per quanto l'uomo si sforzi
di conoscere la verità, non potrà mai raggiungere
questo risultato, che giace su un piano trascendente rispetto
al mondo di cui la medesima conoscenza fa parte. Egli è
perciò condannato all'ignoranza. Tale ignoranza si fa
però dotta nel momento in cui non rimane mero
non sapere, ma diventa consapevolezza di sé, il socratico
sapere di non sapere, che acquista valore di principio
e fondamento di ogni conoscenza umana.
Fino a qualche tempo fa mi si poneva il problema se a questa
dottrina doveva ricondursi l'interpretazione dello spot
televisivo in cui la solita donna intervistata con la solita
finta presa diretta (finta perché svolgente la funzione/finzione
della testimonianza non sospetta) esaltava le preclare qualità
del deodorante ascellare DOVE (pronuncia 'dav', che in inglese
significa 'colomba', che è il simbolo della purezza e
della pace ma che sul mio balcone, in micidiale sinergia con
alquanti suoi conspecifici, scacazza come un maiale, bombardando
chirurgicamente i miei gerani. Qualcuno deve anche spiegarmi
perché il povero CAREFREE nessuno lo pronunci 'kèrfrìi',
come andrebbe. Misteri della fonologia televisiva). In tale
miracoloso e pervicace deodorante colei trovava infatti l'impareggiabile
toccasana di ogni sua traspirata puzzetta, mentre tutti gli
altri che in precedenza aveva provato, a suo dire non la "soddisfavano"
(sic). Non mi stupisco, né entro nel merito della di
lei soddisfazione - ognuno ha le ascelle che si merita -. Ciò
che mi sconvolge è la ricerca della motivazione dell'uso
del bieco solecismo. Inconveniente della diretta, o finto errore
astutamente programmato per dare credibilità all'intervista?
Ignoranza semplice dell'intervistata e/o ignoranza dotta
del medium? Il massacro della coniugazione del verbo
'soddisfare' era fuga di effetti indesiderati o implicava calcolato
tentativo di induzione al più stretto identificarsi di
un pubblico trattato da babbione con la vera realtà,
quella dell'ignoranza, operazione in accordo con la dottrina
del Cusano?
Mi tormentavo tra i corni dell'atroce dilemma, quando, il 31
maggio, durante la trasmissione su Raiuno di Domenica in,
assistendo al gioco del "palloncino" condotto dall'oriunda
argentina finta tedesca Anna Falchi, ho avuto finalmente il
satori, da fare invidia, credo, al più smaliziato
dei maestri zen. Ai miseri mortali che ignorano il gioco del
palloncino, spiegherò che si tratta di una versione teatralizzata
del gioco di società con carta e penna denominato 'nomi-animali-cose
...' noto a tutti gli studenti annoiati che si sono riuniti
senza alcuna voglia di studiare nel salotto buono degli ignari
genitori, tramandato dagli anni sessanta da quegli studenti,
divenuti a loro volta genitori, e mantenuto in vita negli altrettanto
annoiati dopocena e trasmesso geneticamente ai propri figli,
ora adolescenti. Si tratta di uno degli esiti più duraturi
del sessantotto, e consiste nell'elencare entro un tempo limite
almeno un elemento, per un numero dato di categorie, la cui
iniziale sia una lettera prescelta prima di far partire il cronometro
o un suo succedaneo.
Nella versione falchiana, il tempo limite è scandito
da un palloncino provvisto di breve miccia. Alla consunzione
di questa corrisponde l'esplosione di quello, nelle mani del
malcapitato che non è riuscito a rispondere e a passarlo
per tempo all'avversario adiacente, venendo così eliminato
dal gioco.
Orbene, in quella fatidica ultima puntata, alla richiesta di
'uccelli con la P', qualcuno dei partecipanti, al suo turno
risponde: "pipistrello!". Pur essendo giustificabile
chi, in preda all'emozione di stringere una bomba tra le mani,
scambi per uccello quello che tutti i ragazzi delle medie, se
non delle elementari, sanno essere un mammifero dell'ordine
dei chirotteri, dato che in quelle circostanze il suo sistema
nervoso non reagisce con la corteccia, bensì con le zone
più profonde del talamo o del limbo, non altrettanto
giustificabile è l'indifferenza acritica dei concorrenti
circostanti, di solito pronti a censurare l'errore altrui o
il 'già detto!', o peggio dei 'giudici' o 'notai' ufficialmente
preposti alla bisogna. Da Magalli a Solenghi nessuno fa una
piega e il pipistrello vola via sulle sue ali d'uccello, fino
alla fine del giro, come un delfino preso per pesce, come un
verme nato per generazione spontanea. L'ignoranza appare crassa,
la diretta in questo caso è vera, la dottrina di Cusano
è confutata, e revocata in dubbio l'interpretazione della
furba ignoranza della colomba di DOVE (anch'essa un uccello,
si badi). E forse anche in quel caso la scelta di 'soddisfavano'
al posto di 'soddisfacevano' è da imputare a inibizione
corticale, stavolta per lo stress della finta diretta.
Tra l'altro il gioco ha termine, durante l'ultima prova 'animali
con la T', con la iniqua sconfitta di Solenghi, cui Magalli,
particolarmente acido e protervo nella circostanza, essendo
stato insolitamente eliminato ben prima del volo del pipistrello,
contesta il "tritone" sostenendo che si tratti esclusivamente
di animale mitologico, né cessa di dubitare neanche a
gioco concluso, quando, con colpevole ritardo, la voce fuori
campo di un 'giudice', evidentemente previa affannosa consultazione
di enciclopedia, asserisce giustamente trattarsi di un anfibio
(Magalli: "sì, un mezzo da sbarco!").
Conclusione triplice: 1) in Italia alcuni giudici hanno meno
effetto della moviola; 2) gli italiani sono un popolo di umanisti
e conoscono molto meglio la mitologia che la biologia; 3) il
mio iniziale dilemma era causato da una citazione fuorviante
e poco azzeccata: avrei chiarito tutto a me stesso molto prima
se tra le opere di Niccolò da Cusa avessi pensato, anziché
al De docta ignorantia (1440), al De idiota (1450),
dove afferma che "sapientia clamat in plateis",
ossia che la verità si rivela nelle espressioni più
semplici e comuni adoperate da tutti. Sono spiacente per la
colomba, ma è il pipistrello la sua verità.
Carlo E. Menga
|